venerdì 30 giugno 2023 - Pressenza - International Press Agency

L’inquietante svolta dell’India verso il totalitarismo

L’India è a un bivio storico. Mai come ora per un sesto della popolazione mondiale la democrazia, l’armonia sociale e la libertà di espressione sono in serio pericolo.

di Partha Banerjee - Pressenza New York

Quest’articolo è disponibile anche in: Inglese

(Foto di Wikimedia Commons)

Il primo ministro Narendra Modi e il suo potente Ministro degli Interni Amit Shah hanno da tempo annunciato che l’attuale democrazia parlamentare è obsoleta per l’India. Hanno infatti deciso di riconfigurare un Paese multilingue e multireligioso in una monolitica Hindu Rashtra (Nazione Indiana – ndr). Recentemente, all’inaugurazione di una nuova, colossale sede del Parlamento a Delhi, le cerimonie di invocazione adottate erano un chiaro riferimento a un antico re indù in trono, con Modi circondato da santi e figure religiose. Il Presidente dell’India, una donna di origini Dalit, è stata esclusa dalle cerimonie.

Il modo in cui il governo di Modi ha gestito ogni voce di dissenso – dalla massiccia protesta degli agricoltori alle più recenti vittime di aggressioni sessuali – in cui al posto di qualsiasi dimostrazione di empatia e attenzione si è preferito usare la mano pesante e il disprezzo per le soluzioni democratiche, ha spinto la più grande democrazia del mondo sempre più sulla china dell’autoritarismo.

La massiccia privatizzazione di praticamente tutti i settori economici – dalle ferrovie alle banche, dalle assicurazioni alle telecomunicazioni, fino alla sanità, all’istruzione e all’agricoltura, insieme alla troppo rapida approvazione di leggi importanti, che spesso non vengono neppure discusse in parlamento – ha mandato in frantumi quel tessuto di pluralità che da tempo caratterizza un Paese con molte religioni, razze, etnie nella vissuta complessità. Ciò che sta emergendo è una regola di forzata conformità, a favore di una ideologia dell’Hindutva (letteralmente: Indianità – ndr) sempre più esclusiva. Una dottrina che aspira a costruire una nazione indù che si allarga ai Paesi vicini – creando un Akand Bharat, o “India unificata”. Come dimostra la grande mappa che adorna ora la nuova sede del Parlamento.

Per capire l’ascesa della destra indù, dobbiamo ripercorrerne la storia.

Il Bharatiya Janata Party o BJP di Modi è strettamente legato alla popolare organizzazione Rastriya Swayamsevak Sangh (Corpo Nazionale dei Volontari) o RSS. In effetti, è l’RSS che ha creato il BJP come sua ala politica principale, così come ha creato l’ala religiosa detta VHP (Vishwa Hindu Parishad o Concilio Mondiale Indù – ndr), oltre all’ala dell’attivismo studentesco ABVP (Akhil Bharatiya Vidyarthi Parishad o Concilio di Tutti gli Studenti Indù – ndr) e all’ala sindacale BMS (Bharatiya Mazdoor Sangh, Sindacato dei Lavoratori Indiani) con numerosi altri rami e gruppi. L’RSS guida il BJP ed è orgoglioso del suo slogan “L’India è per gli Indù” e considera i musulmani, i cristiani e i socialisti come i tre principali nemici dell’India. M. S. Golwalkar, eminente ideologo dell’RSS, ha spesso lodato Hitler e la Germania nazista. Insieme al feroce dottrinario V. D. Savarkar, immaginava un modello sociale in cui i musulmani indiani sarebbero stati “epurati” come Hitler aveva epurato gli ebrei. L’RSS modellò il suo funzionamento – esercitazioni, parate, canti e una leadership suprema e incontrastata – sul modello delle Schutzstaffel (le cosiddette Squadre di Protezione).

Savarkar aveva detto: “Quando noi indù diventeremo più forti, agli amici musulmani non resterà che recitare il ruolo degli ebrei tedeschi”.

Subito dopo che l’India ottenne l’indipendenza dagli inglesi attraverso una traumatica spartizione, un volontario dell’RSS, anch’egli discepolo di Savarkar, uccise il Mahatma Gandhi – con la controversa motivazione che Gandhi avrebbe potuto impedire la spartizione, mentre non lo fece. Sebbene l’RSS si fosse mantenuto attivamente estraneo dalla lunga lotta per la libertà dell’India, che vide migliaia di giovani uomini e donne imprigionati, torturati e uccisi, considerò Gandhi e il suo protetto centrista Jawaharlal Nehru – i due leader che alla fine videro la realizzazione della libertà – tra i responsabili della “indesiderata” creazione di un Pakistan musulmano.

Oltre a combattere tre pesanti guerre con il Pakistan, l’India è stata da allora teatro di numerose e sanguinose rivolte tra indù e musulmani, e in molte occasioni i tribunali indiani o le organizzazioni per i diritti civili hanno ritenuto l’RSS e i suoi gruppi affini, responsabili dell’istigazione alle rivolte. I due esempi più recenti di tali rivolte si sono verificati dopo la demolizione della Moschea di Babri nel 1992 e nel 2002 nello Stato del Gujarat, che Modi governava all’epoca come Ministro. In entrambi gli episodi, migliaia di musulmani persero la vita. Parecchie organizzazioni impegnate nella difesa dei diritti, sia in India che a livello internazionale, hanno spesso accusato Modi di non aver fatto nulle per fermare le stragi. In effetti, gli Stati Uniti avevano temporaneamente revocato il visto di Modi.

Quello che l’India sta vivendo ora è particolarmente preoccupante e pericoloso, anche rispetto alla storia di violenza e spargimento di sangue che l’India ha già vissuto dopo l’indipendenza.

Il governo del BJP ha lasciato gli agricoltori in sciopero letteralmente per strada nel bel mezzo di un rigido inverno, con poche possibilità di dialogo con il governo. Semmai, le autorità hanno eretto barricate e filo spinato – come se si trattasse di una zona di guerra – per impedire agli agricoltori di entrare nella capitale. Il governo indiano ha deciso che gli agricoltori – oltre la metà della popolazione indiana – non avranno altra scelta che vendere i loro raccolti a società private, invece che ai loro tradizionali canali di distribuzione. E come se non bastasse, saranno le multinazionali a decidere quali prodotti coltivare, a quale prezzo vendere e dove.

Negli ultimi due anni, il governo del BJP ha imposto leggi sui diritti civili che hanno tolto la cittadinanza alle minoranze religiose ed etniche e i gruppi per i diritti umani hanno lamentato l’incarcerazione di migliaia di persone innocenti destinate ai campi di prigionia privati. Nel 2019, il governo del BJP ha approvato un “Atto di prevenzione delle attività illegali” (UAPA), applicando il quale molte voci di dissenso sono state arrestate, private della libertà provvisoria e chiuse in prigione a tempo indeterminato.

È in voga un’amministrazione concepita come un megafono personale, in stile Trumpiano: da quando si è insediato, il primo ministro si è rifiutato di tenere conferenze stampa se non con i suoi canali preferiti. Le personalità internazionali e le organizzazioni per i diritti umani che hanno criticato le misure del governo sono state ridicolizzate e sanzionate: i sostenitori del BJP e dell’RSS hanno bruciato le effigi di Greta Thunberg e svergognato Rihanna e Susan Sarandon sui social media quando hanno espresso il loro sostegno agli agricoltori. A causa delle forti pressioni politiche, Greenpeace si è ritirata dall’India e Amnesty International sta seguendo il suo esempio. Il governo Modi ha vietato la proiezione in India di un documentario della BBC sui disordini del Gujarat e l’ex amministratore delegato di Twitter, Jack Dorsey, ha accusato il governo indiano di censurare i contenuti, minacciando di chiudere la piattaforma.

Allo stesso tempo, però, la realtà è che le disuguaglianze economiche, di genere, di casta e ambientali sono ai massimi storici, l’assistenza sanitaria e l’istruzione sono in una situazione di precarietà e il governo del BJP non è riuscito a rendere giustizia alle vittime delle persecuzioni religiose e sociali. Gli stupri e le altre forme di violenza contro le donne e le minoranze sono tra i peggiori al mondo.

L’India ha attraversato un periodo tumultuoso dall’indipendenza del 1947. Tuttavia, il Paese ha cercato di preservare i suoi principi costituzionali fondamentali di giustizia, libertà, uguaglianza e fraternità. Ma gli attuali governanti dell’India hanno rapidamente spinto il Paese sulla strada della supremazia e dell’odio su base religiosa e razziale. La libertà di parola, la diversità e la democrazia stanno crollando e sta crescendo una struttura totalitaria.

I miei amici musulmani in India mi dicono che vivono nella paura. Come indù e come indiano-americano, mi sento come se le persone che sono al potere stessero privandomi delle mie origini e della mia religione.


Il Dr. Partha Banerjee è l’autore di Gandhi’s Killers India’s Rulers (RBE, Kolkata, 2020) e In the Belly of the Beast: Hindu Supremacist RSS and BJP of India (Ajanta Books International, Delhi, 1998). Banerjee è laureato in biologia presso la Southern Illinois University, e ha una laurea magistrale in giornalismo presso la Columbia University. Vive a Brooklyn, New York.

 

Traduzione dall’inglese di Daniela Bezzi, revisione di Matilde Mirabella




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