giovedì 19 dicembre 2019 - La bottega del Barbieri

L’aborto al bando in El Salvador

La storia di Evelyn Hernández e quelle di tante altre donne violentate che hanno dato alla luce figli subito morti a seguito di parti extraospedalieri. Accusate di essere delle assassine e messe al bando da una società escludente e patriarcale sono abbandonate a loro stesse. Da parte dello Stato, per ora, nessun passo concreto.

di David Lifodi

In El Salvador l’aborto è vietato in tutte le sue forme, retaggio dell’egemonia dei gruppi ultraconservatori legati alla destra fascista di Arena, Alianza Republicana Nacionalista, il partito che negli anni Ottanta ha imposto una ferrea dittatura al paese centroamericano e che poi si è perpetrato al potere fino a quando l’efemelismo non è divenuto maggioranza nel paese con due mandati a partire dal 2009.

La storia di Evelyn Hernández è nota. La giovane, 21 anni, è divenuta, suo malgrado, il simbolo della criminalizzazione delle donne salvadoregne da parte di un sistema machista e patriarcale. Il 16 aprile 2016, quando era appena diciottenne, la ragazza partorisce a seguito di un parto extraospedaliero. Evelyn dà alla luce un bimbo poi deceduto, mentre svolgeva le faccende domestiche. A denunciarla alla polizia sono gli stessi medici che avevano capito subito di trovarsi di fronte ad un parto extraospedaliero. La giovane, una delle 17 donne che in El Salvador sono state condannate per aver abortito, lo scorso mese di agosto è stata assolta e la difesa è riuscita a risparmiarle, per ora, i 30 anni di prigione a cui era stata inizialmente condannata con l’accusa infamante di aver voluto uccidere il proprio figlio. Tuttavia, per Evelyn la battaglia non è ancora vinta poiché dovrà affrontare un nuovo processo.

Evelyn Hernández è stata in carcere per quasi 3 anni con l’accusa di omicidio aggravato, poiché, paradossalmente, la giovane non è ritenuta vittima di alcunché, bensì è considerato come vittima il suo bambino morto a seguito del parto extraospedaliero. Lo Stato e la magistratura non prendono in considerazione il fatto che Evelyn sia stata violentata e che abbia condotto a termine una gravidanza senza saperlo. Anche lo stesso Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional, quando è stato al governo, non ha fatto niente per cambiare lo stato delle cose.

Le donne salvadoregne potevano abortire in casi di violenza sessuale o di pericolo di vita per la madre, ma una legge del 1998 ha vietato queste concessioni e il più piccolo paese dell’America latina si è unito agli altri cinque paesi che proibiscono l’aborto senza alcuna eccezione: Haiti, Honduras, Nicaragua, Repubblica Dominicana e Suriname. “Alle donne viene così negato il diritto a decidere sulla propria vita” ha denunciato più volte Morena Herrera, attivista femminista presidente della Agrupación Ciudadana por la Despenalización del Aborto, associazione che più volte ha messo in evidenza come la stessa magistratura risponda agli ordini di un sistema patriarcale. Nessuno, finora, ha risposto alla legittima domanda di Morena Herrera: “Perché in El Salvador le donne che hanno abortito a seguito di violenza sessuale sono in carcere, mentre i loro aguzzini sono liberi?”

In El Salvador, un paese di poco più di sei milioni di abitanti, si registrano 10,2 omicidi di donne su 100.000 secondo i dati della Cepal, la Comisión Económica para América Latina y el Caribe. Nayib Bukele, dal 1° giugno nuovo presidente del paese, ha già dichiarato di non essere favorevole alla legalizzazione dell’aborto, anche quando la gravidanza è dovuta ad una violenza sessuale, ma al tempo stesso si è detto contrario alla criminalizzazione delle donne che hanno avuto un aborto spontaneo, rifiutando quell’odiosa presunzione di colpa che finisce per colpevolizzarle e definirle assassine a prescindere. Bukele, 37 anni, è il più giovane presidente della regione.

Il giorno stesso del suo insediamento il presidente ordinò via twitter alle Forze armate che cambiassero il nome di una caserma intitolata al colonnello José Domingo Monterrosa, responsabile del massacro di El Mozote del 1981. Questo atto, che non aveva osato mettere in pratica nemmeno il Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional durante gli anni in cui ha espresso i presidenti del paese, autorizzerebbe a sperare che qualcosa cambi, ma la strada resta in salita e le organizzazioni femministe sottolineano che, aldilà delle parole Bukele per ora non ha mosso un dito, se non per rafforzare la presenza dell’esercito nelle strade.

Secondo i dati delle Nazioni unite, risalenti al 2017, si registravano nel paese ben 53 gravidanze al giorno tra bambine e adolescenti di età comprese tra i 10 e i 19 anni. Gran parte delle donne condannate per i parti extraospedalieri sono povere e analfabete. Le loro storie spesso sono state raccontate dalle testate internazionali e la situazione delle donne salvadoregne è divenuta motivo di denuncia da parte delle femministe di tutto il mondo che lottano per la legalizzazione dell’aborto.

Foto: Mayita/Wikimedia




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