giovedì 22 ottobre 2009 - Damiano Mazzotti

L’Italia contesa e l’Italia dei cittadini

Nel libro “L’Italia contesa. Sfide politiche ed egemonia culturale” (Laterza, 2009), Aldo Schiavone ha fatto una fresca e agile sintesi storica della trasformazione politica italiana degli ultimi anni.

È un dato di fatto che nell’Italia di oggi la maggior parte dei cittadini vive “la sensazione d’essere al buio: senza punti di riferimento, senza progetti, senza idee, senza grandi speranze collettive. Dovunque, non affiora altro che la nuda trama dei nostri piani individuali di vita, o al più dei nostri piccoli contesti familiari o di gruppo – bisogni, inclinazioni, interessi, conflitti – ma ormai solo in maniera raggrumata e aspra, in un ridursi personale e minimalistico degli orizzonti e delle attese, che non riesce a sciogliersi in un disegno più ampio e rimane invece sempre inchiodato a se stesso, invasivo e soffocante” (p. 6).

Questo immobilismo storico deriva anche dalle condizioni geopolitiche del dopoguerra, “in quanto, pur allineati completamente con gli Stati Uniti, avevamo in casa il più forte Partito comunista d’Occidente, con milioni di iscritti e di votanti, indiscutibile fondatore della Repubblica, ma sino agli ultimi anni sessanta legato strettamente all’Unione Sovietica” (p. 18). Inoltre la nuova Italia era nata come Repubblica di Partiti e non come Repubblica di Stato e di popolo, e “fu la dissoluzione dell’impero sovietico, fra l’89 e il ’90, a porre d’improvviso fine a tutto questo. Come in altri casi nella storia recente, era solo dall’esterno che arrivava la spinta al cambiamento, allo sblocco del sistema politico… Non c’era più alcuna minaccia dall’Est, nessun confine da presidiare, e quindi la nostra importanza geopolitica veniva drasticamente ridimensionata: potevamo riprenderci una piena sovranità” (p. 19 e 20). La Dc si disgregava per il venir meno della sua funzione storica di diga anticomunista, ancor prima che sotto i colpi di Tangentopoli. E si apriva un periodo di transizione che dura ancor oggi con il perdurare della vecchia partitocrazia riverniciata di fresco e di un leader di governo chirurgicamente, chimicamente e mediaticamente rifatto.

Berlusconi si era presentato “non con la bandiera dell’innovazione, ma come l’erede diretto delle battaglie democristiane (e craxiane) e della loro storica funzione di argine rispetto al Pci, in un contrappunto tra conservazione e cambiamento – nuove mentalità e vecchie abitudini – che è stato uno dei segreti della sua fortuna” (p. 46). Inoltre Forza Italia mirava ad eliminare gli statalismi e a rafforzare l’anomia capitalistica. Ma l’attuale accettazione incondizionata dell’anarchia del mercato, che sta portando al collasso finanziario ed economico delle società occidentali, è l’indice di un sistema politico “che si sta ribaltando rovinosamente su se stesso”. Dunque Berlusconi, “Il leader della transizione italiana è diventato oggi il solo ostacolo al suo definitivo compimento. La normalizzazione delle nostra politica non aspetta che la sua uscita di scena per potersi concludere” (p. 61). Egli non è il leader adatto per affrontare un mondo che è entrato pienamente “nella terza rivoluzione tecnologica della sua storia – dopo quella agricola e industriale – e l’impatto ha innescato conseguenze di cui ancora non ci rendiamo ben conto” (p. 64).

Indubbiamente la costante dematerializzazione dell’economia e dei rapporti sociali e internazionali necessita di nuovi leader in grado di comprendere che la potenza del processo di globalizzazione che abbiamo liberalizzato, si lega a molti pericoli immediati e futuri.

Comunque “Riflettere sul presente con gli occhi e gli strumenti dello storico è un compito particolarmente rischioso. Ma non per via della passione che impedirebbe l’obiettività dello sguardo, o per la naturale incandescenza di una materia trattata senza darle il tempo di raffreddarsi. Piuttosto perché, scrivendo, non si sa mai se l’ultimo fotogramma, adoperato per effettuare il montaggio di tutto il racconto, sia davvero quello conclusivo, o non segni soltanto uno stacco provvisorio e ingannevole, preludio di un epilogo completamente diverso. È un pericolo che bisogna accettare di correre” (Schiavone).

Forse in Italia non occorrono grosse riforme: se ognuno di noi iniziasse a fare onestamente e diligentemente il proprio lavoro, tutto questo potrebbe bastare. Infatti è così che una democrazia diventa del popolo e viene fatta dal popolo a favore del popolo. E così anche la democrazia italiana può essere rigenerata dai cittadini, per i cittadini e può diventare davvero una proprietà di tutti.

Lo storico Aldo Schiavone dirige l’Istituto Italiano di Scienze Umane (www.sumitalia.it) ed è membro onorario dell’American Academy of Arts and Sciences (www.amacad.org).




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