mercoledì 6 maggio 2020 - Phastidio

La grande battaglia degli aiuti di Stato

La pandemia ha causato una sorta di “liberi tutti” nella concessione di aiuti di stato entro la Ue. Come si può intuire, non tutti i paesi dispongono della capacità fiscale per sostenere il proprio sistema produttivo a mezzo di sovvenzioni e prestiti agevolati. Anche questo sta contribuendo ad alimentare tensioni tra i partner europei. Che, oltre ad essere partner, sono anche concorrenti a livello di sistema paese.

La prossima settimana è atteso un pronunciamento della Commissione europea sugli aiuti di stato a mezzo di capitale e strumenti ibridi, che sin qui ha rappresentato la linea rossa della politica di competizione in Europa. In altri termini, quando e come consentire agli stati di ricapitalizzare le proprie imprese private.

L’ingresso dello stato nel capitale privato rappresenta il passo logicamente successivo alla concessione di garanzie e prestiti pubblici, perché è difficile credere che, protraendosi la crisi, un’azienda possa continuare ad accumulare debito di sussistenza (spesso surrogato del fatturato scomparso) senza finire al collasso appena l’attività dovesse ripartire.

E qui veniamo ai problemi: dall’inizio della crisi, la Ue ha approvato aiuti di stato per 1.900 miliardi di euro, erogate attraverso 95 decisioni riguardanti i 26 stati dell’Unione più il Regno Unito. Di queste misure, il 52% sono tedesche. La profonde tasche dello stato tedesco consentono questo ed altro. E qui sorgono gli attriti con gli altri partner europei.

 

Per Francia e Spagna, in particolare, il concetto di “solidarietà”, cioè di trasferimenti tra paesi, affonda le proprie radici proprio in questa asimmetria di potenza di fuoco fiscale. Senza trasferimenti compensativi, si argomenta, è il mercato unico ad essere a rischio di sopravvivenza, perché il famoso level playing field viene meno.

Al momento, tedeschi, olandesi ed austriaci spingono per rimuovere quanti più vincoli possibile, ed il più a lungo possibile, alla disciplina degli aiuti di stato. Dall’altro lato, spagnoli, francesi e italiani rischiano di trovarsi spalle al muro, avendo assai meno munizioni fiscali. Questo è il tema che ci accompagnerà a lungo, ed il fatto che tedeschi e francesi si trovino da opposte parti della barricata è la wildcard da seguire, perché potrebbe cambiare il corso della storia nella Ue, in un senso o nell’altro.

Quando la crisi sarà finita, ci saranno paesi con un carico di debito pubblico difficilmente gestibile. Non sarà solo l’Italia, che pure è quella messa peggio. Se il rapporto d’indebitamento francese dovesse schizzare al 130-140%, e quello tedesco stabilizzarsi al 70-80%, difficilmente la struttura europea potrebbe reggere alle tensioni. A quel punto, o si troveranno misure fantasiose per fare sparire porzioni di debito pubblico, o saranno guai per tutti.

Ci sono due alternative: quella vera è accettare che imprese tedesche si comprino ampie porzioni delle proprie catene di fornitura o mercati di sbocco. La cosa non suscita in me orrore, ma ognuno reagisce in modo differente. L’alternativa finta è quella di delirare su uscite dall’euro e spaccare il fondoschiena al continente ed al pianeta, da cui però si dipende ben più di quanto il continente ed il pianeta dipendano da noi.

Il problema del nostro paese è che siamo arrivati sin qui con una pessima politica fiscale, di bilancio e industriale, e questo ha progressivamente ristretto i nostri margini di manovra. Il fatto che, negli anni del “populismo” trionfante (si fa per dire), in questo paese l’intero spettro politico abbia definitivamente gettato alle ortiche il concetto di trade-off, chiedendo burro, cannoni e cannoli, e che siamo in pratica diventati un ibrido tra le socialdemocrazie scandinave (per aspirazione) e l’URSS (per esiti concreti), non ha fatto che danneggiare la nostra capacità di resilienza e usurare la nostra capacità di mantenere contatto con la realtà.

A margine ma non troppo, la crisi sta mettendo in un angolo le imprese che sin qui avevano prosperato nel loro ruolo di “apolidi” e che ora, non avendo alle spalle uno stato in grado di sovvenzionarle o ricapitalizzarle, devono cercare di passare una nottata che si preannuncia non breve. Un esempio per tutti in un settore paradigmatico, è Ryanair. Che, oltre a contenere ferocemente i costi, non ha altre armi che cercare di impugnare gli aiuti di stato erogati ai suoi concorrenti, per evitare di soccombere. Le umane fortune cambiano in modo imperscrutabile.

Foto: European Parliament/Wikimedia




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