lunedì 26 novembre 2018 - Antonello Laiso

La Favola- Leggenda del Gufo Di Cera

Esisteva ed esiste attualmente un palazzo a Napoli, sulle colline di Posillipo, a picco su quel mare che domina il panorama incorniciato dal Vesuvio. Tale era un palazzo di discendenze nobiliari essendo appartenuto a famiglie aristocratiche della Napoli antica, di quella Napoli dove tutto e possibile e lì dove la fantasia si mescola con quelle leggende, rendendo vivo ai giorni nostri un qualcosa che potrebbe realmente essere accaduto.

In questo palazzo vi era un nobildonna non giovanissima, di aspetto alto e corpulento, si dice provenisse dal nord ed aveva comprato questo palazzo insieme al marito per godersi il resto della vita tra l'incanto di quel panorama.

La nobildonna, senza scrupoli, si era incattivita da quell'abbandono subito, poco dopo il loro insediamento, dal marito scappato non si sa dove, con una ragazza del luogo molto più giovane, una ragazza napoletana a cui il marito dava ripetizioni di pianoforte essendo professore di musica, una ragazza che gli aveva letteralmente fatto perdere la testa. Quella che doveva essere quindi la dimora coniugale, divenne la dimora solitaria della nobildonna.

Probabilmente era stato anche questo il motivo d'incattivimento, inoltre in quel palazzo succedevano cose strane di notte con luci di candele che si accendevono e si spegnevano da sole, e nel contempo si sentivano dei lamenti che provenivano non si sa da dove esattamente tra quelle numerose stanze.

Da premettere, altresì, per il buon apprendimento della Favola-Leggenda che la nobildonna avesse tra le stanze di quel palazzo una vasta collezione di picoli gufi di cera a candela,chi era entrato era rimasto stupito ed impressionato dal numero e dalla bellezza di tali ornamenti che incorniciavano quell'arredamento stupendo.

La signora in questione era solita far chiamare dai suoi servi a palazzo, quegli uomini pescatori napoletani che avevano da vendere quel frutto del loro lavoro della notte passata tra le onde di quel mare azzurro.

 Esisteva ed esiste attualmente un palazzo a Napoli, su quelle colline di Posillipo ed a picco su quel quel mare che domina il panorama incorniciato da quel vesuvio. Tale era un palazzo di discendenze nobiliari essendo appartenuto a famiglie aristocratiche di quella Napoli antica,di quella Napoli dove tutto e possibile e li 'dove la fantasia si mescola con quelle leggende rendendo vivo ai giorni nostri un qualcosa che potrebbe realmente essere accaduto.

Vuole la leggenda che qualcuno di quei pescatori ricevuti a palazzo, era scomparso, e per completezza d' informazione, che la nobildonna era sensibile al fascino di quegli uomini napoletani bruni pescatori, in particolar modo a quelli dai capelli ricci e da quell'incarnato bruno reso dorato dal sole.

Un giorno un bellissimo pescatore 27enne, Gennaro, ebbe una visita dei servi di quel palazzo, presso la sua umile casa dove viveva con Patrizia ,si erano da poco sposati, da meno di un anno e il suo mestiere di pescatore unito a quella di sartina della consorte gli permettevano di campare .La loro vita benché modesta era serena.

Gennaro ebbe l'invito per la notte seguente ovvero alle tre, appena si ritirava da quelle acque con la sua barca, ad andare con il suo pescato presso quel palazzo della nobildonna per vendere la sua mercanzia.

Subito avvertì la mogli : "Patri' Patri' (Patrizia Patrizia), la nobildonna mi ha invitato a palazzo per comprare il mio pescato, tu lo sai quella paga molto bene il pesce fresco, domani vado direttamente a palazzo al ritorno dal lavoro". Immediatamente la moglie, come un presentimento negativo replicò: "Gennarì Gennarì nun ghi' la'" (Gennarino non andare li') .

Nonostante le parole di quella donna perdutamente innamorata, Gennarino di primissimo mattino ed ancora di notte con quel suo pescato andò a bussare a qual palazzo.

Quando si trovò dentro, vide accese tutte le fiammelle di quei numerosi gufi di cera che adornavano quelle stanze, sembrava una festa, e che lui fosse il festeggiato. Si soffermò molto su quella collezione della nobildonna e ne restò estasiato per le fattezze e la bellezza.

 La moglie senza dirgli niente di nascosto lo raggiunse, e per non farsi vedere si recò all'uscita dal lato mare di quel palazzo, appostandosi su uno degli scogli che lo costeggiavano. Uno scoglio a forma di cuore.

Gennarino, intanto, era dentro, stupito, dopo che questi comprarono tutto quel suo pescato della notte, fu fatto sedere dai servi di palazzo su quei divani nobiliari, dove avrebbe incontrato, poco dopo, la nobil donna.

Intanto, Patrizia aspettava giù Gennarino che uscisse, in quel buio della notte ai piedi di quel palazzo al lato mare facendosi luce con delle candele accese che la poverina aveva portato nella borsa, aspettava su quello scoglio a cuore.

Lo aspettò quella sera, l'altra, e l'altra ancora, fino alla fine dei suoi giorni.

Non è difficile capire come possono essere andate le cose.

La cera delle candele che la poverina portava per farsi luce tra l'oscurità delle notti impregnò quello scoglio.

Ne consumò due per notte di quelle candele, ed in quelle innumerevoli notti in cui si recava ad aspettare il suo uomo, ma Gennarino mai scese più da quel palazzo. Si avverò quel suo presentimento che mai gli diede più pace.

Da allora, ogni tanto e nella notte si nota nel buio una fiammella accesa di candela tra quello scoglio a cuore, rimasto ricoperto ancora oggi di quella tantissima cera che un po' alla volta prese la forma di un piccolo e bellissimo gufo.

 

 

        

 

 

 




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