C’è un mondo oltre il manicheismo à la “300”. Un mondo difficile da raccontare, nel quale dobbiamo necessariamente abbandonare la nostra stessa presunzione d’innocenza.
Esiste una realtà impossibile da affrontare con il buonismo che spesso contorna le narrazioni di camorra. Che oltrepassa l’ipocrisia dicotomica dei “buoni” contro i “cattivi'', e addirittura ''geniali” camorristi.
In questa volgare lotta tra bande – per dirla con le parole di Falcone - non ci sono geni dell’economia ma solo pessimi criminali che sfruttano la connivenza e la rassegnazione. La camorra non è la mafia. La camorra non combatte lo Stato - o si accorda con esso - per il controllo di un territorio. La camorra è un mero modello culturale ed economico che unisce consumismo e immagini televisive. È la sublimazione del capitalismo e di ''Uomini e Donne''. La camorra “vince” e si radica nei comportamenti della cittadinanza perché collima con il modello social-affaristico di questa Italia da basso impero.
L’articolo del bravissimo Claudio Pappaianni per l’Espresso documenta tutto ciò in maniera puntuale. Colpiscono, tuttavia, le reazioni lette in rete – e non solo –, specchio di un paese raccontato esclusivamente attraverso dei cliché:
napoletani/
cammorristi,
cammorristi/
io-non-c'entro,
cammorristi/
noi-di-sinistra-non-li-conosciamo. Narrazioni che inforcano occhiali in bianco e nero piuttosto che cogliere le sfumature di fenomeni complessi.
"La camorra si fa Stato" è un bel titolo ad effetto, ma non un'affermazione utile a descrivere la realtà. La camorra non è Stato ma è, al tempo stesso, economia e modello culturale. La camorra è l’insieme del potere dei media e di un sistema ''aziendale'' in un territorio ristretto. Il cittadino, senza alcun punto di riferimento nei grandi partiti o nelle grandi organizzazioni sindacali - nello Stato in senso ampio -, si rivolge al suo “referente” per la soluzione dei problemi della quotidianità. Quello che succedeva in passato con i guappi di Eduardesca e Marottiana memoria si ripropone uguale ed amplificato oggi. La mancanza di un’azione pervasiva sul territorio da parte delle istituzioni ha lasciato quei vuoti prontamente colmati dalla camorra. È qui che risiede la sua grande differenza con la mafia.
La lotta alla camorra, a differenza di quella verso
cosa nostra, non necessita, principalmente
, di leggi e polizia ma di opportunità culturali e sociali.
Quello che è successo a Barra mostra una cittadinanza ''connivente'' con bande che mostrano il proprio potere seguendo
modelli identici a quelli di tanti programmi televisivi. Lo sfoggio di denaro e potere è comune alle starlette come ai camorristi. Il pensiero che la cosa pubblica sia, in realtà, proprietà privata è una deriva prima politica che criminale. La prossimità della
Chiesa con i “poteri temporali” è un dramma nazionale ancorché napoletano.
Il camorrista è questo, un uomo che cerca il massimo profitto, belle donne e macchine potenti. La camorra non fa papelli, non fa attacchi al patrimonio, la camorra non vuole un territorio, le basta inserirsi dove c’è un vuoto.
"Chi si scandalizza è sempre banale: ma, aggiungo, è anche mal informato", scriveva
Pasolini nel 1974 e quelle parole risuonano forti, oggi, dinanzi a tanta “normalità” vissuta come eccezionalità. Di cosa ci si scandalizza? Quale poteva essere il risultato di
trenta anni di lustrini televisivi e mancanza di sviluppo? Scandalizzarsi, oggi, per un parroco che benedice l'obelisco di un clan a una processione, è far torto a
Ingazio Buttita e
Rosa Balistreri che nel 1963 scrivevano e cantavano di
Mafia e Parrini che “si dettero la mano”.
Quei padrini – il cui utilizzo non è legato alla tradizione mafiosa, si faccia attenzione, ma alla festa – sono la reale alternativa alla miseria: sono quelli che ce l’hanno fatta. Rappresentano, per chi non ha mai visto altri modelli sociali, l’unica possibilità.
La dichiarazione del sindaco De Magistris non implica soluzioni stutturali al problema ma richiama comizi di un’Italia che fu: “a Napoli, oggi, si respira un'aria nuova, di legalità e democrazia, che vede la società civile pronta ad una stagione di rinascita etico-politica. Quest'aria soffocherà quella stantia e irrespirabile della camorra, ma la camorra è troppo miope per rendersene conto”.
Forse è l’ora di smetterla con le frasi ad effetto e con le visioni dicotomiche. Bisogna abbandonare la pigrizia di questo XXI secolo gommorrista e decidersi a guardare e raccontare le sfumature che compongono Napoli e l’Italia. Perché se la camorra è un modello culturale, il germe da estirpare non risiede solo da una parte.