venerdì 26 luglio 2019 - SerFiss

La scomparsa di Giulio Regeni

La recente vittoria della destra alle ultime Amministrative ha visto scatenarsi una serie di effetti collaterali. Uno di questi è la rimozione dalle facciate di molti comuni, grandi e piccoli, dello striscione "Verità per Giulio Regeni".

 L'iniziativa, partita da Amnesty Italia dopo pochi giorni dal ritrovamento del corpo senza vita del nostro giovane ricercatore, aveva visto un'adesione massiccia di moltissime amministrazioni locali, Regioni e Comuni, nella speranza di mantenere viva la memoria del nostro sventurato connazionale ed il desiderio che venga fatta piena luce sulla tristissima vicenda.

La rimozione dello striscione è iniziata, in alcuni casi, a pochi giorni dall'insediamento delle nuove giunte, come se quella fosse una reale priorità fra le grandi o piccole necessità della cittadina in questione.

All'inizio le motivazioni assunte dalle giunte erano sulla difensiva: "era sporco, logoro, si stava stracciando, era storto..." ed in alcuni casi quasi divertenti "dovevamo mettere lo striscione per la sagra dello zucchino...".

Poi, via via, si sono fatte sempre più agguerrite e feroci come l'ultima, del comune di Cagliari, dove il sindaco ha affermato che "il municipio non è uno stadio", come se un omicidio, preceduto da evidenti torture, fosse paragonabile ad uno sfottò calcistico.

Il fatto che queste rimozioni siano in modo indiscutibile riconducibili ad una precisa area politica pone prima di tutto una domanda: per quale motivo? Le risposte a mio parere sono sostanzialmente due, ed entrambe sbagliate.

La prima è l'identificazione dello striscione con l'opposta area politica, dimenticando che anche il precedente governo nazionale non sia stato immune da colpe. Basterebbe ricordare la cancellazione dal sito della Farnesina, nella pagina riservata agli eventuali e possibili pericoli in Egitto, del paragrafo dedicato sommariamente alla vicenda di Giulio Regeni, rimesso solo dopo molti giorni ed in seguito alle fortissime pressioni scatenate dai social.

La seconda ben più tortuosa, perversa e pericolosa, chiama in causa il totale asservimento del nostro governo al feroce dittatore egiziano Al Sisi. I motivi sono noti, ma tutti gestibili senza cancellare o tentare di gettare nell'oblio un fatto increscioso ed inaudito come l'uccisione di un giovane ricercatore in terra straniera. Perché di questo si tratta: un giovane ricercatore in terra straniera. Fosse stato anche di un'altra nazionalità l'Italia avrebbe dovuto comunque agire con forza. Magari non con la stessa tenacia riservata a Giulio Regeni, ma in questo caso si parla di un nostro connazionale, non di una nazione qualsiasi.

Quali garanzie si offrono con questo collettivo silenzio ai giovani ricercatori di tutto il mondo? Meno di nulla. Quindi si incentiva la ricerca e l'approfondimento sui diritti umani in alcuni stati a rischio su questo argomento? Certo che no. Ed i social (quindi noi) mantengono viva l'attenzione sul caso? Solo in parte. Come forse saprete Twitter suggerisce, digitando l'hashtag, quelli più in tendenza. Da tempo ormai i cancelletti "#giulioregeni" e "#veritapergiulioregeni" compaiono sempre più raramente fra i suggerimenti.

Le dichiarazioni ufficiali servono alla nostra politica come una maschera per nascondere l'accodarsi dell'Italia allo stuolo di nazioni consenzienti con i dittatori locali. Questa comunanza non ci esime dal constatare come, nel nostro caso, si tratti di un progressivo avvicinamento a periodi bui e tristi dello scorso secolo.

 Non ci resta che sperare che l'aria cambi, che gli striscioni tornino a ricordare il nostro povero ragazzo e che la verità finalmente trionfi. Purtroppo siamo abituati, e da decenni, a digerire tristissimi insabbiamenti.

Foto: SAJJAD KHAKSARI/Flickr

 



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