Joe Pass "Il Compendio"

Commemorazione tardiva? Meglio tardi che mai.
Il 23 del mese scorso è stato il quinto anniversario della scomparsa del grande chitarrista jazz Joseph Anthony Passalacqua detto Joe Pass. Non so se altri, in questo strano paese dove non si parla d’altro che delle gesta eroiche (pardon erotiche) del presidente del consiglio, hanno rivolto un pensiero di riconoscenza a questo formidabile artista che come si vede dal cognome era di chiare origini Italiane. Io che fui e sono un suo grande ammiratore, sebbene con un mese di ritardo questo pensiero, deferente e commosso, glielo voglio dedicare.
Molti, certamente tutti quelli che ebbero modo di ascoltarlo di persona o attraverso i suoi numerosi dischi o nelle sue frequenti apparizioni italiane (Umbria jazz e vari stages molto frequentati) lo rimpiangono con affetto.
La caratteristica saliente di questo immenso chitarrista, fu, a mio modo di vedere, quella di rappresentare il compendio delle qualità artistiche di tutta una generazione di "beboppisti" che a partire dagli anni ’40, a New York, in locali come il Monroe’s, il Minton’s, etc, introdussero definitivamente, nel jazz, la chitarra elettrica conferendole la stessa dignità degli altri strumenti.
Artefice principale di questa rivoluzione che fece immediatamente fiorire una moltitudine di grandi chitarristi fu senza alcun dubbio Charlie Christian. Da quel momento si susseguirono nel corso dei decenni successivi chitarristi come Barney Kessel: grande tecnica e vasta conoscenza armonica, Wes Montgomery che suonava col pollice e improvvisava ad ottave, Tal Farlow: detto octopus per le lunghe dita che sembravano i tentacoli di un polipo, Jim Hall, Herb Hellis e tanti altri che sarebbe inutile elencare; tutti forniti di grande sensibilità artistica, ma ciascuno dotato di peculiarità proprie che li rendevano riconoscibili all’ascolto delle prime note.
Ecco, io sostengo che Joe Pass fu tutti questi messi insieme. Ebbe sicuramente la sensibilità armonica di Kessel, lo swing di Montgomery, la velocità tecnica di Tal Farlow e di Herb Hellis che lo precedette nel trio di Oscar Peterson e in aggiunta a tutte queste qualità, una conoscenza totale dello strumento a cui nessuno prima di lui era mai arrivato e tale da far pensare che lo studio della chitarra dovette essere per lunghi periodi della sua vita una vera e propria ossessione. Fra l’altro bisogna considerare che, finito intorno ai vent’anni in galera per droga, abbandonò la musica per circa due lustri.
Collaborò con grandi jazzisti, fece parte dell’orchestra di Gerald Wilson, pubblicò un numero notevole di dischi, ma fra i mille motivi per celebrarlo io desidero ricordare la sua lunga collaborazione con Ella Fitzgerald, la più grande cantante jazz di tutti i tempi, che spesso preferì esibirsi accompagnata solo dalla sua chitarra e infine un concerto tenuto a “Umbria Jazz” dove con il formidabile e talvolta troppo invadente Niels Henning Orsted Pedersen detto NHOP furono eseguiti alcuni brani fra i quali Stella by Starlight e Donna Lee che rimarranno nella storia.
Si dice che le persone non muoiono fin quando c’è qualcuno che li ricorda e allora, caro Joe, a distanza di cinque anni e un mese dalla tua scomparsa, che questo pezzo venga letto o meno, ti garantisco che sei più vivo che mai.