venerdì 12 luglio 2019 - Andrea Muratore

La Cina sfida Parigi e il franco Cfa

Nelle scorse settimane la Comunità economica degli Stati dell’Africa dell’Ovest (Cedeao) ha tenuto ad Abidjan, in Costa d’Avorio, un importante summit che ha deliberato la creazione di una valuta comune per i 13 Paesi membri, che riuniscono in totale 350 milioni persone, pronta a scalzare la posizione dominante tradizionalmente esercitata dal sistema delle due valute riunite nel cosiddetto “franco Cfa“, ritenuto strumento di proiezione dell’influenza francese nell’area in cui Parigi ha a lungo amministrato un vasto impero coloniale.

La Cedeao è un’associazione “trasversale” al sistema del franco Cfa: riunisce sia ex colonie francesi che lo adottano (Benin, Burkina Faso, Costa d’Avorio, Guinea-Bissau, Mali, Niger, Senegal, Togo) che ex colonie britanniche (Nigeria, Ghana, Sierra Leone) e portoghesi (Capo Verde). Non a caso proprio dal Ghana è partita la spinta all’integrazione economica della Cedeao in opposizione alla permanenza dell’influenza francese nella regione. Ma vi è un’ulteriore tematica che merita di essere approfondita: la nuova valuta, denominata Eco, potrebbe avvicinare notevolmente la regione alla Cina attraverso l’ancoramento diretto o proporzionale allo yuan, che rafforzerebbe il suo crescente ruolo di valuta di riserva, a partire dalla sua entrata in vigore nel 2020.

Molto dipenderà dalla volontà della Nigeria, prima economia africana e cuore pulsante della Cedeao, di aderire all’Eco: la presenza di Abuja nel sistema cambierebbe notevolmente il peso e l’irradiamento regionale della decisione della Cedeao. Come fa notare Affari Italiani, “il Dragone asiatico è sempre più presente nel continente, non solo nell’area orientale. Anche da qui potrebbe nascere la decisione di ancorare la nuova moneta Eco potrebbe essere ancorata allo yuan cinese anche per evitare eccessive oscillazioni.[…] D’altronde si tratterebbe del naturale sviluppo di un processo che ha portato all’inserimento della moneta cinese tra le sue riserve valutarie, con la Cina che rappresenta il principale partner commerciale della maggior parte dei paesi africani”.

La Nuova via della seta punta dritta verso l’Africa: dal 2000 al 2016, fa notare Geopolitica.info, “dal 2000 al 2016, la Cina ha finanziato il continente per circa 125 miliardi di dollari. Nell’ultima decade, infatti, gli investimenti cinesi in Africa sono cresciuti notevolmente. Stando ai dati elaborati dal think thank The American Enterprise Institute nel China Global Investment Tracker, dal 2005 al 2018, gli investimenti cinesi sono aumentati a livello globale e l’Africa è divenuta la terza destinazione per numero di investimenti cinesi dopo Asia ed Europa”. Il 17% di questi investimenti sono stati rivolti verso la Nigeria e i Paesi ad essa limitrofi, principalmente per la costruzione di ferrovie. Un atteggiamento che ha portato a Pechino diverse critiche dalle cancellerie internazionali per la problematica della “trappola del debito” a cui rischiano di essere condotte numerosi nazioni africane, prima fra tutte Gibuti, in cui Pechino ha investito 15 miliardi di dollari per lo sviluppo del principale porto e delle infrastrutture collegate e controlla l’80% del debito del Paese.

L’Eco rappresenterebbe la testimonianza di un passaggio di consegne epocale nella primazia dell’influenza sull’Africa in una fase in cui, per le sue ricchezze economiche e per importanti fattori commerciali, logistici e demografici (che ne faranno il mercato in maggiore espansione al mondo nel XXI secolo) il continente diviene cruciale per le dinamiche della globalizzazione. La conferma dell’influenza globale di Pechino e una prova di forza dello yuan nel contesto valutario globale ma anche, o forse soprattutto, la conferma della potenzialità della Cina di espandere il suo soft power politico-economico in uno storico “giardino di casa” delle potenze occidentali. Come del resto testimoniato dalla crescente popolarità del mandarino nelle scuole di diversi Paesi africani che oramai considerano il rapporto con la Repubblica Popolare caposaldo delle loro relazioni diplomatiche e i cui leader ogni anno affollano la conferenza congiunta Cina-Africa di Pechino, che a settembre ha portato 53 leader del continente a confrontarsi con Xi Jinping.

Per parlare di Africa bussare alla porta di Pechino risulta sempre più conveniente. Lo dicono il commercio, gli investimenti, i legami politici e culturali. Presto potrebbe confermarlo la moneta, tradizionale veicolo di influenza per l’Occidente. E per l’Occidente dialogare con la Cina per un ordinato sviluppo dell’Africa, sul lungo periodo, potrebbe risultare una scelta vincente, anche per poter risolvere un problema annoso come quello migratorio. Mentre tra gli sconfitti potrebbe esserci, nel contesto occidentale, la Francia. Tanto impegnata, negli anni scorsi, a non evolvere il suo rapporto verso Paesi considerati, troppo a lungo, ancora ridotti al rango di colonie o spazio di influenza esclusiva da vederseli gradualmente sottrarre dal Dragone cinese.

(Articolo originariamente pubblicato su InsideOver)




Lasciare un commento