martedì 24 dicembre 2013 - Spike

La “fatale separazione fra ebrei e Israele” e i memoriali della Shoah

Un editoriale del Foglio di venerdì 20 dicembre, a firma “redazione” si lancia in un'interessante riflessione, bizzarra nelle argomentazioni, soprattutto in relazione all'area politica e culturale del giornale.

Il Foglio non propone direttamente, come commenta giustamente Anna Foa su Moked, di abolire la memoria della Shoah, ma decide di incollare quest'ultima tout court allo Stato di Israele, facendo degli ebrei morti nei campi di sterminio un unicum con i cittadini dello Stato di Israele.

(Che poi, lo sanno che in Israele non ci sono solo cittadini di religione ebraica?)

Dice il Foglio che esistono tanti antisemitismi – sulla cui separazione e categorizzazione passa piuttosto velocemente – per arrivare a “l'antisemitismo fattivo” che per il quotidiano è quello attuale di Hamas; che cancella la storia ebraica dai libri, che fa del Talmud e della Mishnah dei falsi, arrivando a mettere insieme, alla fine del ragionamento la “sopravvivenza dello Stato di Israele”, la “ripresa dell'antisemitismo” e la Shoah.

E, per non fare il gioco degli ayatollah, ovvero la “fatale separazione fra ebrei e Israele”, cosa propone il Foglio? Di smetterla con la “retorica pseudoeducativa sull’antisemitismo”, ma di essere onesti e chiamare le cose con il loro nome:

“Mentre tutta la nostra vigilanza morale veglia sui sei milioni di ebrei morti, esponiamo i sei milioni di ebrei vivi alla violenza genocida. La Birkenau virtuale, museale e di plastica che stanno riproducendo nel cuore di Roma serve a poco. C’è quella vera, a Oswiecim, per chi volesse comprendere, con tanto di camere a gas diroccate. Occupiamoci, invece, della Birkenau nucleare che l’Iran e i suoi sodali vogliono costruire in medio oriente e dei rimpalli schiamazzanti dell’antigiudaismo nel nostro tempo”.

Si tratta di un passo in avanti nella retorica sullo Stato di Israele al quale neanche la destra israeliana è arrivata: non conta più la Shoah (quella vera), non conta più la memoria dei sei milioni di morti, perché ora la Shoah è tutta (a rischio) in Israele.

Israele non è nemmeno più il prodotto della Shoah – come nella retorica della destra – ma diventa la Shoah stessa.

Un ragionamento del genere è molto grave dal punto di vista politico: mette in mano a coloro che accusano Israele di usare la memoria della Shoah per giustificare la sua politica un perfetto assunto teorico. Diventa inoltre un ottimo argomento in mano ad antisemiti vecchi e nuovi, negazionisti, cospirazionisti, complottisti e compagnia cantando.

È grave anche e soprattuto dal punto di vista sociale e della costruzione della memoria collettiva: fa della memoria dell'antisemitismo e della Shoah un blocco granitico incollato sopra allo Stato di Israele e toglie la Shoah all'umanità e alla collettività.

Il senso del ricordo di un evento di quella portata, senza entrare nelle definizioni o nei dibattiti sull'unicità, ha senso nel momento in cui diventa parte della memoria collettiva (se poi mi chiedete “collettiva di chi?” si apre un altro dibattito, occidentale sicuramente): non deve accedere mai più, a nessun uomo e a nessun gruppo. 

Terzo: fa partire una concorrenza memoriale, mettendo le vittime in una gerarchia destinata a scardinare la coesione sociale.

Quarto: è grave perché evidenzia l'accomodarsi su uno stereotipo dato come assunto. La “fatale separazione fra ebrei e Israele” per la quale si allarma il Foglio è la realtà. E fare di Israele, degli ebrei e dell'ebraismo una cosa sola è una costruzione ideologica non dico neanche pericolosa, ma sicuramente perniciosa.

Ed è tipica della retorica legata alla cultura ebraica o, più in generale, al discorso di chi usa un gruppo, una provenienza, un colore, per ragionare sul singolo. Chiamatelo come preferite.

“Israele” ed “ebrei” non sono sinonimi. L'identità ebraica può coincidere con quella di Israele per alcuni, ma per tanti no. Non coincide per molti ebrei religiosi, non coincide per molti laici, coincide con distinguo per altri. Per alcuni è sinonimo e poi c'è chi se ne frega bellamente.

Per tutti questi motivi, che non sono sicuramente esaustivi, quello del Foglio è un brutto editoriale.




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