giovedì 30 luglio 2009 - Damiano Mazzotti

La Bibbia della sopravvivenza

Chi tra di voi è più interessato a salvaguardare la vita umana sul pianeta Terra non può non leggere il “testo biblico” di Jared Diamond che descrive i problemi ambientali creati dagli esseri umani.

Nel libro “Collasso. Come le società scelgono di morire o vivere” (Einaudi, 2005), il grande studioso americano è riuscito a raccogliere numerosi informazioni vitali relative ai processi di nascita e morte di molte civiltà del passato e di oggi (ricordo che lo scomodo esperto di problemi ambientali estremi ha vinto il Premio Pulitzer nel 1997 con il saggio “Armi, acciaio e malattie”).

Diamond, biologo e psicologo evoluzionista, riesce ad essere molto chiaro e preciso, e riassume in otto categorie le pratiche umane che hanno messo in pericolo la sopravvivenza delle società: “deforestazione e distruzione dell’habitat, gestione sbagliata del suolo (con conseguente erosione, salinizzazione e perdita di fertilità), cattiva gestione delle risorse idriche, eccesso di caccia, eccesso di pesca, introduzione di specie nuove, crescita della popolazione umana e aumento dell’impatto sul territorio di ogni singolo individuo” (p. 8).

In realtà ogni società umana tende a crescere numericamente e ogni aumento della popolazione comporta un aumento dello sfruttamento agricolo che pian piano consuma e impoverisce irrimediabilmente il territorio. “In questo modo, in seguito a carestie, guerre o malattie, la popolazione diminuisce e la società perde parte di quella complessità politica, economica e culturale raggiunta al culmine del suo sviluppo” (p. 8).

Inoltre la questione fondamentale dell’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali si frammenta in quattro dinamiche principali: le risorse appaiono inizialmente inesauribili; i segni del loro esaurimento imminente vengono mascherati dalle loro normali fluttuazioni temporali; è difficile convincere gli individui a mettersi d’accordo quando si tratta di limitare lo sfruttamento di una risorsa comune (il cosiddetto “dilemma del prigioniero”); la complessità degli ecosistemi rende spesso quasi impossibile, anche a uno specialista, prevedere le conseguenze dei mutamenti indotti dall’uomo” (p. 12). Però il danno ambientale, oggi causato anche dall’inquinamento, non è l’unica causa del crollo delle civiltà, ma è solo uno dei quattro fattori concomitanti che agiscono molto spesso all’unisono.

"Gli altri tre fattori sono i cambiamenti climatici (temperatura e piovosità), l’ostilità delle popolazioni vicine e la presenza di amichevoli partner commerciali. E ogni ambiente naturale possiede delle caratteristiche di fragilità e elasticità, e quindi può essere più predisposto ad essere danneggiato o più capace nel recuperare un equilibrio perduto" (p. 14), anche a causa di specie aliene colonizzatrici (animali e piante che provengono da altri continenti).

Invece per quanto riguarda i cambiamenti climatici bisogna sfatare il mito della causa unica dell’innalzamento delle temperatura, che è molto utile alla causa dei politici che hanno bisogna di capri espiatori per distrarre le persone dalla crisi economica originata dall’avidità umana. Il clima della Terra non è legato solo alle concentrazioni di anidride carbonica, ma subisce gli influssi di innumerevoli fattori naturali non controllabili dall’uomo come le variazioni nell’emissione di calore solare, le eruzioni vulcaniche, i cambiamenti dell’asse terrestre e del polo magnetico del pianeta. Non parliamo poi delle patetiche vicende umane che riguardano i rapporti “tra i popoli, che oscillano continuamente tra l’amichevole e l’ostile” (p. 17). Inoltre l’emigrazione non è più una strategia che può pagare: non ci sono più nuove terre da colonizzare e tutti i continenti abitabili sono già strapieni.

A quanto pare il fattore che fa la differenza tra la morte e la sopravvivenza di una società, è la diversa capacità di riflessione e di reazione delle diverse popolazioni e delle classi dirigenti. Ma “come è possibile studiare il crollo di una civiltà “scientificamente”? L’idea, spesso ingenua, che si ha della scienza è quella di un corpo di conoscenze acquisite attraverso esperimenti ripetuti e controllati in laboratorio. In verità la scienza ha uno scopo ben più vasto: l’acquisizione di una conoscenza attendibile sul mondo. In alcuni settori come quello della chimica e della biologia molecolare, è possibile effettuare esperimenti ripetuti e controllati in laboratorio, che costituiscono di gran lunga il mezzo più affidabile di conoscenza... per raggiungere una “conoscenza attendibile” senza avere la possibilità di ricorrere a esperimenti ripetuti e controllati, in laboratorio o sul campo, una soluzione classica è quella di adottare il cosiddetto “metodo comparativo” o “l’esperimento naturale”, ovvero studiare situazioni naturali che si differenziano relativamente alla variabile in esame” (p. 20-21). Un esempio è la differenza ambientale, politica ed economica tra Haiti (dove sono troppi e troppo affamati per pensare al futuro) e la Repubblica Domenicana che suddividono a metà la stessa isola (qui la classe politica è stata più lungimirante).

A pensarci bene si può affermare che il grande vantaggio evolutivo dell’uomo non risiede tanto nell’intelligenza, ma nel suo “inganno ecologico”: l’uomo è una preda che si è trasformata rapidamente in predatore, e molte specie di grossi uccelli e di mammiferi facilmente individuabili anche dai più violenti e cretini non hanno avuto il tempo necessario per capire la cosa e si sono estinte (e la faccenda riguarda anche la grande massa dei cittadini ingenui che non sanno distinguere il professionista e il politico predatore, dal professionista e dal politico che ha un cuore). Ed è accaduto spesso che le popolazioni umane si siano comportate come predatori con i popoli vicini: “per risolvere i propri problemi, dunque una nazione non si fa scrupolo di sfruttare le risorse di un’altra fino all’esaurimento: una comoda soluzione che i popoli occidentali (e anche il Giappone, la Cina, ecc.) hanno applicato più volte nel corso della storia” (p. 316). Si iniziava con la teatrale amicizia e il commercio opportunista e si finiva nel rituale sanguinolento del genocidio.

Nel libro si possono trovare anche molti indicazioni utili per avviare progetti di sviluppo della produzione agricola in paesi con un ambiente difficile e critico, come l’Africa e l’Austrialia, evitando di commettere gli errori dei “primi coloni che sfruttarono i pascoli fino all’esaurimento (proprio come si fa con i giacimenti minerari), invece di trattarli come risorse potenzialmente rinnovabili” (p. 407). Comunque l’attuale società sta sfruttando circa il 40 per cento della produttività netta della terra (derivata dall’energia solare) e la popolazione mondiale raddoppia ogni 41 anni, quindi raggiungeremo presto il limite biologico della specie umana. Dopotutto già il “pastore economista” Thomas Malthus (il fondatore della demografia), sosteneva che “il tasso di crescita della popolazione umana avrebbe presto superato quello della produzione alimentare, per una semplice ragione matematica: il primo cresceva con una legge esponenziale mentre il secondo con una legge lineare… L’aumento della produzione alimentare avviene con ritmi più lenti, perché i suoi effetti si sommano di anno in anno e non si moltiplicano… Quando la popolazione cresce, anche gli individui in più (che si aggiungono al numero preesistente) si riproducono… Al contrario, l’aumento della quantità di un raccolto non fa moltiplicare automaticamente la quantità di terreno seminato…” (p. 328). Quindi per riportare l’equilibrio ecologico in una data regione la natura e la cultura ricorrono a diverse spiacevoli realtà: carestie (generalizzate o riservate ai più poveri), guerre (civili e non), malattie (epidemiche, da inquinamento, da malnutrizione, ecc.), contraccezione, aborto, celibato, ecc.  

Per fortuna oggi c’è la Tv e c’è il Web per diffondere le informazioni in tutto il mondo, ed esistono anche società che riescono a vivere in equilibrio con la natura da tremila anni come quella tikopiana (le isole Tikopia sono nell’Oceano Pacifico vicino alla Nuova Zelanda). Ad esempio “i tikopiani sono riusciti a imitare la struttura di una foresta pluviale, sostituendo le specie originarie con specie commestibili o comunque utili” (p. 304). Infatti “gli alberi e i pesci sono risorse rinnovabili che si riproducono. Dunque, se vengono sfruttati a un ritmo inferiore a quello della loro riproduzione, possono durare” per sempre (p. 476). Ma la domanda fondamentale a cui nessuno è in grado di rispondere è questa: “La tecnologia moderna eliminerà tutti i nostri problemi o ne sta invece creando di nuovi più velocemente di quanto non possa risolvere quelli che già esistono?” (p. 9). Del resto lo spreco di risorse e “la passività dei capi dell’isola di Pasqua e dei re maya di fronte alle vere grandi minacce che incombevano sulle loro società (la deforestazione, l’eccesso di popolazione, ecc.) ci fa pensare all’estremo esibizionismo consumistico dei ricchi americani dei nostri giorni” (p. 192). In tutte le popolazioni prima o poi ci si trova “di fronte a un contrasto tra gli interessi a breve termine degli individui al potere e quelli a lungo termine della società nel suo insieme”. E l’ultimo diritto rivendicato dai vari capi è “il privilegio di essere gli ultimi a morire di fame”(p. 292). Ma da ora possiamo imparare a pensare liberamente e intelligentemente seguendo gli impegnativi sentieri tracciati dalla funambolica e geniale mente di Jared Diamond.

E concludo dicendo che la prima lezione della vita consiste nel vincere una paura al giorno (Ralph Waldo Emerson), per cui vi segnalo anche una rivista che tratta tematiche molto scottanti: www.skeptic.com (Jared Diamond è uno dei membri del consiglio editoriale). La seconda lezione è quella di capire quali sono i valori sociali e religiosi irrazionali da abbandonare (come l’impedimento al controllo delle nascite), e quali sono invece i valori che possono essere conservati in un nuovo ambiente economico, tecnologico, sociale ed umano sempre più affollato ed ecologicamente fragile. Purtroppo però “la sete di potere è la più manifesta di tutte le passioni” (Tacito) e “i governanti e coloro che detengono il potere decisionale mantengono intatte le idee con cui sono partiti” (Barbara Tuchman, La marcia della follia). E i cittadini più stupidi e meno lungimiranti giudicano l’operato e il prestigio dei politici in base ai risultati a breve termine: così i conti pubblici e gli ambienti naturali collassano. “Ciascuno di noi, considerato da solo, è sufficientemente sensato e ragionevole, ma una volta parte della folla (e di un partito) diventa subito una testa di legno” (Schiller). Ma è anche vero che il rifiuto psicologico è forse la prima causa che ci impedisce di affrontare i problemi: “Se percepiamo qualcosa che ci provoca emozioni dolorose, tendiamo inconsciamente a sopprimerlo o a negare l’evidenza, anche se i risultati pratici di questa esigenza potrebbero dimostrarsi disastrosi” (p. 443).

 P. S. Con le risorse naturali non possiamo farci quel che ci pare e piace! La Terra non è delle nostre generazioni!




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