martedì 5 gennaio 2021 - UAAR - A ragion veduta

La pornostar Valentina Nappi: “Traffickinghub è una campagna moralizzatrice dei fondamentalisti cristiani”

Valentina Nappi è una delle più note pornostar al mondo. Atea dichiarata e, precisa, «critica verso ogni forma di riconoscimento di un qualsivoglia valore positivo, nel mondo contemporaneo, alle religioni basate su verità rivelate», non manca di sostenere la «necessità di eliminare con ogni mezzo la cultura sessista e di contrastare le naturali tendenze umane al sessismo, alla xenofobia, all’identitarismo, al tradizionalismo, alla religiosità e in generale all’irrazionalità antimoderna». 

Sfidando a tutto campo le istanze retrograde, non solo quelle dei bigotti di matrice religiosa e tradizionalista ma anche di una fetta – a suo avviso maggioritaria – del movimento femminista. Non manca di partecipare al dibattito intellettuale: per qualche tempo ha animato un blog su Micromega.

In questi giorni ha lanciato un video appello, annunciando il suo possibile ritiro dal mondo dell’hard. Il motivo? La decisione di alcuni importanti gestori di pagamenti di bloccare le transazioni verso Pornhub, una delle più grandi piattaforme per adulti al mondo. Per questo tanti attori e attrici rischiano infatti di perdere una parte cospicua dei propri compensi, già minati dalla crisi causata dalla pandemia globale di coronavirus.

Se vi state chiedendo perché la intervistiamo sul nostro blog, per prima cosa le chiediamo: perché nei confronti di Pornhub è stata presa questa decisione e cosa c’entra con le questioni che ruotano intorno alla laicità e alla religione?

L’accusa nei confronti di PornHub è di ospitare video pedopornografici e di stupro, ma in realtà il numero è estremamente esiguo e inferiore di diversi ordini di grandezza al numero di video dello stesso tipo che circolano su altri social network. Negli ultimi tre anni, la Internet Watch Foundation ne ha rilevati 118 su PornHub, laddove ad esempio per Facebook si parla di numeri completamente diversi: addirittura 84 milioni. Nonostante ciò, al fine di ridurre ulteriormente il numero di video illegali e possibilmente azzerarlo, PornHub ha recentemente deciso di accettare esclusivamente materiale caricato da utenti verificati: nessun altro sito fa questo, si tratta di una scelta che pone PornHub all’avanguardia della prevenzione della diffusione di materiale illegale. Perché dunque si è puntato il dito contro PornHub e non contro Facebook? Evidentemente per un solo motivo: perché PornHub è una piattaforma che ospita contenuti per adulti (ed è anche un brand che stava diventando un fenomeno di costume col suo merchandising, l’apertura di un temporary store a Milano e altro). Contro PornHub si sono schierati gruppi come il National Center on Sexual Exploitation, che precedentemente si chiamava Morality in Media ed era parte della destra religiosa, ed Exodus Cry con la sua campagna Traffickinghub. Exodus Cry è un’organizzazione fondata nel 2007 come gruppo di preghiera da Benjamin Nolot, che è tuttora CEO dell’organizzazione ed è un membro della Charismatic Christian International House of Prayer (i “cristiani carismatici” ritengono che le manifestazioni dello spirito santo viste nei primi tempi della chiesa — parlare in altre lingue, guarigioni, miracoli — siano ancora possibili per i cristiani di oggi e andrebbero sperimentate come allora). Nonostante i tentativi da parte del National Center on Sexual Exploitation e di Exodus Cry di negare i loro legami con gruppi religiosi, questi sono assolutamente evidenti. Le campagne contro PornHub non hanno evidentemente (per le ragioni — innanzitutto numeriche, di ordine di grandezza — già dette) come vero bersaglio i contenuti illegali su internet, ma sono mere campagne “moralizzatrici” contro la pornografia condotte da gruppi che fanno molta fatica a camuffare la propria matrice religiosa.

Chiarito chi c’è dietro questa campagna, occorre rilevare le criticità che possono esistere soprattutto nell’esprimere il consenso per girare video dai contenuti espliciti. Come risponde a chi sostiene – comprese non poche femministe – che il porno è di per sé degradante per la donna e che veicola un’idea della sessualità consumistica e fallocentrica, tale da sdoganare una diffusa cultura dell’abuso e della mercificazione del corpo?

Il fatto che si ritenga che esistano criticità particolari nell’espressione del consenso quando si tratta di girare video per adulti è parte del problema. Girare video per adulti, così come girare per puro divertimento video con contenuti sessuali “fatti in casa” coi propri partner (e magari, perché no, dare il consenso alla loro diffusione), deve essere visto come qualcosa di assolutamente normale. È lo stigma nei confronti delle persone ritratte il problema, e questo vale anche nei casi di revenge porn. Nessuno dovrebbe subire conseguenze negative perché figura in un video con contenuti sessuali che circola su internet. È giusto che si possa negare il consenso alla diffusione di tale materiale se vi si figura; ma se il vero motivo per cui si nega il consenso è lo stigma che si subirebbe in caso di diffusione, allora esiste un problema. Il diritto a non subire porn revenge dovrebbe essere considerato come mero diritto alla privacy, ma il diritto alla privacy non deve essere usato per far passare in secondo piano il (ben più importante e significativo per il progresso sociale) diritto, di cui gode chi alla privacy volontariamente rinuncia, a non subire alcuno stigma.

Quanto alle femministe e agli anti-porno, il loro problema consiste appunto nel considerare una sessualità “spinta”, o la diffusione di materiale che rappresenta una sessualità spinta, degradante per la donna. Cadono così in una sorta di stilnovismo e in una visione della donna come creatura delicata e bisognosa di protezione. Cioè proprio in quel modello sessista che vorrebbero criticare.

La campagna Traffickinghub, fino a poco tempo fa di nicchia, ha avuto ampio risalto con un articolo sul New York Times di Nicholas Kristof, autorevole giornalista progressista vincitore del Premio Pulitzer, che ha denunciato alcuni casi di abusi su minori finiti su Pornhub. In Canada, dove ha base questa piattaforma per adulti, anche il premier liberale Justin Trudeau ha espresso sconcerto. Sembra formarsi una paradossale convergenza tra il moral panic integralista e l’estremo tatto progressista sulla questione del consenso riguardo la sessualità. Quali sono i rischi di questa “santa alleanza”?

Che i sedicenti progressisti convergano su posizioni conservatrici non è una novità. In Italia ad esempio il PCI, ma anche storiche leader femministe come Luisa Muraro o la parlamentare Lina Merlin, sono stati quasi sempre retroguardia nelle principali battaglie di progresso civile come quella per il divorzio e l’aborto. Il rischio vero — che è anche, paradossalmente, un’opportunità di riforma per il mondo progressista — è che la gente voti a destra perché stanca del “moralismo” di sinistra. Se il mondo liberal e di sinistra, ottenebrato dalla politically correctness, diventa sessuofobico, anti-porno e simili, alcuni preferiranno la destra.

Valentino Salvatore

Foto: Valentina Nappi/Facebook




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