mercoledì 26 settembre 2018 - Phastidio

L’inganno dei Centri per l’impiego nel deserto

Su lavoce.info, un interessante articolo di Chiara Giannetto e Mario Lorenzo Janniri cerca di identificare tutte le criticità attuali dei centri per l’impiego. L’argomento, se leggete questi pixel con regolarità, non vi sarà inedito, visto che di esso ha scritto assai estensivamente il nostro Luigi Oliveri. Io invece vorrei rilevare e ribadire un punto ed uno solo. Quello sui cui casca l’asino della propaganda.

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L’aspetto che mi preme evidenziare è quello riportato da una indagine statistica dell’Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, istituita col Jobs Act e che cerca(va) faticosamente di dare prove di esistenza in vita. Almeno, sino alla scorsa legislatura. Segnalo quindi questo passaggio del post de lavoce:

«Infatti, l’indagine Anpal riscontra forti criticità sia dal lato della domanda di lavoro che da quello dell’offerta. Dal lato della domanda (quello dell’impresa), le scarse opportunità lavorative del territorio e la presenza di troppe proposte a termine sono i problemi più citati. È interessante notare come il primo riguarda soprattutto il Sud, mentre il secondo (insieme ai problemi relativi a crisi industriali, settoriali e squilibri tra competenze richieste e offerte) incide maggiormente al Nord. Dal lato dell’offerta (quello delle persone in cerca di lavoro), invece, i problemi ricorrenti sono l’elevata disoccupazione giovanile e over 45. Queste fasce d’età sono infatti più difficili da gestire, soprattutto in un mercato del lavoro bloccato.
Al Sud vi è poi un’alta propensione alla disoccupazione di lunga durata, mentre al Nord, soprattutto al Nord-Est, il divario tra le competenze richieste dai datori di lavoro e le competenze degli aspiranti lavoratori sembra essere un problema più che rilevante»

Non è difficile arrivare ad una conclusione molto netta: sappiamo, non da oggi, che al Sud manca la domanda di lavoro. Punto. C’è una condizione di parziale desertificazione, che riguarda alcune zone del nostro Mezzogiorno. Ora, domandina molto semplice: voi pensate davvero che, aumentando il personale dei Cpi, formandolo anche per l’orientamento più evoluto, mediante profilazione, dotarli di strumenti ed infrastrutture informatiche ecc., davvero possa attivare il magico matching tra domanda ed offerta di lavoro? Coraggio, un piccolo sforzo di inferenza.

E riguardo a questo aspetto, secondo voi costa meno il make, cioè ricostruire centri per l’impiego che in alcuni contesti sono uno scherzo di cattivo gusto, o il buy, cioè affidare il compito ai privati mediante convenzione pubblica? Ripeto, sempre immaginando che al Sud il problema centrale sia quello di incrociare domanda ed offerta di lavoro e non l’assenza o la rarefazione della domanda da parte delle imprese. E così non è, tranquilli.

E riguardo al Nord del Paese, discorso analogo ma simmetrico: qui il problema è davvero il matching di competenze richieste dalle imprese, quindi la criticità risiede non nella insufficiente domanda bensì nella insufficiente offerta per date skills. Anche qui, domanda: serve usare il make o il buy, cioè comprare servizi per l’impiego da agenzie private convenzionate, sulla base di un tariffario di prestazioni?

Tutto ciò premesso, a me la domanda resta, e lo dico da sempre: i Centri per l’impiego sono davvero funzionali a promuovere l’incrocio tra domanda ed offerta oppure sono l’alibi per creare, soprattutto al Mezzogiorno, torme di sussidiati nullafacenti inamovibili o, nella migliore delle ipotesi, produrre lavoratori socialmente utili che annaffiano le aiuole in prossimità del bar della piazza del paese? Per tacere del loro potenziale di creazione di sommerso, ovviamente.

 

Che dite, è una domanda retorica?




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