L’orrore dei polli broiler
Il nome già dice tutto. Broiler, che vuol dire griglia e anche, per estensione, pollo da cuocere alla griglia. Non più un animale, ma un semplice prodotto.
Nome onesto, perlomeno: il pollo broiler, detto anche pollo da carne, è stato creato attraverso anni di selezioni genetiche a cui diede inizio un agronomo statunitense cinquant’anni fa per andare incontro alle esigenze di un mercato che chiedeva sempre più pollo, in particolare due parti dell’intero animale: cosce e petto. Con la volontà e la tenacia proprie degli umani quando c’è di mezzo il guadagno, l’obiettivo è stato raggiunto: ecco il pollo, con petto e cosce enormi, sproporzionati, e un tasso di crescita giornaliero di 400 volte superiore a quello dei polli ruspanti dei nostri bisnonni, che nel mondo occidentale non esistono praticamente più ma ipocritamente vengono ancora disegnati nei libri per bambini, galline, polletti e pulcini così dolci e carini, che zompettano nell’aia, cosa che i polli broiler certo non possono né sarebbero in grado di fare.
Non possono: vivono in capannoni lerci, sovraffollati, in cui non è previsto che si muovano né che arrivi la luce del sole. Non sarebbero in grado: sono talmente grassi che non riescono ad alzarsi da terra, e quando cercano di arrivare all’acqua e al cibo si provocano ferite e le loro gambe si spezzano. Alto il tasso di morte per problemi cardiaci – legati alla crescita abnorme –. Ma quello che importa è che questa deformità, che procura ai poveri animali sofferenze inenarrabili (ed è contro la legge, che recita «… misure adeguate… affinché non vengano loro provocati dolore, sofferenze o lesioni inutili», a meno che non vogliamo spacciare per “utili”, o addirittura “indispensabili” i guadagni di questa filiera di morte), abbia come risultato l’abbassamento dei prezzi al consumatore e la sua soddisfazione piena, che si sposano armoniosamente con i maggiori incassi dei produttori.
Le cifre sono impressionanti. Il 90% dei polli allevati nel mondo e il 98% di quelli allevati in Italia sono broiler, e si parla di oltre 40 miliardi, di cui 7 miliardi circa in Europa e mezzo miliardo in Italia. La stragrande maggioranza dei polli broiler sono a rapido accrescimento, per cui il pulcino in soli 40 giorni è un adulto pronto a essere macellato. Quando si parla di “ottimizzazione” di un prodotto, quale esempio migliore?
Paradossale, dunque, parlare di selezione genetica, una pratica che dovrebbe portare al miglioramento della vita. Più corretto usare l’espressione “maltrattamento genetico”. Sta portando avanti una battaglia legale affinché l’Italia metta al bando questa crudeltà l’associazione Animal Equality, che come è ovvio ha subito riscontrato l’ignoranza generalizzata sulla questione, voluta, è chiaro, dalla potentissima industria della carne, ma accettata tranquillamente dai cittadini, che preferiscono non sapere, chiudere gli occhi. Per chi invece gli occhi voglia aprirli, questa è la storia delle cosce e dei petti di pollo che vediamo bene impacchettati al supermercato, così appetibili e così “sani”, perché, dicono molti medici, sono “preferibili alle carni rosse”.