mercoledì 19 maggio 2021 - UAAR - A ragion veduta

La politica velata

Alla fine, anche il partito di Macron è inciampato sull’hijab. Sara Zemmahi, candidata alle elezioni locali, si è infatti presentata velata in pubblico. 

La destra ha immediatamente scatenato la polemica e Stanislas Guerini, delegato generale della République En Marche, ha dovuto prendere le distanze da Zemmahi. Indossare simboli religiosi, ha fatto sapere, non corrisponde ai «valori» della formazione presidenziale, per cui le ha ritirato l’appoggio. Anche perché è venuto a galla che la candidata è dirigente di un’associazione che non solo promuove esplicitamente l’uso del velo, ma è pure contigua ai Fratelli musulmani.

La legge francese non impedisce di usare il velo nella campagna elettorale. Ma, come ha detto il portavoce del governo, Gabriel Attal, quella di Lrem è una decisione «politica», non giuridica. Per un esecutivo che è intervenuto duramente contro il separatismo islamista e ha stigmatizzato l’islamogauchisme, la contraddizione era sin troppo evidente.

Le fotografie di candidate con il capo ostentatamente coperto hanno ovviamente ricadute sia sull’immagine dell’islam, sia su quello dei partiti per cui si presentano. Gli islamisti promuovono l’uso del velo per far capire a tutti che soltanto così una musulmana è “davvero” una musulmana, accrescendo nello stesso tempo la visibilità della loro fede nello spazio pubblico. Diversi partiti liberal e di sinistra, presentando candidate velate, cercano invece di mostrare quanto sono tolleranti e plurali. Un caso rilevante in Italia è quello di Sumaya Abdel Qader, consigliera comunale Pd a Milano e anch’essa vicina ai Fratelli musulmani: la candidata islamica non velata non è stata invece eletta, e in seguito ha anche lasciato i democratici. Così facendo, questi partiti finiscono quindi – quanto involontariamente? – per muoversi nella stessa direzione indicata dagli islamisti.

Resta il fatto che è sempre più palpabile l’assenza di forze politiche capaci di battersi per diritti (e doveri) uguali per tutti, formate da attivisti impegnati su obiettivi politici condivisi e sovraordinati, in nome dei quali lasciano laicamente nella sfera privata le personali convinzioni filosofiche. Chi si oppone alla propaganda monoculturale dei Salvini e delle Meloni, infatti, sempre più spesso ricorre ad auto-rappresentazioni multiculturali. Sono veicolate da esponenti che promuovono senz’altro un’identità, che tuttavia non è quella del partito – facendo quindi nascere il sospetto che servano a coprire l’assenza di programmi politici. Una volta eletti, però, penseranno a diffondere la propria identità ‘forte’, e non quella estremamente labile della lista che ha consentito loro di raccogliere i voti necessari. Non per caso è quanto è accaduto anche alla stessa compagine di Macron, il cui gruppo parlamentare ha subito così tante scissioni da perdere la maggioranza all’assemblea nazionale.

Da una parte l’eterna minestra che passa il convento dei nazionalisti cristiani, dall’altra l’insalatona con tutti gli avanzi comunitari conservati nel frigorifero, quasi sempre scaduti e spesso confessionali. La qualità non può che essere invariabilmente scadente.

Raffaele Carcano

 

 




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