mercoledì 29 novembre 2017 - Fabio Della Pergola

L’Eurasia vincente in Medio Oriente

La Russia di Vladimir Putin è, indiscutibilmente, il nuovo deus ex machina del Medio Oriente.

 

Dopo aver vinto la guerra giostrando abilmente tra i tanti attori in campo per favorire il suo protetto Assad (e le sue basi strategiche di Latakia e o il porto di Tartus, unico approdo sicuro per le navi russe nel Mediterraneo) ora ha l’onere e l’onore di dover gestire la difficilissima partita politica del dopo-Isis.

Grazie anche al fatto che il tentativo americano di usare i curdi come arma di pressione sul pericoloso “corridoio sciita” sembra essere dapprima fallito, per la decisa avanzata dell’esercito iracheno che si è ripreso l’area di Kirkuk (e i suoi pozzi petroliferi) e quindi archiviato per le pressioni turche che si sarebbero concretizzate in un misterioso accordo diretto Erdogan-Trump di cui i funzionari americani sembrano essere all’oscuro, ma che si è palesato nella dichiarata sospensione di forniture militari USA alle formazioni curde.

Nel giro di poche settimane sono stati così sistemati i curdi (già ammorbiditi dal consigliere “filosofico” di Putin, Alexandr Dugin, volato a Erbil a calmierare i loro spiriti indipendentisti) e sono stati anche tranquillizzati gli israeliani grazie alle pressioni russe su Assad al vertice di Soci che hanno prodotto l’offerta del raìs di una zona demilitarizzata di 40 km. dai confini dello stato ebraico (in cambio della rinuncia a chiedere la sua testa nella trattativa di pace, cosa che anche i turchi hanno rinunciato a pretendere).

Restava l’incognita MbS, Mohammad Bin Salman, il nuovo sovrano in pectore della penisola arabica e dei luoghi santi dell’Islàm; un giovane, scalpitante e decisionista politico saudita che ha fatto temere una rapidissima ricaduta del Medio Oriente nel vortice di un conflitto regionale se possibile ancor più ampio e drammatico di quello siriano.

L’istigazione saudita sembrava voler “spingere” Israele - questi i titoli di molti giornali - verso un conflitto aperto con il Libano finalizzato a decapitare Hezbollah, la lunga mano dell’Iran sulle coste mediterranee; ipotesi tutt’altro che campata in aria visto che dalla guerra del 2006 in poi entrambi i contendenti si sono preparati allo scontro successivo e che, durante la guerra in Siria gli aerei israeliani hanno più volte bombardato - mentre i russi voltavano la testa - i carichi di armi siriane e iraniane destinate a Hezbollah.

La pericolosità del “corridoio sciita” è tutta qui: non è altro che un’autostrada attraverso la quale possono essere spediti dall’Iran armamenti di ogni tipo e milizie addestrate per essere recapitati direttamente ai combattenti libanesi di prima linea. Basta una scintilla e può scoppiare il finimondo. E la scintilla fatale può essere innestata da qualsiasi “manina”, soprattutto se interessata a far deflagrare una situazione di stallo in cui veste i panni dimessi dello sconfitto.

Qualche dubbio ci era già venuto in occasione del bombardamento chimico di Idlib e dalla successiva “punizione” americana delle forze governative, ritenute, discutibilmente, colpevoli. In tempi non sospetti scrivevo invece che l’accusa avrebbe dovuto casomai «puntare il dito verso qualcuno che vive e regna nella terra dei Saud».

Putin, facendo seguito ad analoga manovra di Trump di qualche mese fa, ha messo da parte le maniere rudi e ha vestito i panni del negoziatore, in cui sembra peraltro perfettamente a suo agio. Così ha aperto le danze con un’offerta di notevole impatto, sottoscrivendo un contratto, a favore dell’Arabia Saudita, da 3 miliardi di dollari in forniture militari di primissimo piano, comprese le batterie anti-aereo e anti-missile S-400 che i sauditi schiereranno ovviamente in funzione anti-iraniana.

Il che tutto sommato risponde all’obiettivo strategico di ricostituire un qualche equilibrio di forze venuto meno con il collasso dell’Isis, capace di “distrarre” l'Iran dal braccio di ferro proprio con i sauditi.

Con il doppio calmante - un po’ a Gerusalemme e un po’ a Riyad - Putin sembra avviarsi a non avere più alcun rivale in termini di egemonia politica sul Medio Oriente e, consolidato il suo cordone di alleanze eurasiatiche con Damasco, Ankara e Teheran, potrà pensare ad altro.

Magari all’Europa attraversata da poderosi rigurgiti rossobruni cui non è estraneo il suo maître à penser di fiducia, Dugin, teorico della Quarta teoria politica, ad esempio.

Fatte salve sorprese dell’ultima ora - sempre possibili in un’area sottoposta, da almeno un secolo, a continui stress geopolitici decisi dalle superpotenze o da recalcitanti attori locali - la temperatura politica potrebbe cominciare ad abbassarsi e la situazione tornare lentamente alla normalità, pur in un quadro geopolitico decisamente nuovo e fortemente sbilanciato a favore dell'asse eurasiatico.

Chi aveva un governo e ha rischiato di perderlo (Assad) ce l’ha ancora, chi non ce l’aveva e ha tentato di averlo (il Califfato) non ce l’ha più. E chi non aveva uno stato (palestinesi e curdi) continua a esserne privo.

Perché è pur sempre molto utile lasciare questioni irrisolte da utilizzare come casus belli del conflitto che verrà.

Foto: Linsert tresniL

 



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