L’impresa sportiva del PSG fa quasi dimenticare l’identità del vero vincitore
Il paradosso di una squadra che infine rappresenta bene i giovani delle banlieues e il loro spirito, ma che è la proprietà dello straricco emiro del Qatar schiavizzatore di immigrati[t.p.]
di Yunnes Abzouz e Mathias Thépot (Mediapart)
“Per quattordici anni, da quando i qatarioti hanno acquistato il club, abbiamo aspettato questo momento. Abbiamo sofferto così tanto, abbiamo commesso così tanti errori, eravamo persino lo zimbello del calcio. E ora siamo al vertice dell’Europa, e con stile“, esclama Samy, 35 anni, tifoso del PSG da quasi altrettanti anni. Elenca le delusioni passate sulla scena europea, le eliminazioni umilianti e ricche di colpi di scena, e i nomi scintillanti di stelle del calcio che hanno giocato per il club, come il brasiliano Neymar Jr., l’argentino Lionel Messi e il francese Kylian Mbappé, che non ha mai alzato l’ambito trofeo con il PSG.
“In definitiva, non è stato con i grandi singoli, che ci sono costati centinaia di milioni di euro, che abbiamo vinto.” “Ci ha aiutato in termini di marketing, ma le squadre precedenti non trasudavano nulla. Quest’anno è una vera squadra e un grande collettivo che non cerca di brillare individualmente“, sottolinea Samy,
Per le strade e nelle carrozze della metropolitana affollate, si celebrano i nomi dei principali artefici del successo parigino: Désiré Doué, Ousmane Dembélé e Achraf Hakimi. Ma anche l’allenatore Luis Enrique, spesso denigrato per il suo approccio dogmatico al gioco, che alla fine è riuscito a trovare la giusta formula collettiva. Una squadra che riflette la città, cosmopolita, composta da giocatori di diversa provenienza, tra cui quelli provenienti dall’eccezionale bacino di talenti della regione dell’Île-de-France: le banlieues. Come i neri dei ghetti degli Stati Uniti si emancipavano e si emancipano negli sport e come è successo in parte anche in Italia con i figli delle periferie (o negli sport o nell’illusione spesso tragica del gangsterismo degli anni ’70).
Il tifoso Franck del PSG è esplicito: “Per noi è incredibilmente simbolico vincere con giocatori che ci assomigliano, che provengono da Parigi e dalla sua periferia e che dimostrano uno spirito combattivo… Ci identifichiamo di più con loro“. Ed ancora ci dice: “È la prima volta che sono veramente orgoglioso del PSG da quando il club è stato acquistato dal Qatar [nel 2011]”. Issam afferma con entusiasmo che ricorda la vittoria del PSG in Coppa delle Coppe nel 1996, l’ultimo grande successo sportivo per il club che un tempo sosteneva con passione. Ma dal 2011, si era allontanato dal club, in particolare con il Piano Leproux, attuato per tenere lontani dallo stadio i gruppi ultra-tifosi, che ha avuto l’effetto di smorzare l’atmosfera sugli spalti. Questo fenomeno è stato amplificato dall’arrivo di investitori qatarioti, che si sono rivolti a un pubblico facoltoso e internazionale, inevitabilmente più informale, attratto da stelle reclutate a prezzi esorbitanti: “La strategia di abbonamento bloccato e la politica dei prezzi hanno allontanato i vecchi tifosi – spiega Issam, indossando la sua maglia da collezione del club – ma negli ultimi anni, si è ricostituita una base di tifosi ultras più giovane. Anche noi, i vecchi tifosi, ne beneficiamo e siamo felici per i più giovani.”
Dal 2016, consapevoli della necessità di ravvivare l’atmosfera all’interno del Parco dei Principi, i proprietari qatarioti hanno avviato un ritorno degli ultras. Una generazione di tifosi, più in sintonia con il multiculturalismo della regione parigina e con la sociologia dei suoi abitanti, è emersa e ha dato nuova vita al Parco.
Certo, la vittoria del PSG è anche la vittoria del Qatar. L’incredibile entusiasmo popolare generato dall’impresa sportiva del PSG fa quasi dimenticare l’identità del vero vincitore di questo sabato 31 maggio: il Qatar, un piccolo e ricco stato monarchico del Medio Oriente con l’11% delle riserve mondiali di gas naturale. Guidato dalla famiglia Al-Thani, ha riversato miliardi di petrodollari nel club della capitale sin dalla sua acquisizione nel 2011, ingaggiando le più grandi stelle del calcio (Ibrahimović, Neymar, Messi, Mbappé, ecc.) a prezzi esorbitanti, con l’unico e dichiarato obiettivo di vincere la Champions League, la competizione calcistica più prestigiosa. Questo è un modo per affermare definitivamente la sua strategia di soft power nei confronti dell’Occidente e quindi normalizzare la sua assai poco nobile immagine.
Accusato di sostenere il terrorismo, l’emirato continua ad applicare la pena di morte, nonostante le promesse contrarie alla comunità internazionale; l’omosessualità è ancora illegale e punibile con sette anni di carcere; e, nonostante i progressi, il diritto civile del Qatar è ancora sfavorevole alle donne. Queste sono questioni che mettono a dura prova le relazioni geopolitiche con il piccolo Paese.
Inoltre, un uomo non meno controverso ha ampiamente favorito questa strategia di rafforzamento dell’immagine del Qatar in Francia e in Europa: Nicolas Sarkozy. Fervente sostenitore del PSG, ha svolto un ruolo decisivo durante il suo mandato da capo di Stato nell’acquisizione del club da parte del fondo sovrano dell’emirato. La sua benevolenza nei confronti del Qatar è andata ben oltre, trasformando la Francia in un vero e proprio paradiso fiscale per gli investimenti qatarioti, in particolare nel settore immobiliare – benefici che nel frattempo sono stati eliminati. Ha inoltre concesso loro accesso al capitale di importanti gruppi del CAC 40 come Vinci, Total, Veolia, LVMH e Lagardère.
Il problema è che questa ascesa economica del Qatar, raggiunta con la benevolenza del governo francese, è stata macchiata da numerosi sospetti di corruzione. Sia a Bruxelles che in Francia, dove i tribunali stanno ora indagando sulla sospetta assegnazione della Coppa del Mondo 2022 all’emirato, sulla presunta corruzione di un parlamentare e di un giornalista di BFMTV, ma anche sui loschi traffici del PSG, sulla possibile agevolazione fiscale concessa al club dal ministro Gérald Darmanin, per non parlare dell’inchiesta sul lavoro nero che ha coinvolto il boss del PSG, Nasser al-Khelaïfi. Infine, vale la pena mettere in discussione la totale presa del Qatar sul calcio francese. Infatti, oltre a dominare in modo oltraggioso il campionato francese dal 2011 – 11 titoli su 14 possibili – possiede una delle principali emittenti televisive della Ligue 1, beIN Sports. Tuttavia, allo stesso tempo, la salute economica del calcio professionistico francese si è deteriorata significativamente e molti club sono prossimi alla bancarotta, come ne ha già scritto Médiapart (Leggi anche il dossier: Il lato oscuro del Paris Saint-Germain)
È chiaro, quindi, che i benefici economici degli investimenti qatarioti non si stanno riversando sul resto della Ligue 1 come dovrebbero. Peggio ancora, la versione qatariota del PSG non applica le stesse regole economiche degli altri. È anzi sospettato di aver aggirato con noncuranza le regole del fair play finanziario, che impongono ai club di presentare bilanci in pareggio. Una forma di concorrenza sleale. Sono tutti problemi che non possono essere ignorati quando si celebra il successo europeo del PSG. Proprio come la vittoria dell’Olympique Marsiglia di Bernard Tapie nel 1993 fu macchiata da uno scandalo di partite truccate (lo scandalo OM-VA), la vittoria del PSG sarà sempre considerata non solo quella di una squadra o di una città, ma anche quella di uno Stato straniero che ha eluso tutte le regole morali del calcio.
Al paradosso del PSG si aggiunge che il Qatar è di fatto presente non solo nel mondo della finanza ma anche nel mondo “religioso-sociale” proprio mentre le destre (che ormai comprendono anche il partito di Macron) rilanciano la crociata contro l’islamismo
(traduzione dell’estratto dall’articolo mediapart di Turi Palidda)