mercoledì 19 ottobre 2022 - Phastidio

La leva dei guai e la banca centrale in ostaggio

Cosa ha causato il quasi crack degli asset britannici dopo il demenziale taglio di tasse contromano (in realtà pro-ciclico) di Truss e Kwarteng. Ma i rischi non sono solo britannici

Torniamo al movimento caotico visto sul mercato del titoli di stato britannici questa settimana, con sterlina a picco e rendimenti alle stelle sino al momento dell’annuncio di Bank of England di procedere ad acquistare sino al 14 ottobre cinque miliardi al giorno di Gilt a scadenza lunga, oltre i vent’anni, che ha tranquillizzato (si fa per dire) i mercati scatenando una reazione contraria ma sempre con volatilità molto elevata. Che è accaduto? E cosa potrebbe accadere?

Una eccellente spiegazione si trova nel blog dell’asset manager britannico M&G, specializzato in mercati obbligazionari, e che molto opportunamente si chiama Bond Vigilantes. Andiamo per punti. La Bank of England, che stava per avviare il cosiddetto Quantitative Tightening (QT) vendendo Gilt sul mercato per contribuire alla stretta monetaria che sta tentando di attuare per stroncare un’inflazione perniciosa, ha motivato questa clamorosa inversione di tendenza con l’esigenza di preservare la stabilità finanziaria e in particolare i fondi pensione.

IL MESTIERE DEL FONDO PENSIONE

I fondi pensione per mandato devono apprestare le risorse per pagare, nel futuro, le rendite vitalizie a chi ha cessato di lavorare. Quindi comprano strumenti finanziari con tale finalità. Di solito si tratta di titoli di stato a lunga e lunghissima scadenza oppure obbligazioni societarie di elevata qualità, ma sempre più spesso anche azioni.

Chi ha il cerino in mano? Dipende. Se la pensione è a “contributi definiti” ma rendita incerta perché in funzione dell’andamento del mercato nel corso del periodo di investimento, il rischio è in capo al futuro pensionato. Questo schema di investimento, che è ad esempio quello dei cosiddetti fondi 401(k) americani ma anche del nostro secondo pilastro previdenziale, è quello ormai dominante.

Ma ci sono ancora fondi pensione che assumono su di sé il rischio d’investimento, garantendo ai futuri pensionati una rendita definita molto tempo prima. Sono i cosiddetti piani a benefici definiti, che in Regno Unito sono ancora molto presenti. Da qui nasce il problema. Perché i fondi pensione devono generare quanto promesso. Per fare ciò, e tenere monitorato se ci stanno riuscendo, scontano i flussi futuri di pensioni che dovranno pagare al tasso d’interesse di solito espresso dai titoli di stato, in quanto “privi di rischio”.

In conseguenza di questa relazione, se i tassi aumentano, il valore attuale delle pensioni che il fondo dovrà pagare in futuro scende, e il fondo si troverà in equilibrio (fully funded). E viceversa (underfunded).

Ma come investe il fondo pensione? Nella versione più semplice, se dovrà pagare una data cifra tra trent’anni, comprerà il titolo di stato trentennale, oppure obbligazioni societarie di pari scadenza, o anche azioni, scontando l’alea ma anche il potenziale di apprezzamento di lungo periodo dell’investimento azionario.

DATEMI UNA LEVA, E ARRIVERANNO I GUAI

Questa tecnica di investimento, che punta ad eguagliare gli investimenti e i loro frutti con le passività future, si chiama Liability Driven Investing, investimento guidato dalle passività. In Regno Unito interessa portafogli previdenziali per circa 1.500 miliardi di sterline. Nella sua forma più elementare si realizza, come detto sopra, comprando titoli di stato con scadenza uguale al flusso di pensioni da pagare, il cui importo è pre-definito al momento dell’avvio del rapporto tra fondo e lavoratore (Defined Benefit).

Ma il LDI può avere variazioni sul tema. Ad esempio, anziché comprare titoli di stato in rapporto uno a uno con le passività future, il fondo pensione può entrare in uno swap con una controparte che pagherà un rendimento prefissato dietro versamento di un margine iniziale e di margini di variazione periodici (di solito giornalieri): se il rendimento sale, il fondo pensione deve integrare la garanzia (collateral), pagando soldi alla controparte. Se scende, avviene il contrario. Tecnicamente (non spaventatevi), qui il fondo pensione è “corto” del rendimento ma anche corto di leva finanziaria e quindi corto di volatilità. Se questi parametri aumentano possono arrivare guai, anche grossi.

Il fondo pensione è quindi a leva, nel senso che punta ad avere un reddito futuro ma senza comprare per l’intero importo necessario. In tal modo, libera risorse che può investire altrove per generare reddito aggiuntivo. Poiché il fondo paga una prestazione prefissata ai pensionati, tutto quello che guadagna in eccesso di tale prestazione rappresenta un utile per sé ed i suoi azionisti. Spesso questa leva è servita per colmare deficit attuariali, dove cioè le prestazioni future eccedono il valore degli investimenti. Oggi, proprio a causa di rendimenti in crescita, la situazione si è rovesciata.

Che è accaduto nei giorni scorsi, quindi? Che, a causa dell’aumento dei rendimenti sui Gilt, i fondi pensione hanno dovuto pagare somme sempre più elevate alle controparti, i cosiddetti margini di variazione. Per farlo, hanno venduto parte dei loro portafogli di attività, fatti soprattutto di Gilt ma anche di azioni e obbligazioni societarie. E qui si è creato il cosiddetto doom loop. Il circolo vizioso potenzialmente mortale. Rendimenti in aumento, vendita di titoli per pagare i margini giornalieri, aumento dei rendimenti causato da tali vendite, nuova esigenza di vendere per far fronte alle margin call.

collateral calls

È stato allora che molti fondi pensione britannici hanno lanciato l’allarme a Bank of England in quanto custode della stabilità finanziaria: aiutateci, o saltiamo. Ed ecco l’intervento: comprare Gilt per due settimane, dando tempo ai fondi pensione di rimettersi in equilibrio. A questo punto, le domande si moltiplicano. Servirà? Basterà? Che accadrà dal 15 ottobre?

Bank of England compra per 65 miliardi di sterline. L’operazione non è sterilizzata, nel senso che aumenta la liquidità di sistema, creata dalla banca centrale. Non solo: il Tesoro britannico si impegna a indennizzare l’istituto di emissione per le perdite che ad esso deriveranno in conseguenza di deprezzamento di quei titoli. Evento pressoché certo, vista la tendenza al rialzo dei rendimenti di mercato.

IL CONTAGIO E L’OSTAGGIO

Quindi, tirando le somme: la banca centrale può anche sbracciarsi dicendo che l’operazione di Quantitative Tightening, cioè la vendita di Gilt sul mercato, è solo rinviata, ma sarà il mercato a dire se ci crede o meno. Dal 15 ottobre. Altra lezione che abbiamo appreso: nel sistema finanziario, persino nelle sue parti più “noiose” e prevedibili come la previdenza integrativa, esistono aree grigie dove può operare la leva finanziaria e mettere a rischio la stabilità. Quindi la supervisione dovrà arrivare anche lì, col solito ritardo, immaginando scenari di crash solo dopo che i medesimi si sono realizzati.

Questa situazione riguarda solo i britannici? Per nulla. Quindi il rischio contagio è e resta ovunque. Ricordiamo che le bacchettate di mezzo mondo a Londra per la demenziale espansione fiscale in un momento di stretta monetaria derivano proprio dal timore di generare instabilità finanziaria aggiuntiva, per contagio. I fondi pensione britannici hanno in portafoglio anche grandi quantità di Bund tedeschi e Treasury americani. Tutti potenzialmente da gettare sul mercato.

Non solo: questi titoli in valuta sono di solito comprati sterilizzando il rischio di cambio, cioè vendendo a termine la valuta in cui sono denominati, contro sterline. Se la sterlina si deprezza, ecco che scattano nuove margin call che chiedono più valuta e costringono a vendere sterline, che si deprezzano ulteriormente. Altro doom loop, altro contagio e altro colpo alla stabilità di un mondo finanziariamente interconnesso.

Possiamo quindi temere altre minacce alla stabilità finanziaria da questa stretta monetaria convulsa? Sì. E in quel caso, le banche centrali smetteranno di stringere anche se l’inflazione non desse segni di cedimento? Ottima domanda. E che accadrebbe, in quel caso? Sicuri di volerlo sapere?

Incidentalmente, questo crack mancato potrebbe spingere a rivedere le norme di stabilità e trovare, al termine del cammino, che i piani pensionistici a benefici definiti sono da dismettere anche nei paesi dove erano sopravvissuti, lasciando ai futuri pensionati il rischio di mercato del loro risparmio previdenziale. Non per imposizione dei regolatori ma per scelta degli intermediari finanziari.

Che dire della Bank of England? Che è stata presa in ostaggio prima dal governo britannico, con la demenziale espansione fiscale, e dai mercati poi. Come si riesce ad essere indipendenti quando finisci in un angolo dove, qualsiasi cosa tu faccia, l’esito a breve o a lungo termine sarà negativo? Altra ottima domanda, da rivolgere ad una banca centrale che, formalmente indipendente da un quarto di secolo, non ha certo la reputazione della Bundesbank. Il tempo delle scorciatoie della politica contro la realtà pare prossimo a terminare. Ma il bastione delle banche centrali “indipendenti” temo non sia più tale.

Ma soprattutto, quelli a cui stiamo assistendo sono tutti effetti di fine di un ciclo finanziario espansivo senza precedenti, che ora presenta il conto.

Foto di Keli Black da Pixabay




Lasciare un commento