lunedì 13 febbraio 2012 - Giovanni Greto

L’Officium Novum di Jan Garbarek

Jan Garbarek. The Hilliard Ensemble: "Officium Novum", ECM New Series, 2010.

Jan Garbarek, sax soprano e tenore; The Hilliard Ensemble: David James, controtenore; Roger Covey-Crump, tenore; Steve Harrold, tenore; Gordon James, baritono. A 16 anni dalla prima incisione si ripete il miracolo di Officium (1994).

La scelta del termine "miracolo" sta a significare la perfetta interazione esecutiva di ogni brano. Cioè, per quanto bravi siano i 5 musicisti, ci chiediamo come riescano a far sì che tutto suoni così bene, senza nulla da limare e, paragonando la registrazione ad una ripresa cinematografica, come probabilmente sia sempre buona la prima.

Detto questo, rispetto al disco d’esordio del progetto – un quartetto di voci si incontra con un sassofonista che diventa, grazie ad un lavoro improvvisativo di contrappunto e/o di discanto una affiatata, amalgamata quinta voce – "Officium Novum" presenta un repertorio non limitato dal Medioevo al Rinascimento, a parte la riproposizione di Alleluja Nativitas di Magister Perotinus (XII°secolo) e di Tres morillas m’enamoran, da un anonimo spagnolo El cancionero de Palacio (XVI° secolo).

Gli artisti questa volta riscoprono la musica liturgica dell’Europa dell’Est, con un’attenzione particolare a quella della chiesa Apostolica Armena. Ben 4 su 11 sono infatti i canti composti da Komitas Vardapest (1869-1935), il quale, come è scritto nelle note introduttive, fu un poeta e musicologo che valorizzò la musica liturgica della chiesa armena, dando voce ad una cultura fino ad oggi raramente udita e collegandola alla musica moderna dell’Europa occidentale, che nel primo Novecento iniziò a riconoscere le sue radici nella musica rituale e nelle forme popolari.

Il CD, registrato come gli altri – oltre al primogenito "Officium", nel 1999 uscì il doppio Mnemosyne- nel monastero austriaco di St.Gerold, non lascia indifferente l’ascoltatore, anzi lo induce ad inserire un repeat ad libitum nel lettore del disco, poiché ogni ripetizione rivela per il singolo brano dolcezze, piccole sfumature, da assaporare e da riscoprire.

Il merito di un così fulgido risultato è da attribuire per primo al produttore Manfred Eicher: fu lui ad avere l’idea di mettere insieme 4 voci e un sassofono. Ma quel sentirsi immersi in paesaggi nevosi dell’Europa del Nord, in una natura, se possibile, ancora incontaminata, è da ascrivere al lirismo dei sassofoni tenore e sopranino – il soprano ricurvo che sembra uno strumento-giocattolo del norvegese Garbarek: un nitore, una pulizia, uno sviluppo melismatico, che non hanno eguali.

E poi le 4 voci, sempre le stesse, tranne quella del tenore John Potter, che ha lasciato il posto al più giovane Steve Harrold, che si innescano una nell’altra a formare un continuum armonico e melodico impareggiabile. In scaletta sono da segnalare due composizioni di Garbarek. La prima, Allting finns, mette in musica un poema dello scrittore svedese Par Lagerkvist (1891-1974), la seconda We are the stars sviluppa un poema nativo americano del popolo Passamaquoddy.

Immancabile, almeno un pezzo di Arvo Part, in questo caso Most Holy Mother of God, scritto nel 2003, un compositore verso cui l’Ensemble nutre un altissimo rispetto, sentendosi in sintonia con l’austerità della sua scrittura. Il disco presenta alla fine un brevissimo fuori programma, Nur ein weniges noch, venti secondi di lettura da parte dell’attore Bruno Ganz di un estratto da un poema del 1935 di Giorgos Seferis (1900-1971): “Ancora un poco e scorgeremo i mandorli fiorire, brillare i marmi al sole e fluttuare il mare. Ancora un poco. Solleviamoci ancora un po’ più su”.

Ebbene, riallacciandoci ai versi finali, la musica dell’Hilliard Ensemble e di Jan Garbarek, ascolto dopo ascolto, ha il pregio di indirizzarci verso pensieri un poco più elevati, in grado forse di toglierci di dosso la negatività che ogni giorno contamina alla base il nostro equilibrio psichico.





Lasciare un commento