lunedì 7 maggio 2018 - Fabio Della Pergola

Israele e il falso problema del nucleare iraniano

La faccenda del nucleare iraniano si sta sviluppando sotto una cappa abbastanza vistosa di ipocrisia. Che oscura - senza renderla invisibile - la realtà dello scontro in atto.

La sceneggiata del leader israeliano Bibi Netanyahu, con il solito corredo di slide e colpi di scena, pare non abbia aggiunto nulla di quanto non si sapesse già sul programma atomico di Teheran, se non la sorprendente sciatteria della repubblica islamica nell’archiviazione, in un capannone periferico in stato di semiabbandono, di tutta la documentazione cartacea e informatica del progetto che sarebbe stata trafugata, con un colpo magistrale da spy story d’alta classe (ammesso che sia vero), dal solito Mossad. 

Una sceneggiata che peraltro ha lo scopo molto preciso di fornire all’amministrazione Trump l’occasione - già preannunciata in campagna elettorale - di tirarsi fuori dall’accordo voluto a tutti i costi da Obama e dall’Europa. Con il tacito, ma chiaro, accordo della leadership saudita a sua volta pronta a reclamare il diritto di dotarsi di armi nucleari a scopo di deterrenza anti-iraniana.

I motori sono accesi e si stanno scaldando. Anche se la questione del nucleare non sembra essere - non più di tanto almeno - la “vera questione” aperta con l’Iran, nonostante la diatriba tra i sostenitori delle opposte fazioni si sia già indirizzata verso la stucchevole questione del "vero-falso" programma segreto di Teheran su cui accapigliarsi.

In sintesi la falsa motivazione del nucleare sarebbe sbandierata al posto di quella vera: la presenza di truppe e armamenti sofisticati iraniani radicati in territorio siriano, a pochi chilometri dal confine di Israele.

La loro presenza, in quanto alleati del governo siriano nella lotta all’Isis, non può in alcun modo essere accampata come legittima causa di scontro; ogni governo ha il diritto sovrano di ospitare sul suo territorio insediamenti di suoi alleati. L’Italia non ospita forse numerose basi militari americane entro i suoi confini?

Ma il radicamento iraniano in pianta stabile in Siria è inaccettabile per Israele - una “linea rossa” insuperabile già esplicitata da tempo - per i pericoli, potenzialmente letali, che potrebbe comportare un eventuale attacco simultaneo di Hamas, Hezbollah (che ieri ha vinto le elezioni libanesi in cui ha votato meno della metà degli aventi diritto) e delle stesse armi iraniane. Il caso del drone armato inviato a sorvolare il territorio israeliano, inseguito e infine abbattuto da un elicottero, è stato un chiaro avvertimento di quello che potrebbe succedere.

È evidente che il loro insediamento nei pressi del confine è il vero casus belli potenzialmente devastante dello scontro prossimo venturo. Una questione di egemonia militare e di deterrenza a cui lo stato ebraico non vuole (e non può) rinunciare.

Nell’impossibilità di accampare una legittima pretesa affinché gli iraniani sloggino dalla Siria dopo aver graziosamente prestato servizio per salvare l'alleato Assad - unica possibilità per salvare il paese da un ulteriore bagno di sangue trascinandolo insieme al Libano in uno scontro apocalittico - non restava ad Israele che una via diplomatica “forte”, rispolverare la questione nucleare con il coup de théâtre della documentazione trafugata, per costringere Teheran a una trattativa a tutto tondo. Prima di arrivare al prevedibile confronto muscolare sul terreno.

Non è il pericolo astratto del nucleare in ballo - l'accordo potrebbe reggere come dicono gli europei - ma il troppo vicino, e quindi estremamente più pericoloso, armamentario tradizionale che può trascinare il Medio Oriente in un altro disastro dalle proporzioni che potrebbero diventare davvero inimmaginabili.

 




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