lunedì 9 agosto 2021 - Armando Michel Patacchiola

L’Afganistan sta ridiventando sempre più talebano

I talebani avanzano in Afghanistan in quella che sembra essere una beffa per gli Stati Uniti.

A poco più di un mese dall’uscita ufficiale dall’Afghanistan, decisa a febbraio dal presidente degli Stati Uniti per la simbolica data dell’11 settembre 2021, la situazione nel paese sud asiatico sta velocemente tanto quanto ironicamente scivolando nelle mani dei talebani, i fondamentalisti islamici combattuti per quasi vent’anni dall’esercito americano e dai suoi alleati. Joe Biden, che ha 78 anni, e che da almeno un decennio porta avanti questa linea, ha deciso di porre fine alla “guerra per sempre” sciorinata dalla sinistra progressista statunitense sin dalla presidenza di George W. Bush, anche durante la più recente campagna elettorale. Tutto questo nonostante il parere negativo degli esperti del Pentagono, il più potente ministero della Difesa al mondo, forse dando maggior credito al parere delle agenzie di intelligence americane, che recentemente hanno espresso pareri rassicuranti sul rischio che Al Qaeda possa risorgere e tornare ad essere un pericolo per gli Stati Uniti. Ma la situazione rimane tesa, visto che sabato 9 agosto l'ambasciata americana ha condannato gli attacchi talebani ad alcune città, ritenendole non in linea con gli accordi di pace raggiunti a Doha. I diplomatici hanno altresì invitato i loro concittadini a lasciare il paese con voli commerciali, vista l'incapacità di garantire loro una efficace protezione.

Il simbolo di questa ritirata, partita a giugno, tanto annunciata quanto inattesa è stata senza dubbio la base aerea di Bagram, una roccaforte chiave per le truppe statunitensi, lasciata repentinamente alle 3 di notte di venerdì 2 luglio per timore di un attacco talebano e senza nemmeno aver avvertito gli alleati dell’esercito ufficiale afgano, secondo quanto riferito da un comandante alla BBC. Secondo i bene informati le truppe statunitensi, che negli ultimi anni si erano concentrati nel dare supporto e addestramento alle truppe locali, avrebbero fatto esplodere le munizioni rimanenti, lasciando ai posteri solo artiglieria leggera, e non prendendosi cura del fatto che all’interno delle carceri della base fossero presente ancora circa 5 mila prigionieri talebani.  

Non solo. Ora l’esercito regolare afghano si trova senza guide per le sue artiglierie e con pochi mezzi aerei che nella maggior parte dei casi in passato hanno dato il supporto decisivo contro l’avanzata dei talebani, che comunque nei mesi scorsi avevano guadagnato terreno praticamente ovunque. Secondo la BBC i talebani hanno recentemente affermato che i loro combattenti hanno riconquistato circa l'85% del territorio in Afghanistan. Stime più recenti riportano che i talebani sono riusciti a riprendere il controllo della metà dei 400 distretti in cui è diviso l’Afghanistan, consolidando la propria presenza soprattutto nelle aree rurali, più nelle città di Sar e PolZaranj e Konduz, la più importante per via degli smerci di droga e le interconnessioni autostradali: era dal 2001, dall'inizio della guerra, che le forze governative non perdevano territori così importanti. Frutto molto probabilmente di un cambio di strategia, spostatasi, dai centri rurali alle città. Lo stesso è accaduto sabato 9 agosto sempre a nord, a Shebergan, capitale dello Jowzjan, dove le milizie talebane hanno preso possesso dei palazzi del potere, tra cui il palazzo del governatorato, fatta esclusione una base militare poco fuori città, rimasta in mano all'esercito ufficiale. La situazione non va bene nemmeno a Herat, Kandahar e Kabul dove un attacco ha colpito il quartiere di Sherpur, quello dove risiedono vari funzionari di governo, compresa la seconda casa ministro della Difesa ad interim Bishmillian Khan Mohammadi. Disperata, anche la situazione a Lashkar Gah, nella provincia meridionale di Helmand, dove i miliziani controllano gran parte della città.

Tra le dichiarazioni più controverse il fatto che da un punto geopolitico il futuro dell’Afghanistan risulta altamente strategico, non solo per le sorti del Paese, che ha portato nel ventennio circa 2500 morti e che un peso politico nella politica estera statunitense la ha, quanto piuttosto nella fuga da una zona che è sotto l’influenza del Pakistan, che è diventata preda della Cina, che è il maggior investitore nel paese, e dell’India, che assieme agli Stati Uniti cerca di fronteggiare l’egemonia del Dragone nel sud est asiatico e nelle altre latitudini della regione e del globo.

I talebani sembrano essere molto attenti ad aggraziarsi la Cina, dopo essersi accordati in gran segreto a Doha a giugno con l'India. Oggi i fondamentalisti islamici godrebbero dell’appoggio anche della Cina, confermato dal ministro degli esteri cinese, seppur con qualche richiesta: tra queste quella di interrompere i legami con un gruppo armato che supporta gli uiguri, un tema molto caldo nel sud ovest della Cina. E' da leggere in questo senso il grande linteresse per il corridoio del Wakhan, che per 70 chilometri confina con la Pechino, che è stato conquistato nelle scorse settimane. Come per altre zone, anche lì, l'avanzata è stata favorita anche dalla popolazione, stremata dalla fame, ma preoccupata delle limitazioni sociali che, come prima dell’avvento degli americani, sta tornando a condizionare la vita dei civili, soprattutto delle donne. Tutto questo mentre il governo di Kabul detiene il controllo della capitale e alcune zone, soprattutto nella zona centro-nord del paese (nella mappa in grigio).




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