martedì 14 dicembre 2010 - Trilussa

La meglio gioventù

Mi è capitato di ascoltare alla radio la vecchia canzone “Occhi blu” di Vasco Rossi per cui l’ho cercata su Youtube e l’ho riascoltata con piacere. E’ la versione originale, quella registrata, e mentre scorre passa in sottofondo un video con immagini di Vasco, mescolate a caso. Foto di tutta la sua vita, alcune recenti insieme ad altre di quando era più giovane o addirittura bambino. E' forte il sentimento che ispirano quelle foto, in particolar modo quelle dove lui è molto più giovane, più magro, con quella bella faccia scarna e sbarazzina, con i capelli a volte lunghi e a volte corti, con quel suo sguardo sfrontato e irriverente.

Lo sguardo di un periodo, un periodo in cui anche noi avevamo quell’aspetto lì, con tanti capelli, con l’addome piatto come hanno i giovani, la muscolatura ancora bene in evidenza e non ancora ricoperta, spalmata come ora di pannicoli adiposi che la nascondono. Ma soprattutto con la mente di un periodo, con le speranze e i sogni di un periodo, con le attese e le quasi certezze di una vita bella e felice in un mondo nuovo, bello e felice. I giovani di quegli anni, degli anni 60 (Vasco Rossi però è del 1952 e nel 68 aveva appena 16 anni) avevano ancora un futuro che era possibile costruire. I giovani si sentivano ancora autori del proprio destino, si sentivano in grado di modificare, con il loro comportamento, le loro lotte e il loro impegno la vita propria e della società in cui avrebbero voluto vivere.

Non esisteva praticamente precariato e con l’applicazione e lo studio in quegli anni c’era la ragionevole certezza di trovare un buon lavoro, una occupazione fissa che ti conduceva senza scosse fino alla pensione, la sicurezza di poter condurre una vita dignitosa, lontana dal bisogno e sufficientemente felice. Con l’impegno politico quei giovani si sentivano in grado anche di poter incidere in maniera significativa sulla conduzione politica del proprio paese. Giovani con in testa ideali di pace, di diritti, di solidarietà e di uguaglianza fra tutti i cittadini, di uno stato giusto veramente vicino al popolo che vedremo soccombere miseramente purtroppo nei decenni successivi. Anche la musica di quegli anni riflette questo desiderio e questi ideali. La produzione musicale degli anni 60 è infatti ritenuta la più originale e più significativa di tutta la nostra produzione musicale nazionale. Molte canzoni di quegli anni sono conosciute da moltissimi giovani e riproposte ancora oggi, mentre basta passare al decennio precedente, quella dei ’50, per trovare un’assenza totale.

Vasco comunque risente poco di questo influsso, forse è nato qualche anno troppo tardi, e definendosi canta-provocautore indirizza la sua musica in un senso più intimistico e solo parzialmente rivolto al sociale. Ma quei ragazzi magri, con la sigaretta in bocca, con l’eskimo con il cappuccio tirato su per rimanere fermi sotto la pioggia, magari davanti alla polizia schierata per impedire l’occupazione di un facoltà universitaria, rimangono un mito e una bellezza; rimangono anche la struggente nostalgia di quegli anni pieni di idee, pieni di concetti, pieni di impegno, pieni soprattutto di speranza. Non sappiamo come abbiano fatto a scivolare via senza alcun clamore, come quegli ideali e tutto quel pensare, quel tumulto di idee e di impegno politico e sociale si sia ridotto, affievolito, consumato fino a scomparire completamente nella società attuale.

Come gli stessi ragazzi che vediamo nelle foto d’epoca con i capelli lunghi e la barba, con i cartelli in mano scritti malamente col pennarello, talvolta con i passamontagna per non essere schedati dalla polizia (i caschi no, i caschi non si usavano a quel tempo, le manganellate si prendevano direttamente in testa) si siano dispersi nella società senza dare un seguito alle loro idee rivoluzionarie. Rivoluzionarie per quel tempo, quando pensare che un lavoratore dipendente potesse vantare dei diritti nei confronti del “padrone” era rivoluzionario (ricordo che lo Statuto dei Lavoratori arriverà solo nel 1970). Dove sono andati a finire? Si sono accontentati, poi in fondo, solamente del posto fisso in banca o della cattedra alle medie? E davvero sono proprio loro alla fine, come sostiene lo scrittore Marcello Veneziani nel suo libro “Rovesciare il sessantotto”, la causa prima di questa decadenza culturale e sociale? Perché quegli ideali così straordinari oramai sono diventati marginali nella nostra società, dove il sentimento prevalente è l’egoismo, la qualità più ambita è la furbizia, il desiderio principale è quello di avere denaro, di apparire, di avere cose.

Una vita condizionata in tutto per tutto dalle multinazionali, distrutta dalle banalità televisive, dai ricorrenti film di Natale, dalle solite promesse dei politici interessati, dai summit dei Grandi della Terra che si preoccupano solo dei propri affari, dalle illusioni dei grandi Centri Commerciali visti come la Nuova Frontiera dove si può trovare l’oro del prezzo scontato che ti fa portare a casa oggetti sempre più inutili con aumento progressivo dei rifiuti e altrettanto progressiva diminuzione della saggezza. (A proposito, vi ricordate dove avete messo la vostra stupida, stupida vuvuzela?) Le nostre menti, oramai private di quegli ideali, svuotate di valori fondamentali sono facile preda di manipolazioni, nemmeno troppo nascoste. Compriamo cosa ci dicono di comprare, mangiamo cosa ci dicono di mangiare, ci comportiamo tutti nella stessa stereotipata maniera, confondiamo i valori distruggendo i luoghi dove viviamo in nome del falso mito del progresso, siamo facile preda di speculatori che ci abbindolano con false promesse di facile benessere. La soddisfazione e la gioia di vivere che trovavamo un tempo percorrendo una strada solitaria in un bosco, o di fronte a un tramonto sul mare, o anche sotto un cielo stellato ora la andiamo a cercare nel ristorante alla moda, nella discoteca “in” o nell’Outlet delle Firme. Siamo un paese decadente con idee decadenti, politici decadenti e prospettive decadenti. Vorremmo in cuor nostro tornare di nuovo giovani per poter provare di nuovo, magari cercando di evitare i tanti errori commessi, o forse solo per sentire di nuovo dentro di noi quella passione, quel sentimento forte di amore per il nostro paese, quella volontà e quell’impegno nel cercare di costruire qualcosa che sentivamo importante, quella voglia di aiutare gli altri che ci ha guidato in quei tumultuosi ma straordinari anni dove tutto era ancora possibile.




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