mercoledì 28 settembre 2022 - Giovanni Greto

Joana Carneiro protagonista nella stagione sinfonica 2021-2022 del Teatro La Fenice di Venezia

Caloroso successo per la direttrice portoghese alla guida dell’Orchestra del Teatro

 

Il terz’ultimo appuntamento della stagione sinfonica della Fenice ha visto salire sul palcoscenico la direttrice Joana Carneiro (Lisbona, 30 settembre 1976) nell’esecuzione della Suite n.2, tratta dalla seconda parte del balletto El sombrero de tres picos di Manuel de Falla (Cadice, 23 novembre 1876 – Alta Gracia, Argentina, 14 novembre 1946) e de Le sacre du printemps di Igor Stravinskij (Oranienbaum, Pietroburgo, 18 giugno 1882 – New York, 4 aprile 1971).

El sombrero de tres picos (Il cappello a tre punte o Il Tricorno) nasce da una richiesta di Diaghilev a de Falla di una musica per un balletto spagnolo. Il compositore lo portò ad assistere al suo “El Corregidor y la Molinara”, una farsa mimica con canto, tratta dal romanzo di Pedro Antonio de Alarcon (El sombrero de tres picos, Madrid, 1874), che narra della beffa che la bella mugnaia Frasquita, fedele al marito Lucas, compie ai danni del corteggiatore, il Corregidor Don Eugenio de Zuniga y Ponce de Leon, magistrato ed amministratore del paese, il cui simbolo è, appunto, il cappello a tre punte, che ne uscirà scornato e canzonato dall’intero borgo.

In poco più di 12 minuti, la Suite si divide in tre parti, ciascuna caratterizzata da una danza tipica. La prima, “Danza de los vecinos”(allegro ma non troppo), è una Seguidilla, danza popolare andalusa. Su un ritmo di 3/8 i vicini ballano nella notte di San Giovanni. Joana Carneiro dirige come se danzasse, con una gestualità ampia : i movimenti della bacchetta sembrano delle sferzate.

La seconda, “Danza del Molinero” (moderato assai, molto ritmico e pesante), è una Farruca in 2/2, danza legata al mondo gitano del flamenco. E’ il brano più famoso del balletto. Il tema è splendidamente delineato dall’oboe, mentre il finale è un vorticoso accelerando del tutti orchestrale che fa trattenere il fiato alla platea.

La terza, “Danza final”(allegro ritmico, molto moderato e pesante), è una Jota, vivace danza aragonese in ¾, di carattere virtuosistico, che originalmente prevede il canto e il ballo di coppia, eseguito frontalmente e senza contatto tra i ballerini. La Carneiro stimola col sorriso l’orchestra. Emergono le percussioni, le tipiche castanuelas (nacchere o castagnette in italiano), il triangolo, gli splash! ad alto volume dei piatti, le rullate a colpi singoli, che danno vita ad una dinamica vigorosa. L’andamento cresce imperioso. Da momenti delicati si passa ad accenti e volumi eccitanti per una vitalità ritmica ben coordinata dalla direttrice, abile a far eseguire con vigore e puntualità i numerosi fraseggi accentati della partitura.

Applausi convinti ed intensi, ma non c’è tempo per rifiatare. Bisogna subito concentrarsi sulla più lunga, come durata, “Sagra della Primavera”(circa 36 minuti) e più complessa quanto a partitura. Così Stravinskij racconta la genesi dell’opera : “ Un giorno, in modo del tutto inatteso, intravidi nella mia immaginazione lo spettacolo di un grande rito pagano. I vecchi saggi seduti in cerchio che osservano la danza fino alla morte di una giovinetta, che essi sacrificano per rendersi propizio il dio della primavera. Fu il tema del sacre du printemps”.

Strutturata in due quadri (Tableau), il primo suddiviso in sette, il secondo in sei parti, “Le Sacre” impressiona per il gigantesco organico orchestrale, in grado di scatenare sonorità di inaudita violenza. Molto spazio viene dato alle percussioni : sette i musicisti coinvolti. La prima rappresentazione del balletto, il 28 maggio 1913 al Theatre des Champs Elysee di Parigi, provocò una reazione violenta del pubblico, che inondò gli interpreti di fischi. Subito dopo la partitura venne eseguita in forma di concerto ottenendo un successo clamoroso.

Joana Carneiro è riuscita ad interpretare con gusto, ma in maniera decisa, una partitura complessa, a partire dall’introduzione del primo Tableau (“L’Adoration de la Terre”), in cui emerge il fagotto ad eseguire il tema popolare di una celebre melodia lituana, fino alla velocissima ed inebriante Danse de la Terre a conclusione del primo quadro. Il secondo Tableau si apre con un’introduzione rarefatta e, di sezione in sezione, termina con la dirompente Danse sacrale (l’Elue) – danza sacrificale (l’eletta) -, caratterizzata da un andamento marziale, in cui si intersecano colpi di timpano e grancassa, fraseggi dei fiati, trombe e tromboni in primis, tappeti d’archi, con la sensazione di sentirsi immersi in una musica da film come quella, ad esempio, celeberrima, ideata per Psycho di Alfred Hitchcock da Bernard Herrmann.

Appalusi a non finire per conglatularsi con la direttrice e l’orchestra precisa, efficace e dotata di un suono limpidissimo.

Concludo citando un estratto da una breve intervista, visibile sul web, prima di una prova del concerto.

Generalmente mi avvicino ad una partitura cominciando a leggerla come si leggerebbe un libro. Quindi la sfoglio e cerco di apprenderne il significato a partire proprio da questo “testo” e ciò è maggiormente importante quando si è in presenza di partiture dalle molteplici versioni come nel caso di Stravinskij e de Falla. Vanno compresi le fonti e il contesto nel quale sono state scritte, composte. Questo tipo di musica è stata scritta per danzare e trasportare il nostro pensiero in diverse atmosfere. Dobbiamo pensare a come sono state scritte, in che contesto siano nate e quanto abbiano in comune col periodo storico del loro concepimento (l’estetica del XX° secolo, in questo caso).




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