sabato 14 luglio 2018 - Giovanni Greto

“La Biblioteca dentro di noi” alla Marciana di Venezia

24 fotografie artistiche di Kevin Clarke

Arte e scienza si intrecciano nelle sale monumentali della Biblioteca Nazionale Marciana, dove è stata inaugurata la mostra “La biblioteca dentro di noi”(chiusura il 22 luglio), 24 fotografie del foto artista (così ama essere identificato), pittore e scultore americano Kevin Clarke (Brooklyn 1953). A un primo sguardo sembrerebbero opere d’arte eseguite secondo una sensibilità personale. In realtà, sono il frutto di un’idea originale, quella di ritrarre le persone raffigurando in lettere la struttura del loro DNA (acido desossiribonucleico), paragonabile ad un archivio complesso, proprio come quello di una grande biblioteca. Il che spiega la scelta del titolo.

Anche se nelle opere di Clarke la persona ritratta non è presente nei suoi tratti fisiognomici, attraverso la fantasia e le riflessioni dell’autore esce una rappresentazione forse più realistica, rispetto a quella di una comune riproduzione fotografica.

I lavori esposti sono tratti dal ciclo “DNA Portraits”, che conta oltre 130 opere. Il primo ritratto, "Self Portrait in Ixuatio”, fu creato nel 1988 dal fotografo, che mise a disposizione il suo sangue. La nascita di questo straordinario autoritratto fu fortemente influenzata dall’incontro e da continue discussioni tra Clarke e il premio Nobel James D. Watson, lo scienziato che assieme a Francis Crick nel 1953, un mese prima che Clarke nascesse, scoprì e fissò il modello a doppia elica della struttura molecolare del DNA. Ed è proprio il modello a tre dimensioni elaborato da questa scoperta che Clarke ha messo al centro del suo nuovo ritratto di Watson (2018), incluso tra le opere in mostra: il celebre ricercatore gli aveva donato il suo modello genetico nel 1998. Clarke ha scelto questo simbolo per rappresentare lo straordinario contributo dello scienziato.

Ma come sono nati i ritratti? L’artista aveva invitato la moglie ed otto amici a prestarsi all’esperimento. Ad ognuno ha chiesto di fornirgli un campione di sangue, o di saliva, o qualche capello. Questo si è concretizzato in happenings durante i quali un’infermiera professionale giapponese Saito Reiko, toglieva il sangue agli amici. Clarke ha chiamato questa operazione “Drawing”, giocando sulla bivalenza del termine : estrarre e dipingere. Successivamente il sangue veniva impacchettato e inviato attraverso il Fedex (le Poste americane), ad “Applied Biosystems”, un laboratorio di San Francisco, esperto nel procedimento, al quale però Clarke ha chiesto di sviluppare una tecnica innovativa di sequenza, che fornisse risultati individuali piuttosto che comparativi. L’impronta genetica del modello così svelata prende quindi vita nell’opera dell’artista sotto forma grafica (particolari linee e curve) e di sequenze di lettere. Compaiono frequentemente le lettere A, T, C, G, le iniziali di Adenina, Timina, Citosina e Guanina, ossia i composti chimici che formano la base azotata del DNA. Dopo aver riflettuto, Clarke unisce le informazioni ottenute dall’analisi del DNA a una metafora simbolica per il modello o rappresentativa di una sua particolare caratteristica. Crea un’immagine fotografica che può essere un paesaggio, un oggetto, una pianta, un collage di pochi elementi o di temi.

Le opere che subito colpiscono per la loro collocazione sono : all’inizio della sala i due “Portrait of a favored ancestor” (ritratto di un antenato preferito), che raffigurano i simboli di Venezia, il leone alato (l’elemento femminile) e il Todaro (l’elemento maschile) sopra le due colonne della Piazzetta. A fine sala invece c’è un doppio ringraziamento: a Maurizio Messina, il direttore della Marciana, rappresentato in una teca rettangolare in cui trovano posto figure di santi dai volti colorati che richiamano il periodo bizantino, forse a sottolineare il carattere serio ma anche scherzoso del direttore; a Leda Castellani, nata a Rialto, moderna mecenate che ospita l’artista e possiede due fabbriche di vetro a Murano. Perciò è raffigurata con le immagini di lampadari avvolti nel colore azzurro.

Tra le personalità famose del mondo dell’arte spicca nelle sale aperte di recente il ritratto del tedesco Joseph Beuys (1921-1986), che  negli anni Sessanta divenne uno dei membri più attivi del gruppo "Fluxus", compagine artistica sia americana sia europea, che riunì molteplici artisti accomunati dalla volontà di ricreare non il linguaggio artistico ma il senso dell’arte in relazione alla fruizione sociale della stessa. Ognuna delle quattro fotografie esposte raffigura un animale: l’asino, che impersona la spiritualità, la lepre, il coyote e il cigno, ossia l’io che vive in profondità del subconscio.

L’ammirazione per John Cage (1912-1992) produce un ritratto con all’interno una serie di cornici vuote. E’ un collegamento alla sua composizione più famosa , 4’33”, scritta nel 1952, per affermare come il silenzio sia una parte integrante di un brano musicale, che ha la stessa importanza delle note suonate.

Commovente, l’omaggio alla moglie, Janet Hasper, scomparsa a soli 39 anni nel 1997. Clarke ha fotografato uno splendido vaso di fiori collocato sul davanzale della finestra della sua stanza in ospedale.

Felicemente metafisico, il ritratto ideato per la biologa tedesca Christiane Nusslein-Volhard, premio Nobel nel 1995 per le ricerche sul controllo genetico dello sviluppo embrionale. E allora ecco che da lontano si riconosce un grande pesce, mentre più ci si avvicina si vede un intricato sistema di lettere.

Alla fine, il visitatore esce dalla mostra sorpreso e immerso in riflessioni, rendendosi conto di come l’accostamento biblioteca/DNA risulti calzante. Una biblioteca custodisce una collezione di immagini pubblicate e quindi è alla pari di un complesso archivio. Ma anche la struttura del DNA è in fondo un archivio, perché rappresenta l’impronta ereditaria su cui si costruisce l’intero individuo.




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