giovedì 15 ottobre 2015 - angelo umana

L’attesa, di Piero Messina

Dovesse assegnarsi un premio per la tragicità del tema di un film, L’attesa lo meriterebbe. Una madre (la matura e intensa Juliette Binoche) che perde il figlio eppure riceve e ospita la fidanzata francese di lui, venuta a trovarlo da Parigi. La invita a fermarsi alla sua dimora nella campagna siciliana in attesa di Giuseppe, tacendole che egli non potrà tornare mai più.

Anche questa madre o mancata suocera è di origine francese e l’intesa tra le due donne è subitanea. La masseria dove vivono assomiglia molto alle ville patrizie della campagna siciliana, e come non pensare a quella del Gattopardo: il regista è proprio di Caltagirone (Ct) e le inquadrature celebrano il fasto antico della residenza, il soggiorno e la grande cucina, come pure la scalinata illuminata di San Giacomo nella città del regista e luoghi della zona. Celebra, pare di vedere, i costumi siciliani, come una processione in settimana santa, la pasta con le carrube, le pennellate di calce sui tronchi d’albero come anticrittogamico.

Il dolore di Juliette è tremendo, la scuote, ma la vicinanza della ragazza è come trattenere con sé qualcosa del figlio, l’assenza di lui ne fa una presenza costante tra le due donne. Arriva a dissuadere la ragazza dall’aspettarlo: "lascialo andare, forse avrà una famiglia, vivrai ugualmente" e sembra dire queste cose a sé stessa, immagina del figlio la vita che non può più avere.

C’è una buona dose di estetismo nel film, il regista non rinuncia appunto a celebrare la sua terra, in questo ricorda molto Tornatore, pure se si dice che sia allievo di Sorrentino. Questo fermarsi ad osservare la natura intorno probabilmente lo rallenta, ma le intenzioni sono ottime. 




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