sabato 1 dicembre 2012 - Damiano Mazzotti

La psicologia del pensiero. Intuizioni, illusioni e sprint mentali

“Pensieri lenti e veloci” è un saggio autobiografico di Daniel Kahneman, uno psicologo atipico che è diventato premio Nobel per l’Economia nel 2002 (Mondadori, 2012, 511 pagine, euro 22).

Il libro inizia citando il quasi banale “effetto alone”, che rappresenta l’esempio più caratteristico e comprensibile della psicologia sociale. Di solito quando parla un oratore simpatico, elegante e di bell’aspetto, “il pubblico tenderà a giudicare le sue osservazioni più favorevolmente di quanto egli non meriti”. Anche “l’effetto esposizione” è molto pervasivo: gli stimoli visivi e uditivi arbitrari che vengono ripetuti finiscono per suscitare familiarità e affetti positivi. L’effetto risulta più intenso “nel caso degli stimoli che l’individuo non vede mai consciamente” (Robert Zajonc e altri, 2000).

C’è pure il famigerato “effetto ancoraggio”, legato alla cattiva suggestione fornita dalle prime informazioni recepite. Questo fenomeno genera giudizi imprecisi e causa grossi problemi nelle negoziazioni. Naturalmente il premio Nobel illustra molti esempi relativi ai pensieri veloci derivanti da circuiti intuitivi prevalentemente inconsci e multisensoriali, e molti casi relativi ai pensieri lenti risultanti da processi prevalentemente razionali e astratti legati all’attività cosciente e mirata. L’intuizione è imprecisa, però la sua velocità può salvare la vita alle persone in caso di emergenza.

Il processo di intuizione può essere influenzato dalla tradizione, dall’abitudine, dalle posizioni politiche e finisce per ingannare anche gli psicologi più esperti e i premi Nobel. Una ricerca ha dimostrato che “gli psicologi di solito sceglievano campioni così piccoli che si esponevano a un rischio del 50 per cento di non riuscire a confermare le proprie ipotesi vere” (Jacob Cohen, 1962). Mentre per i medici è l’eccesso di sicurezza che genera errori irrecuperabili. In uno studio si è osservato che i medici che si erano dichiarati “assolutamente sicuri” della loro diagnosi prima della morte del paziente, si erano sbagliati nel 40 per cento dei casi (Berner e Graber, 2008).

Per quanto riguarda le relazioni tra riflessioni economiche astratte e comportamenti, alcune ricerche dimostrano che è sufficiente suscitare l’idea del denaro nella mente di un soggetto per indurlo a essere più individualista, meno dipendente dagli altri e più solitario (Kathleen Vohs). E la sottovalutazione dei rischi e delle incertezze è una delle concause preponderanti delle ricorrenti crisi economiche da eccessi nelle speculazioni (Nassim Nicholas Taleb, “Il cigno nero”).

Comunque, quando si esegue un compito dove serve molta attenzione e molta concentrazione, si diventa quasi ciechi nei confronti di tutti gli stimoli al di fuori dell’attività principale. Questi “sprint mentali” bruciano molte energie e molti zuccheri. Se si eseguono troppo scelte in un giorno e si è stanchi, affamati o carenti di glucosio, risulta alta la probabilità di esprimere giudizi molto approssimativi e sbagliati. In ogni caso “Chi prende le decisioni migliori è una persona che sa quando non può fidarsi di se stesso” (Roy Baumeister, http://baumeister.socialpsychology.org).

In appendice è stata pubblicato l’intero articolo della famosa ricerca condotta insieme al collega psicologo Amos Tversky, che morì prima dell’attribuzione del premio Nobel. In estrema sintesi è stata dimostrata la propensione delle persone a ridurre i rischi nel caso di attività che favoriscono i guadagni, mentre tendono a correre più rischi nel caso di attività in cui sono previste delle perdite. La paura di perdere supera il piacere di vincere e la predisposizione a rischiare “nel settore delle perdite” è stata osservata da molti ricercatori, “anche nei risultati non monetari, come le ore di sofferenza e la perdita di vite umane” (p. 494). Nella protezione civile e nei contesti di scelta militari e sanitari bisogna perciò discutere di eventuali vite salvate e non di vite perdute.

Inoltre “l’avversione alla perdita è una potente forza conservatrice” per gli individui e le istituzioni. Si può arrivare alla schiavitù dei costi sommersi: dati gli investimenti iniziali le persone non riescono a lasciare partiti, studi o lavori logoranti e poco produttivi, oppure matrimoni infelici basati sulla violenza fisica o psicologica. E i negoziati che si concentrano su “una torta sempre più piccola sono particolarmente difficili, perché impongono un’allocazione delle perdite. La gente tende a essere più accomodante quando tratta per fette di una torta sempre più grande” (p. 336).

In definitiva “la scienza è una questione di probabilità e nessuno nasce statistico” (Amian Azzott). Ma i test o gli esperimenti scientifici vanno contestualizzati e non possono sostituire la realtà della vita quotidiana, altrimenti si corre il rischio di rimanere intrappolati nella classica “illusione di validità” (l'errore prediletto da professori e ricercatori). Alla fine dei conti anche gli economisti devono studiare a fondo la statistica per comprendere bene le implicazioni quotidiane della regressione verso la media, della correlazione casuale o della validità limitata della teoria dell’utilità attesa, che non considera l’effetto certezza contemplato dal paradosso di Allais (www.allais.info).

Con più occhi e più cervelli, con la variabilità di pensieri lenti e veloci messi in discussione, con procedure controllate si possono eliminare gli errori più gravi e pericolosi (http://gawande.com). Però le organizzazioni scientifiche dovrebbero essere meno burocratiche e più recettive nei confronti dei non accademici (gli osservatori informati e gli autodidatti fuori dal sistema come Leonardo da Vinci, Einstein e Lincoln, che abolì la schiavitù). I sistemi economici, sociali e scientifici sono pieni di illusioni e sarebbe meglio discutere di utilità relativa e di utilità psicologica vissuta, poiché “l’illusione di focalizzazione” dovuta alla troppa attenzione è sempre presente.

In realtà, “niente, nella vita, è importante come pensiamo che sia”.

Daniel Kahneman insegna Psicologia e Affari Pubblici all’Università di Princeton e alla Woodrow Wilson School of Public and International Affairs (http://wws.princeton.edu). In Italia ha pubblicato “Economia della felicità” nel 2007 e “Psicologia dell’attenzione” nel 1981. 




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