venerdì 4 ottobre 2019 - Antonella Policastrese

Iva: aumenta o non aumenta?

Tra tutti gli argomenti trattati dall’attuale Governo in questi giorni, quello principe è senz’altro lo scongiurare l’aumento dell’IVA. A dire il vero è così da almeno una decina di anni, a prescindere da quale sia il governo che abbia dovuto affrontarlo quell’ argomento. Tuttavia mai nessuno ha spiegato agli italiani da dove arriva questo pericolo, a cosa serve aumentare l’imposta sul valore aggiunto, quali aggiustamenti apporterebbe ai conti del Paese. 

A fronte di ciò, si lascia intendere che le conseguenze dell’aumento delle aliquote avrebbero ripercussioni terribili sul piano dell’economia reale, ovvero sui consumi e sull’apparato produttivo. Delle due una: o apporta dei benefici, oppure devasta il potere d’acquisto degli italiani, poiché tutti i prezzi, per beni e servizi, nessuno escluso, schizzerebbero verso l’alto. In sostanza, è il costo della vita che aumenta quando sale l’incidenza dell’IVA. Ad esso non corrisponde un omologo incremento in busta paga per il consumatore; ovviamente non avrebbe senso se tra le due cose: aumento contemporaneo dell’IVA e dei livelli salariali, fosse un testa a testa. In realtà la questione dell’imposta sul tutto, ovvero dell’IVA, è un parente scomodo se non, addirittura, il vero tabù che agita i Paesi dell’Unione Europea. Azionare indistintamente la leva dell’aumento per ripianare il debito pubblico, si è rivelato micidiale in quei Paesi dell’Unione dove i livelli salariali restano immutati rispetto al variare all’insù del costo della vita. Si calcola che in Italia un aumento dell’IVA, così come prescritto dalla UE, faccia lievitare le spese delle famiglie sino a 2.400 euro all’anno. I governi lo sanno, lo sa soprattutto quello italiano e da lì derivano gli immancabili rumors di crisi determinati dalla contrapposizione tra fazioni di europeisti ortodossi e altre meno indottrinate.

Queste ultime sono come l’asino di Buridano, scelgono di non scegliere, giacché i loro attuali alleati, per nessuna ragione al mondo, disattenderebbero i dettami di Bruxelles. Un compromesso tra le due fazioni, di solito, salva capra e cavoli, ossia: scongiura l’aumento dell’IVA e mantiene in sella il governo. Il compromesso consiste nello “scovare” (normalmente attraverso tagli e nuove tasse) un tesoretto di miliardi; nel caso dell’attuale Governo si parla di 25. Ma un tesoretto da dare a chi, da mettere dove?

Dal momento che non si capisce cosa vieta di mettere direttamente mano al portafoglio, senza prima agitare lo spauracchio di un aumento globale del costo della vita, forse sarebbe il caso di spiegare bene quali siano i meccanismi che regolano la materia e ne determinano le strategie per affrontarla. Misteri italiani, un po’ come è un mistero tutta la vicenda politica nostrana che ci ha legati mani e piedi al totem dell’ Unione Europea.

Un tempo trapelava che l’Italia dovesse corrispondere all’Unione il 5 per cento dell’IVA introitata dall’erario, ciò nell’ambito dei trattati fra stati membri che vanno da quello di Bruxelles (1954) a quello di Adesione (della Croazia) risalente al 2013. Se così fosse, ovvero se il 5 per cento dell’IVA venisse devoluto mensilmente alla UE, ne deriva che l’innalzamento delle aliquote giova soltanto a chi quel 5 per cento lo pretende. Più alto è il valore dell’IVA, più congruo è il peso dell’elargizione da parte dell’Italia. Ecco forse spiegato il motivo per cui i nostri governi ogni anno offrono miliardi per non andare incontro a un aumento generalizzato del costo della vita che tanto malcontento genera tra la popolazione.

Ma è come domandare a un creditore esigente e pressante se vuole essere pagato con assegni o denaro contante; la sostanza non cambia. Superato l’empasse poi tutto si aggiusta e si torna agli antichi vezzi del quanto l’Italia dona alla UE e quanto riceve. Si ha contezza che, in primo acchito, il nostro Paese riceve due miliardi in meno di quanto versa. Il gruzzolo poi aumenta per via della incapacità di spesa di alcune regioni e altri miliardi che, non spesi e non saputi spendere, tornano nelle casse di Bruxelles. In Italia l’eccesso di narrazione nell’arco di un decennio ha determinato l’assordante mutismo delle classi politiche che non sanno che pesci prendere, che non riescono a esprimere dei leader adatti ad affrontare questo lento e grande declino di una unione tra stati europei priva di ingredienti essenziali quali la solidarietà e la sussidiarietà; basta guardare cosa hanno fatto alla Grecia e alla lacrime di coccodrillo di Christine Lagarde.

Ciò che serviva all’Italia per affrontare al meglio la situazione era una sorta di allineamento dei pianeti tra le espressioni politiche e questo c’era finalmente stato, sino a luglio scorso. Ma purtroppo qualcuno è caduto, da solo, dal seggiolone, Matteo Salvini e altri, il Movimento 5 Stelle, hanno temuto di rimanere coinvolti nella caduta, dai seggi in Parlamento, nel caso in specie. Sicchè siamo tornati alla narrazione e ad allinearsi, questa volta, sono tornati ad esserlo gli organi di informazione, ma senza che nessuno avverta il dovere di raccontare come stanno realmente i fatti, quello dell’aumento dell’IVA, per esempio. Antonella Policastrese

Foto: Pixabay




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