martedì 14 luglio 2020 - Vincenzo Musacchio

La riforma penitenziaria non è più procrastinabile

Intervista a Vincenzo Musacchio, giurista e professore di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E' ricercatore dell'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. In questo momento di crisi del nostro sistema penitenziario, in difficoltà nel prevenire e fronteggiare la grave situazione nelle carceri italiane, speriamo di poter avere maggiore chiarezza dal dialogo con il giurista. 

Partiamo dal problema del sovraffollamento, come lo si può risolvere?

Secondo l’art. 27 della nostra Costituzione le carceri italiane non potrebbero e non dovrebbero accogliere un solo detenuto in più rispetto al numero che assicura un trattamento umano e degno per la persona umana. Il carcere invece è concepito come un pollaio che si riempie all'infinito nel quale sono pigiati gli esseri umani. Una soluzione di buon senso sarebbe di introdurre un piano di scarcerazione che rilasci quei detenuti che scontano brevi condanne per reati non violenti; quelli vicino alla fine della loro pena e quelli con condizioni di salute realmente precarie. Con questa tipologia d’intervento potremmo raggiungere l’obiettivo di ridurre la popolazione carceraria di circa nove o diecimila detenuti, senza creare allarme sociale. Questo sarebbe giusto sia nell’interesse di chi sta in carcere, sia per chi in carcere ci lavora. Poi occorrono riforme più generali e complesse come rivedere l’istituto della custodia cautelare in carcere, rielaborare la reclusione per determinati delitti in tema di droga e immigrazione.

Qual è il suo giudizio sul 41bis?

È un circuito penale speciale che ha come obiettivo quello di impedire ai boss i contatti con la criminalità organizzata. Sacrosanto e direi indispensabile nella lotta alle mafie assieme alla confisca dei beni. Il 41-bis non viola la Costituzione, ovviamente, lo Stato ha il compito di garantire il rispetto dei fondamentali diritti umani ai detenuti che sono sottoposti a questo trattamento che non è certo ascrivibile ad alcuna forma di tortura. A dimostrare l’infondatezza di tale degenerazione da più parti sollevata vi è la possibilità di interrompere il regime del 41 bis, mediante la collaborazione con la giustizia.

Che cosa pensa dell’opportunità di concedere amnistia e indulto?

Sono contrario. Sono favorevole invece alla depenalizzazione di molti reati inutili, facendo in modo che si vada in galera di meno e solo quando c’è una reale pericolosità sociale. Sono stato sempre contrario alla custodia cautelare in carcere e favorevole alle pene alternative e domiciliari in tutti i casi ove sia possibile. Occorrono nuove carceri, più dignitose e rieducative. I cittadini tuttavia devono sapere che lo Stato punisce chi va punito. Tolleranza zero per mafie, terrorismo, corruzione ed evasione fiscale.

Professore, cosa ne pensa delle rivolte dei detenuti avvenute in molte carceri italiane?

Non è un fatto nuovo. Tuttavia, quest’ultima rivolta rimarca in maniera evidente anni di negligenze rispetto a una realtà particolarmente complessa quale quella penitenziaria. Dobbiamo anche domandarci perché le rivolte sono avvenute. Sicuramente perché c'erano condizioni che non hanno consentito il controllo delle carceri, altrimenti non si sarebbero verificate. C’è stata certamente una regia occulta: ne abbiamo avute in passato, ne avremo in futuro soprattutto se continuiamo con questa linea politica di non osservanza delle regole. L'emergenza coronavirus e gli errori del Dap, senz’altro sono stati i fattori che hanno innescato il detonatore della rivolta.

Responsabilità di governo e in particolare del Dap?

Il problema riguarda la classe politica che governa il carcere dal Ministro della Giustizia sino alla gestione del Dap: bisogna capire se le carceri sono ancora sotto il controllo e la gestione dello Stato tenuto conto dell’immobilismo assoluto nei confronti della necessità di riforme del sistema penitenziario.

L’aumento del tasso di criminalità può incidere su tali aspetti?

Questi fenomeni sono indipendenti dall'andamento della criminalità. Se fosse così, non si spiegherebbe che siamo il Paese con maggior tasso di corruzione in Europa e con minor numero di detenuti per tale reato in carcere. Sfatiamo un mito: l'andamento della popolazione carceraria non segue quello della criminalità. L'andamento della popolazione carceraria segue l'andamento degli indirizzi di chi governa e delle sue scelte di politica criminale. 

Come si potrebbe porre rimedio a questa condizione carceraria ormai divenuta insostenibile?

Il professor Glauco Giostra, che stimo e apprezzo, giurista e studioso di grande spessore culturale e giuridico, anni fa ha elaborò una riforma penitenziaria che condivido e che conteneva elementi di equilibrio, di efficienza, di autorevolezza, con lo spazio dedicato sia alle misure alternative sia alla riconciliazione con le vittime di reato. Il progetto non fu mai approvato sempre per bieche motivazioni politiche ed elettorali.

C’è chi come Gherardo Colombo propone l’abolizione del carcere, lei cosa ne pensa?

In una società come la nostra la sanzione penale purtroppo è ancora necessaria e non è tanto importante la severità, quanto la certezza della pena. Io credo che in un Paese democratico come il nostro, la pena vada personalizzata, cioè debba essere proporzionata alla gravità del fatto-reato, ma debba considerare anche la capacità del soggetto di essere recuperato alla vita sociale. Le vittime del reato, i loro familiari, i cittadini italiani stessi quando pensano alla certezza della pena, vorrebbero che il reo andasse in carcere immediatamente, giudicato subito con un processo celere che lo faccia stare in carcere dopo la giusta applicazione della pena. La sanzione penale deve essere l’extrema ratio e non la panacea di tutti i mali della società. Resto ancora oggi fermamente convinto di questa tesi. Voglio terminare con una mia riflessione: occorre stare attenti nel porre l’accento sul colpevole perdendo di vista la vittima. Reo e vittima devono essere considerati per ciò che sono nella realtà empirica perché per la vittima non c’è solo il danno, ma anche l’offesa e il suo diritto alla punibilità del reo.

Foto di Alberto Barco Figari da Pixabay 




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