martedì 9 maggio 2017 - Emilia Urso Anfuso

La deriva populista ha ucciso la politica popolare

Fino all’inizio degli anni ’80, esistevano le sezioni di partito. Erano luoghi in cui i cittadini potevano confrontarsi sui temi socio politici, e le idee che scaturivano da questi confronti, erano in qualche modo presi in considerazione dai partiti di riferimento

 

La politica, la buona politica, quella che si occupa di gestire non solo la macchina dello Stato ma principalmente l’esistenza di milioni di persone, in ogni ambito, se è di radice democratica, non può fare a meno di consultarsi direttamente con la popolazione. E’ il principio fondamentale di un vero regime democratico.

Fu a causa dell’avvento di Silvio Berlusconi che venne meno questo tipo di interazione tra popolazione e partiti politici: quando entrò in politica con Forza Italia, pensò bene che non fosse necessario avere sezioni di partito, ma solo rappresentanze regionali, negando così la partecipazione diretta dei cittadini, e assumendo un potere maggiore rispetto alle scelte e ai progetti da realizzare sul territorio.

Alcuni, pensarono fosse cosa buona: la non partecipazione, per costoro, fu vista come un’incombenza in meno, come se interessarsi alla propria esistenza fosse un’inutile perdita di tempo.

Altri, notarono questa “innovazione” ma erano troppo presi dalla lettura degli scandali che all’epoca palesavano una politica diversa da ciò che eravamo abituati a conoscere: tra mani pulite e l’introduzione del concetto di “politica moderata”, non ci fu troppo tempo per battersi contro la negazione del concetto di partecipazione diretta alla vita politica del Paese.

Col passare degli anni, abbiamo assistito a una moderazione estrema dei principi fondanti delle varie fazioni politiche, e si è fatto l’errore di considerare migliore una politica “moderata” rispetto a una politica attiva e maggiormente idealista, che si iniziò a considerare “estremista”.

Purtroppo però, alla parola “moderazione” non è corrisposto affatto un sistema politico esemplare e che consentisse al popolo di dormire sonni tranquilli, trovandosi a dover cedere al buio le proprie esistenze, a politici che – nella realtà dei fatti – stavano solo iniziando a togliere diritti civili e possibilità di partecipazione a un’opinione pubblica foraggiata a cucchiaiate di canzonette, calcio e piccoli scandali emergenti in seno alla politica, letti purtroppo al pari delle riviste di gossip che si leggono nei negozi di coiffeur.

Il processo di cancellazione di una politica popolare, che ha un significato ben diverso dalla politica populista, dal momento che la politica popolare trova nella partecipazione del popolo il suo scopo primario, è durato tutto sommato un periodo di tempo molto breve. Se si considera che dagli anni ’90 ad oggi, un periodo di meno di 30 anni, l’assetto socio politico di una nazione come l’Italia è stato nettamente ribaltato, si comprende come si sia premuto sull’acceleratore della Storia, pur di confinare nell’angolo ogni pretesa – da parte del popolo – di aver una seppur minima voce in capitolo sulle questioni che lo riguardano da vicino.

Ecco quindi nascere partiti e movimenti che del populismo hanno fatto la propria bandiera. Non si occupano affatto delle questioni del popolo, ma le prendono in prestito, per poi propagandare come un giorno – non si sa quale né quando – queste questioni verranno risolte.

Tutto ciò, ovviamente, ha creato un altro misfatto: una rabbia popolare che non sa però come trovare ristoro. Perché la cosa peggiore che la politica possa fare contro la popolazione cui è a capo, è proprio quella di parlare in continuazione delle problematiche socio economiche della gente, senza mai però attuare le misure atte alla soluzione delle stesse.

Sarà per questo che oggi, in piena era di politica populista, che non ha colori di destra né di sinistra, in Francia salga come presidente un Macron, che è un fulgido esempio di questo tipo di aberrazione politica, che si dichiara – appunto – non essere né di destra né di sinistra, e che dati alla mano, non è stato affatto votato dalla maggioranza degli elettori, bensì da un terzo di loro, e con un buon numero di astenuti, testimoni di quella parte di Francia che è già stanca del nulla politico che li rappresenta.

Guardiamo ai dati reali della vittoria di Macron: ha vinto col 66,06%, ma dei “voti espressi” e questa percentuale è pari a 20.703.694 voti. E’ però necessario valutare il calo delle affluenze alle urne, che ha portato al voto solo il 74,62% degli aventi diritto – pari a 35.407.616 persone – ma ben 4 milioni di schede bianche, fanno comprendere che Macron è stato scelto solo da 4 francesi su 10.

Macron vince ma non convince. Ma è giovane e carino - le stesse cose venivano dette di Renzi novello Premier italiano - e quegli occhi azzurri, saranno in grado di confondere - e fottere - i francesi che credono in lui. Per ora.

Macron, a mio parere, realizzerà una serie di riforme che abbatteranno i diritti civili del popolo francese, una sorta di Renzi con la erre moscia.

Da noi, non esiste più nulla di concreto che possa farci sperare in una vera ripresa di quel dialogo tra popolo e politica, tanto necessario a un processo di democratizzazione del paese.

Persino il movimento di Grillo, che apparentemente funge da contrasto al sistema politico tradizionale, non fa che fungere da contenitore della rabbia popolare, senza però attuare soluzioni atte a curarla la rabbia popolare. Non a caso, quando Di Maio si è recato ad Harward, è stato presentato come “Populista di Destra”…

Esatta denominazione, e dall’estero ci vedono più chiaramente, non essendo coinvolti.

Che fare? Non resta che smettere di ascoltare le litanie stantie di politici in vena solo di sedare la rabbia popolare, piuttosto che curarne le ferite, e chiedere: chiedere a gran voce, di mostrare risultati e non di proferire montagne di inutili parole. Chiedere di fare, e non di giocare al “io ti prometto che…” senza alcuna concretezza.

D’altronde, al punto in cui siamo arrivati, cosa costa provare a ribaltare un sistema palesemente fallace e orridamente stagnante, che genera solo supplizi a quell’opinione pubblica ormai senza alcuna opinione?

Partecipare, è l'unica soluzione, ancora una volta.




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