giovedì 5 dicembre 2019 - Professional Consumer

La lingua batte dove il dente duole

La lingua batte dove il dente duole. Fuor di metafora, quella crescita che non cresce sbatte contro un debito che cresce, anzi dilaga. La Penisola è terza al mondo anche per il peso del debito pubblico pro capite con €57.000 a parità di potere d’acquisto, dopo il Giappone (oltre 90mila dollari) e gli Usa (65mila circa), contro una media Ocse di €48.750.

La lingua batte dove il dente duole. Fuor di metafora, quella crescita che non cresce sbatte contro un debito che cresce, anzi dilaga. La Penisola è terza al mondo anche per il peso del debito pubblico pro capite con €57.000 a parità di potere d’acquisto, dopo il Giappone (oltre 90mila dollari) e gli Usa (65mila circa), contro una media Ocse di €48.750. E' più che raddoppiato in 20 anni l’indebitamento delle famiglie italiane, passato dai 13mila euro del 1998 ai 27mila euro del 2018. Lo indica il Report del Fondo di prevenzione del sovraindebitamento e dell'usura, gestito da Adiconsum.

Se non basta ce n‘è ancora: Continua inarrestabile la crescita del debito globale. Nella prima metà dell’anno ha sfondato la soglia dei €227 mila miliardi di dollari.

Se non dovesse bastare lo evidenzia l’ultimo rapporto, pubblicato dall’International Institute of Finance, dal quale emerge che il debito globale è aumentato di €6,82 mila miliardi nei primi sei mesi del 2019. Per fine anno le attese sono per un ulteriore aumento, fino a €231,92 mila miliardi. A trainare la crescita, l’impennata dei debiti negli Stati Uniti e in Cina.

E le Imprese, si dirà?

Già, le Imprese , imprecano: Negli Usa,l'utilizzo della capacità degli impianti - che misura la produzione industriale rispetto al potenziale - è sceso di 0,8 punti percentuali al 76,7%, contro attese per un dato al 77%; il dato resta sotto la media di lungo termine del 79,8% registrata tra il 1972 e il 2017. Prima dell'ultima recessione, il dato era solitamente oltre l'80%.

Dal 2007 a oggi in Italia c'è stato un forte calo degli investimenti, con una perdita di oltre 907 miliardi nella dotazione di capitale. Lo ha sottolineato il vicedirettore generale dell'Abi, Gianfranco Torriero, secondo cui "gli investimenti sono ancora molto inferiori rispetto ai livelli precrisi".

"Oggi, ha spiegato Torriero gli investimenti sono il 17% in meno rispetto al periodo precrisi, pari a -68,6 miliardi di euro nel confronto tra il 2019 e il 2007. Se si cumula la perdita segnata in ciascun anno, abbiamo -907 miliardi di minore dotazione di capitale in Italia".

Amarus in fundo: Confesercenti commenta i dati sulla fiducia di imprese e famiglie diffusi oggi da Istat. La fiducia delle famiglie segna una pesante battuta d'arresto, un segnale negativo che potrebbe preludere ad un ulteriore indebolimento dei consumi, praticamente fermi, con l'incubo della recessione che torna a pesare sul futuro".

Niente paura, la soluzione c’è. Arriva la créme dell’accademia economica, sbircia, confabula poi sentenzia: stagnazione secolare!

Ci risiamo, cento anni flat pur di non voler andare oltre quel che blatera quell’appassito paradigma che recita l‘Impresa generatrice di ricchezza…

Ennò, cavolo, tutti questi dati dicono d’altro: come la crescita si faccia con la spesa, e quando, mancano i denari per farla, tocca farla a debito. Così quando se n‘è fatto troppo, faccio meno spesa; le imprese, allarmate, smettono di investire e paraponzi, ponzi, pò.

Indi percui poscia, per far tornar ad investire lor Signori e rimettere il debito, s’ha da trovare il modo di poter far fare quella spesa che smaltisce, riattivando il ciclo e creando la ricchezza che riduce quel debito; buono per sanare pure il gap dell’out put.

 

Ehi, per non dimenticare vi lascio, più che un promemoria, un paradigma nuovo di zecca che sostituisca quello vecchio: "La crescita si fa con la spesa; quella dei Consumatori ne fa i 2/3. Così viene generato reddito, quel reddito che serve a fare nuova spesa. Tocca allocare quelle risorse di reddito per remunerare chi, con la spesa, remunera tutti; altro che far debito."

 

Mauro Artibani, l’economaio

 




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