martedì 6 maggio - Pressenza - International Press Agency

La difficile situazione della libertà di stampa nel mondo

La libertà di stampa sta vivendo un preoccupante declino in molte parti del mondo.

di Giovanni Caprio

Gli attacchi fisici contro i giornalisti sono senz’altro le violazioni più visibili della libertà di stampa, ma anche la pressione economica rappresenta un problema grave e insidioso, un fattore importante quanto sottovalutato, che sta seriamente indebolendo i media.

Gran parte di ciò è dovuto alla concentrazione della proprietà, alla pressione degli inserzionisti e dei finanziatori, e a un sostegno pubblico limitato, assente o distribuito in modo poco chiaro.

Una grave situazione, resa evidente dai dati misurati dall’indicatore economico dell’RSF Index che mostrano chiaramente che i media di oggi sono divisi tra il preservare la propria indipendenza editoriale e garantire la propria sopravvivenza economica.

Dei cinque indicatori principali che determinano il World Press Freedom Index, l’indicatore che misura le condizioni finanziarie del giornalismo e la pressione economica sul settore ha fatto scendere il punteggio complessivo mondiale nel 2025.

L’indicatore economico dell’RSF World Press Freedom Index 2025 ha toccato il punto più basso della storia e la situazione globale è ora considerata “difficile”.

Secondo i dati raccolti da Reporters sans frontières-RSF per il World Press Freedom Index 2025, in 160 dei 180 paesi valutati, i media raggiungono la stabilità finanziaria “con difficoltà” o “per niente”.

Peggio ancora, le testate giornalistiche stanno chiudendo i battenti a causa delle difficoltà economiche in quasi un terzo dei Paesi del mondo.

È il caso degli Stati Uniti (57°, in calo di 2 posizioni), della Tunisia (129°, in calo di 11 posizioni) e dell’Argentina (87°, in calo di 21 posizioni).

La situazione in Palestina (163°) è disastrosa.
A Gaza, l’esercito israeliano ha distrutto redazioni, ucciso quasi 200 giornalisti e imposto un blocco totale sulla Striscia per oltre 18 mesi.
Ad Haiti (112°, in calo di 18 posizioni), la mancanza di stabilità politica ha gettato nel caos anche l’economia dei media.

Anche Paesi relativamente ben posizionati, come il Sudafrica (27°) e la Nuova Zelanda (16°), non sono immuni da tali sfide.

Trentaquattro Paesi si distinguono per le chiusure di massa delle loro testate giornalistiche, che hanno portato all’esilio di giornalisti negli ultimi anni.


Ciò è particolarmente vero in Nicaragua (172°, in calo di 9 posizioni), Bielorussia (166°), Iran (176°), Myanmar (169°), Sudan (156°), Azerbaigian (167°) e Afghanistan (175°), dove le difficoltà economiche aggravano gli effetti della pressione politica.

In particolare, negli Stati Uniti (57°, in calo di due posizioni) l’indicatore economico è sceso di oltre 14 punti in due anni e il giornalismo locale sta pagando il peso della crisi economica: oltre il 60% dei giornalisti ed esperti di media intervistati da RSF in Arizona, Florida, Nevada e Pennsylvania concorda sul fatto che sia “difficile guadagnarsi da vivere come giornalista” e il 75% ritiene che “l’emittente media lotti per la sostenibilità economica”.

Il calo di 28 posizioni del Paese nell’indicatore sociale rivela che la stampa opera in un ambiente sempre più ostile.
“Il secondo mandato del presidente Donald Trump, si legge nel Report, ha già intensificato questa tendenza, con falsi pretesti economici utilizzati per riportare la stampa in carreggiata.

Ciò ha portato all’improvvisa cessazione dei finanziamenti all’Agenzia statunitense per i media globali (USAGM), con ripercussioni su diverse redazioni, tra cui Voice of America e Radio Free Europe/Radio Liberty , e, di conseguenza, oltre 400 milioni di cittadini in tutto il mondo sono stati improvvisamente privati dell’accesso a informazioni affidabili.

Analogamente, il blocco dei finanziamenti all’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale (USAID) ha bloccato gli aiuti internazionali degli Stati Uniti, gettando centinaia di testate giornalistiche in uno stato critico di instabilità economica e costringendone alcune a chiudere, in particolare in Ucraina (62° posto).

Tagli ai finanziamenti che rappresentano un ulteriore colpo per un’economia dei media già indebolita dal predominio che giganti della tecnologia come Google, Apple, Facebook, Amazon e Microsoft hanno sulla diffusione delle informazioni: queste piattaforme, in gran parte non regolamentate, stanno assorbendo una quota sempre crescente di entrate pubblicitarie che normalmente sosterrebbero il giornalismo.

Perdita di introiti pubblicitari che si accompagna alla concentrazione della proprietà dei media: i dati dell’Indice mostrano che la proprietà dei media è altamente concentrata in 46 paesi e, in alcuni casi, interamente controllata dallo Stato.

L’Italia arretra nel World Press Freedom Index 2025 pubblicato da Reporters sans frontières (RSF), scendendo al 49° posto su 180 Paesi, tre posizioni più in basso rispetto al 2024 e a pesare su tale peggioramento è soprattutto l’ingerenza della politica nei media pubblici, a partire dalla cosiddetta “legge bavaglio”, che limita la pubblicazione di atti giudiziari.
Non mancano poi l’aumento delle pressioni economiche sui giornalisti, i tagli, le concentrazione della proprietà editoriale e una precarietà diffusa.
Il rapporto evidenzia anche il peso delle organizzazioni mafiose, in particolare nel Sud d’Italia, che continuano a minacciare e non di rado ad aggredire fisicamente i giornalisti che si occupano di criminalità organizzata e di corruzione: oltre 20 giornalisti sono sotto scorta per aver ricevuto minacce o subito aggressioni legate a inchieste su mafia e corruzione.

In definitiva, l’Indice evidenzia come per oltre dieci anni i risultati abbiano segnalato un declino della libertà di stampa a livello mondiale, toccando nel 2025 un nuovo punto basso: il punteggio medio di tutti i paesi valutati è sceso sotto i 55 punti, rientrando nella categoria di “situazione difficile”.

Più di sei paesi su dieci (112 in totale) hanno visto il loro punteggio complessivo nell’Indice scendere.

E per la prima volta nella storia dell’Index, le condizioni per esercitare il giornalismo sono “difficili” o “molto serie” in oltre la metà dei paesi del mondo e soddisfacenti in meno di uno su quattro.

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