giovedì 3 dicembre 2020 - UAAR - A ragion veduta

La morte può attendere: cinquant’anni dal vero divorzio all’italiana

La famosa pellicola del 1961 di Pietro Germi, Divorzio all’italiana, è emblematica di quel contesto culturale perdurato in Italia per la maggior parte del ventesimo secolo, che oggi appare ormai anacronistico, in cui il matrimonio era indissolubile e al tempo stesso il delitto d’onore non veniva punito per quello che è: un omicidio.

 La formula del rito nuziale prevedeva infatti esplicitamente, e tuttora prevede nella variante concordataria, l’impossibilità della separazione coniugale fino alla morte di uno dei coniugi, per cui il protagonista della commedia medita di ricorrere proprio al delitto d’onore per porre fine al suo matrimonio nel modo meno doloroso possibile.

A essere precisi una vera alternativa al divorzio c’era allora e c’è tutt’oggi: si tratta dell’annullamento, ammesso in casi limitati e per ragioni particolari che in ambito civile è sempre stato difficile da ottenere, a differenza che in ambito concordatario, quindi ecclesiastico, dove le sentenze di annullamento del Tribunale ecclesiastico (Sacra Rota) vengono invece emesse molto più facilmente, al punto che perfino i papi hanno ripetutamente e sterilmente esortato i loro giudici a prestare maggiore attenzione. Per effetto del concordato poi la sentenza di nullità viene quasi sempre recepita nell’ordinamento italiano con la procedura di delibazione richiesta alla Corte di Appello competente. In questo modo il principio cattolico del “l’uomo non osi separare ciò che Dio unisce” viene fatto salvo, poiché il Tribunale ecclesiastico sarebbe illuminato da Dio stesso.

L’indissolubilità del matrimonio è stata superata nell’ordinamento italiano con la legge 898/1970, detta legge Fortuna-Baslini dai nomi dei relatori, che il primo dicembre di quest’anno spegne cinquanta candeline; la legge che puniva il delitto d’onore rendendola una fattispecie meno grave dell’omicidio sopravvisse invece per un altro decennio, fino alla sua abrogazione nel 5 agosto del 1981. Con l’approvazione della legge sul divorzio il matrimonio cessò di essere un contratto di efficacia illimitata, un’unione “finché morte non vi separi”, per diventare a durata indefinita, fino cioè a quando una delle parti non ne richiede lo scioglimento. Il fronte conservatore cattolico, da sempre oppositore del divorzio, promosse poi un referendum per l’abrogazione della Fortuna-Baslini che ebbe luogo il 12 maggio del 1974. Circa sei votanti su dieci respinsero la proposta referendaria di abrogazione, facendo così diventare quella consultazione popolare una delle due storiche sconfitte delle illiberali campagne della Chiesa cattolica; l’altra ebbe luogo nel 1981 con la sonora bocciatura in occasione del referendum contro l’aborto.

Con il divorzio si ottiene lo scioglimento del vincolo ma, a differenza dell’annullamento, non la cessazione di tutti gli obblighi che ne derivano. Alcuni vincoli riguardanti il patrimonio, che con il matrimonio ha in comune la stessa radice etimologica – per i latini il matrimonium era il dovere della madre (la prole) mentre il patrimonium era quello del padre (il sostentamento) – permangono anche dopo lo scioglimento. La parte economicamente debole conserva il diritto a un assegno di mantenimento qualora non possa sostenersi con un reddito proprio, inoltre permangono diritti sulla pensione di reversibilità e sul Tfr del coniuge. la legge impone un periodo di separazione che in origine doveva durare almeno cinque anni, ma che in seguito è stato abbassato prima a tre anni, nel 1987, e poi portato nel 2015 a un anno se la separazione è di tipo giudiziale e sei mesi se è di tipo consensuale.

L’accorciamento dei tempi necessari per la separazione e per il divorzio è stata una delle battaglie laiche degli ultimi decenni e naturalmente uno degli obbiettivi dell’Uaar. La legge approvata a larga maggioranza nel 2015 li ha accorciati entrambi introducendo per la separazione due nuove modalità consensuali: la prima, percorribile solo in assenza di figli minori e di trasferimenti patrimoniali, è quella davanti all’ufficiale di stato civile e senza l’assistenza di alcun avvocato; la seconda, alternativa alle modalità esistenti che richiedono l’intervento del presidente del Tribunale con l’assistenza di almeno un legale per la coppia, è la negoziazione assistita con un legale per parte (ma in genere il secondo legale è solo un associato del primo che figura nominalmente) che necessita unicamente di un’autorizzazione della Procura. La Procura in quest’ultimo caso si limita a verificare la correttezza formale e il rispetto dei diritti dei minori, per poi emanare il suo nulla osta nel giro di poche settimane.

È stato fatto molto? Certo che sì, le inutili attese sono state pesantemente ridimensionate a tutto vantaggio sia dei coniugi che dell’intera famiglia. Cinque anni di attesa, sommati a diversi mesi di iter burocratico anche in caso di semplice separazione consensuale, sembravano più una punizione per aver fatto fallire il matrimonio che il riconoscimento di un diritto. Si può fare di più? Sicuramente sì. Si potrebbe saltare del tutto la fase di separazione, considerato che quasi nessuna coppia decide di separarsi su due piedi ma la decisione viene maturata dopo un periodo più o meno lungo di crisi. Anche i tempi delle procedure andrebbero accorciate rendendo le stesse meno farraginose. È chiaro che in assenza di un accordo tra le parti non vi è alternativa al ricorso a una separazione giudiziale presso il Tribunale, ma laddove un accordo c’è non si vede perché non si possa permettere di depositare una semplice scrittura privata presso il Comune ove il matrimonio è stato celebrato, anche in presenza di figli minori e di accordi patrimoniali.

Si eviterebbero così inutili agonie, perché non va trascurato il fatto che da un punto di vista tecnico, se non si è ancora avviato l’iter che porterà alla separazione si sarebbe sempre obbligati alla convivenza. Contravvenire a quest’obbligo di legge potrebbe costare l’addebito della separazione per abbandono della casa coniugale. Inutile dire, in aggiunta, che spesso questa convivenza forzata non è affatto tranquilla e potrebbe esacerbare gli animi con conseguenze impredicibili. Talora anche predicibili, purtroppo. E allora esortiamo le istituzioni a fare qualche altro sforzo per semplificare e abbreviare tutte le procedure a vantaggio della serenità di tutti, e nel frattempo assistiamo al declino sociale del matrimonio che lascia il posto alle sempre più diffuse unioni di fatto, oggi normate dalla stessa legge 76/2016 che ha introdotto le unioni civili per le coppie omosessuali.

Massimo Maiurana

Ricordiamo la diretta di oggi alle 18:30 con Chiara Saraceno e Cinzia Sciuto:
DAL DIVORZIO ALLE UNIONICIVILI, UNA STORIA LUNGA CINQUANT’ANNI 
organizzata da MicroMega in collaborazione con UAAR e Iniziativa Laica

 




Lasciare un commento