lunedì 10 agosto 2009 - Damiano Mazzotti

Jean Monnet: il geniale padre dell’Europa

Jean Monnet è stato l’ideatore e il principale costruttore dell’unione federale europea.

La figura istituzionale di Jean Monnet è davvero unica: non è mai stato capo di un governo, non è mai stato capo di un partito e nemmeno di un’istituzione. Le uniche volte che si è trovato alla testa di una organizzazione si trattava di una realtà che lui stesso aveva creato e di cui si occupò fino alla “stato nascente”. È il caso della CECA: la Comunità europea del carbone e dell’acciaio.

Perciò non è affatto vero che un uomo solo è ridotto all’impotenza in questo mondo gerarchico e complesso degli affari umani e degli affaristi monetari: nel dopoguerra non esistevano progetti alternativi alla gestione della Germania occidentale nei partiti, nei ministeri o nei governi europei (M. Albertini, Il Federalista, 1977). "Il progetto è di Monnet e l’azione per farlo accettare dai governi è di Monnet" (Albertini), anche se a Schuman, Adenauer e De Gasperi va riconosciuto il merito di aver aderito immediatamente a questa proposta. Per fortuna la “Dea madre dell’Europa” ha voluto che tutti e quattro avessero qualcosa di profondo in comune: avevano fatto parte di una minoranza linguistica all’interno di una nazione confinante (De Gasperi fece parte del parlamento austriaco e anche grazie a questa formazione culturale più elevata diventò un grande statista italiano).

Ritornando a Jean Monnet si può quindi tranquillamente affermare che “ha creato la Comunità, e la Comunità ha condizionato la politica europea e mondiale” (M. Albertini, Il Federalista, 1977). Monnet era però orientato a costituire gli Stati Uniti d’Europa, con l’idea fondamentale di conservare le relative identità e libertà nazionali, cosa purtroppo dimenticata nei progetti dei nostri attuali vecchi euro-burocrati da biblioteca e da quattro soldi. Nella sua vita Monnet aveva lavorato duramente e conosceva la vera realtà delle cose: non si nutriva delle banali regole di condotta suggerite dalle Università e dei pregiudizi instillati dai partiti.

Jean Monnet è stato un uomo che si è fatto “leader del momento della necessità” ed è stato un uomo che come Giuseppe Mazzini capì che la “riflessione non può essere separata dall’azione”. Monnet è stato anche un leader che si è fatto uomo, è riuscì a comprendere che dalla situazione di impasse del dopoguerra si poteva uscire in un solo modo: “con un’azione concreta e risoluta su un punto limitato ma decisivo, che provochi un cambiamento fondamentale su questo punto e modifichi progressivamente i termini stessi dell’insieme del problema” (Memorandum del 3 maggio 1950). Dunque se si inseguono più obiettivi si “rischia di perdere l’occasione di agire, che è unica” (Monnet, Mémoires, 1976).

Uomini come Jean Monnet ne nascono solo ogni vent’anni per cui mi sempre giusto concludere con le sue bellissime parole: “Per l’uomo politico l’obiettivo di ogni istante è di essere al Governo, è di lì essere il primo… Non ho mai conosciuto un grande uomo politico che non sia fortemente egocentrico, ed è logico: se non lo fosse, non avrebbe mai imposto la sua immagine e la sua persona. Io non avrei potuto esserlo e non per modestia: non si può concentrarsi su una cosa e su se stessi. E questa “cosa” è sempre stata la stessa per me: far lavorare tutti gli uomini uniti, dimostrare loro che, al di là delle divergenze o al di sopra delle frontiere, essi hanno un interesse comune… La concorrenza era viva attorno al potere, ma era praticamente nulla nel settore in cui io volevo agire, quello cioè, che si occupa della preparazione dell’avvenire e che, per definizione, non è rischiarato dalle luci dell’attualità. Poiché non davo fastidio agli uomini politici, potevo contare sul loro appoggio. Inoltre, se ci vuole molto tempo per arrivare al potere, ne occorre molto poco per spiegare a quelli che ci sono arrivati come si possa uscire dalle difficoltà presenti: è un linguaggio che ascoltano volentieri al momento critico. In quel momento, quando mancano le idee, essi accettano volentieri le tue, purché ne abbiano la paternità. Dato che tutti i rischi sono loro, anche gli allori devono essere lasciati a loro. Nel mio lavoro, gli allori bisogna dimenticarseli. Per quanto ne dicano, non mi piace tenermi nell’ombra, ma se solo con una certa riservatezza posso portare a termine le cose in modo più soddisfacente, ebbene, allora scelgo l’ombra” (Mémoires, 1976).




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