martedì 14 aprile 2020 - Yvan Rettore

L’umanità ai tempi del coronavirus

In questo periodo il mondo è flagellato da una feroce pandemia, il famigerato Coronavirus.
Un virus che uccide soprattutto le persone fisicamente più debilitate e che comporta per diversi mesi un mutamento dei rapporti sociali. 

La gente più forte riesce a sopravvivere standosene in quarantena e mantenendo una certa distanza dagli altri quando esce oltre a qualche altra misura di tutela indispensabile. Ma in prima linea, ovvero negli ospedali, permane l'inferno.
 
Persone che soffrono in modo impressionante, bloccate su letti pieni di strumentazioni mediche, mentre il personale sanitario si muove di continuo per cercare di salvarne il più possibile.
E tanti di loro poi si ammalano a loro volta e spesso muoiono come tanti, troppi pazienti di cui hanno cercato di prendersi cura.
 
Muoiono da soli, privati dell'affetto dei propri cari e anche una volta morti, viene loro negata una cerimonia funebre minima in ricordo della loro dignità di persone ed esseri umani. Questa tragedia si consuma con la diffusione quotidiana di cifre delle vittime che crescono sempre più e non accennano a diminuire in modo drastico, quasi come se il virus si divertisse a giocare coi nervi di coloro che ne sono ancora scampati. Quei morti vengono ridotti a numeri e i media fanno letteralmente a gara a chi spara la notizia per primo o a diffondere scandali al fine di avere più audience e/o a vendere più copie della propria testata.
 
Quei morti diventano i cenci da sbandierare per scopi di visibilità politica per taluni e per polemizzare e fare accuse per altri. Non c'è un minimo di ritegno nel diffondere quei dati, un silenzio doveroso verso chi non c'è più, per il dolore di chi è rimasto, per chi continua a soffrire, per chi lotta ogni giorno per salvare la vita di altri.
 
La morte, il dolore, la sofferenza vengono calpestati quotidianamente e nei social, non pochi continuano questo gioco al massacro senza alcuna vergogna, né freni. Poche, troppo poche le voci di coloro che invece pretendono che venga garantito il rispetto della dignità di tutti coloro che il virus lo stanno vivendo quotidianamente senza avere la fortuna di starsene seduti comodamente davanti alla TV o ad un pc.
 
Io sono fra quelli e inutilmente cerco come posso e con tutti i miei limiti di urlare comunque la mia indignazione. Ma il tempo aggrava la rabbia di taluni che pensano soltanto a far ripartire economicamente il Paese, che esigono perfino la ripresa di competizioni sportive o che si lamentano del blocco momentaneo della loro attività.
 
Il business per questi individui vale comunque di più della morte, del dolore e della sofferenza.
Anch'io sono stato colpito economicamente dalle conseguenze di questa pandemia, tanto da decidere di sospendere a tempo indeterminato la mia attività professionale che poi probabilmente chiuderò definitivamente. Però anche in questi momenti difficili e oggi ancor di più, il mio pensiero va a quelle migliaia di persone che non ce l'hanno fatta, al dolore dei loro cari e ad alcune province e città diventate dei veri e propri lazzaretti.
 
Pasqua dovrebbe essere l'occasione per cominciare a farlo tutti, non per compassione, ma per umanità e tornare a ricordarsi che siamo tutti esseri di passaggio in questa grande casa universale che si chiama "Terra".
Ci vogliamo provare?
 
Yvan Rettore
 



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