sabato 21 aprile 2018 - Sara Pulvirenti

L’alunno e il professore: quando per denunciare il bullismo si fa bullismo

E’ notizia di questi giorni quella che racconta di un alunno di una scuola toscana che, con casco integrale in testa, si è avventato contro il suo professore intimandogli di mettersi in ginocchio e di dargli sei, probabilmente a fronte di un’interrogazione che da quel voto era molto distante. ​La giostra dei social e quella dei media tradizionali (e non) è subito partita: servizi, articoli, speciali, collegamenti in diretta e poi l’immancabile hashtag che ha portato, quasi come fosse un’epidemia, alla “scoperta” di altri casi analoghi.

La denuncia di quanto fatto da quel ragazzo di cui in pochi conoscono il volto e il nome è rimbalzata ovunque: lo sdegno dei cittadini intervistati per le strade, l’analisi accurata di psicologi ed insegnanti, la condanna del Ministero…tutto come da copione.

C’è però un anello rotto in questa catena che inspiegabilmente sembra essere stato notato da pochi: se l’artefice minorenne di quel gesto è stato “oscurato dai pixel” (saggiamente indossando il casco integrale si era già avvantaggiato!) e tutelato (la cara Privacy…) per quale motivo sensato, invece, tutta Italia ha dovuto conoscere il volto e le reazioni di quel professore?

Qualcuno ha avuto l’accortezza di chiedere a quel signore, da anni a lavoro nel mondo della scuola, se avesse piacere a vedere quella scena dietro ogni angolo? A fare sapere alla sua famiglia i dettagli di cosa era successo nella sua classe? Ad informare i suoi colleghi dell’accaduto? A mostrarsi in un momento evidente di difficoltà? Qualcuno si è domandato se avesse voglia di essere coinvolto nella ormai solita tribuna pubblica che oscilla dal “poverino” al “che incompetente! Se il ragazzo si è comportato così è anche colpa sua!”?

Sembra che questo aspetto del problema non importi a nessuno, perché ormai vige la regola del “per denunciare, dobbiamo vedere e fare vedere”, come se le immagini siano la prova provata della realtà, come se senza di quelle una denuncia non avesse lo stesso valore.

Siamo letteralmente diventati schiavi degli occhi, lasciando in un angolo l’organo che fa pulsare la nostra vita: il cuore! Non serve una legge per suggerire che probabilmente sarebbe stato più corretto oscurare anche il volto del maggiorenne professore (e qualche testata giornalistica fortunatamente l’ha fatto!)… non serve una penale o un codice etico per capire che forse non è il caso di condividere all’infinito quel video… serve un minimo di sensibilità, quella che tra un’immagine e l’altra stiamo perdendo!

Sara Pulvirenti




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