martedì 16 giugno 2020 - Ennio Francavilla

La Storia non è un gioco di parole

("Istituzione della solenne ricorrenza della Città di Trieste del 12 giugno: Giornata della Liberazione della Città di Trieste dall'occupazione jugoslava”)

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Partigiani jugoslavi - Gorizia 1 maggio 1945
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La Storia non è un gioco di parole

 

[]il 12 giugno 1945 le truppe comuniste del IX corpus del cosiddetto esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia (EPJ), che il 1° maggio avevano occupato Trieste proclamandone l'annessione aĺla Jugoslavia, furono costrette a ritirarsi[] con l'uscita di scena delle truppe jugoslave e della loro polizia politica (ozna), cessarono anche quegli arresti e queĺle deportazioni funzionali al piano di preventiva bonifica del territorio messo in atto per rendere in maniera definitiva Trieste parte integrante della Jugoslavia comunista e il cui risultato furono migliaia di morti e scomparsi in tutto il territorio Giuliano, come gia' avvenuto in Istria nel 1943.

(dal testo della deliberazione n.182 dd. 26 maggio 2020)

 

Non basta usare la stessa parola per stabilire un'equiparazione fra due cose molto diverse. Non basta dire "liberazione" per affermare che si trattò di un'altra liberazione (e magari più nostra) né basta dire "occupazione" per affermare che si trattò di un'altra occupazione e magari peggiore di quella da cui ci si era già liberati. Non basta, perché la Storia non è un gioco di parole.

Non ci stupisce che il testo approvato dalla Giunta comunale ignori (volutamente e/o per reali carenze di base) la proprietà lessicale, la distinzione fra i registri, la differenza fra il senso lato e l'accezione specifica, e persino il corretto uso delle maiuscole: ignorando tutto ciò si può meglio blaterare di Storia.

D'altra parte questa è solo l'ultima di una lunga serie di arroganti ingerenze esibite da una politica che vuole imporre dall'alto una verità di Stato di chiaro stampo revisionista sulle vicende del confine orientale; un revisionismo basato fondamentalmente sull'equiparazione fra nazifascismo e comunismo, anche se con evidenti cedimenti apologetici per il fascismo nostrano.

In Italia la svolta è stata legge sul Giorno del Ricordo, che col termine “ricordo” si pone già in stretta analogia col Giorno della Memoria istituito a livello europeo. Ma anche la risoluzione del 19 settembre 2019 ad opera dello stesso Parlamento dell'UE, con la parola magica "totalitarismo", equipara il nazifascismo al comunismo e deplora il patto Ribbentrop-Molotov per aver spianato la via alla seconda guerra mondiale, non accennando minimamente alle enormi responsabilità delle democrazie liberali.

Lo svilimento del linguaggio è uno dei principali strumenti del revisionismo storico, che è riuscito ad impadronirsi addirittura del termine "negazionismo", nato in riferimento a chi negava l'esistenza delle camere a gas naziste ma usato anche dal Presidente della Repubblica Mattarella lo scorso 10 febbraio in riferimento a chi non si allinea alla verità di Stato imposta con il Giorno del Ricordo. Neppure la futura Ministra dell'Istruzione Azzolina il 23 gennaio 2019 ha ritenuto di doversi astenere dal votare una risoluzione della VII commissione della Camera sulle “Iniziative per conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe”, che raccomanda esplicitamente alle scuole la visione di “Rosso Istria” in quanto film “storicamente oggettivo ed equilibrato” (altra ingerenza non da poco a dispetto della tanto sbandierata autonomia scolastica). Non a caso nel testo di questa risoluzione l'Esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia viene sostituito dalla perifrasi "bande comuniste del maresciallo Tito"; ora, a parte che il termine "bande" rimanda immediatamente al cartello "banditen" appeso sui corpi dei partigiani impiccati, il fatto è che in un testo ufficiale emesso dalla Camera dei Deputati un esercito degli Alleati dovrebbe figurare con il suo vero nome e non con una formula che ne contiene già il giudizio storico. Nel testo della delibera triestina invece si parla del “cosiddetto esercito Popolare di Liberazione della Jugoslavia”: perché “cosiddetto” se si chiamava realmente così? La giunta fa ironia presupponendo un giudizio storico scontato per tutti? E la e minuscola di “esercito” è un refuso grossolano o un minuscolo irriverente (come anche “ozna”)? 

In conclusione, l'istituzione della “solenne” ricorrenza triestina si rifà a meccanismi già collaudati di propaganda revisionista, facendo un uso spregiudicato del linguaggio.

L'obiettivo più generale è chiaro: giungere ad ogni costo alla pacificazione nazionale e alla memoria condivisa (pendente a destra), ricorrendo, in assenza di argomentazioni, alla manipolazione del linguaggio e all'appiattimento di ogni spessore semantico, per insinuare che tutto in fondo si compensa, i conti si pareggiano (e palla al centro!), gli opposti si attraggono e si annullano in uno zero totale, per cui nessuna parola ha più un vero significato, ma solo un uso pronto all'occasione.

Paradossalmente da quegli scranni spesso si lancia la pesante accusa alla scuola di "fare politica" invece di insegnare la Storia; mentre la politica “democratica” evidentemente non trova niente di cui vergognarsi quando a colpi di maggioranza sputa sentenze sul passato ancora vivo.

In questa fase così difficile, la scuola che noi sosteniamo non evita argomenti complessi, come invece molti in astratto le rimproverano, ma ne parla facendo i dovuti distinguo, sottolineando più le differenze che le generiche analogie e soprattutto soppesando bene il significato delle parole, alla faticosa ricerca o recupero di punti fermi da cui ripartire; uno di questi punti fermi sta nell'abisso che separa chi fu aggredito e combatté il nazifascismo fino all'ultimo sangue e chi aggredì, fu sconfitto e fece pagare anche a terzi le conseguenze della guerra che aveva scatenato.

Ennio Francavilla COBAS SCUOLA TRIESTE-GORIZIA




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