venerdì 25 febbraio 2022 - UAAR - A ragion veduta

Islamofobia: una, nessuna e centomila?

Chiunque tenga al rispetto dei diritti umani può condannare odio, violenza e discriminazioni anche verso i musulmani. Ma l’islamofobia è un termine ampio, che rischia di essere vago, politicizzato e controverso. Ne parla Valentino Salvatore sul numero 1/2022 della rivista Nessun Dogma.

Uno spettro si aggira tra accademie, social e dibattiti pubblici: l’islamofobia. Specie dall’attacco islamista alle Torri gemelle dell’11 settembre 2001 ha animato mille diatribe, anche tra laici e non credenti. I musulmani e la loro religione sono sempre più oggetto di odiose discriminazioni e diffidenza in occidente. Trapelano notizie sconcertanti sulla repressione delle autorità cinesi contro gli uiguri dello Xinjiang. In paesi a maggioranza islamica e non, altri musulmani sono perseguitati dalle autorità o da fanatici perché non si adeguano alla visione bigotta dominante.

Fenomeni di odio e discriminazione che chiunque tenga al rispetto dei diritti umani condanna. Ma se apriamo i dizionari, troviamo una definizione molto larga del termine che descriverebbe tale sentimento ostile. Per il Cambridge Dictionary l’islamofobia è «unreasonable dislike or fear of, and prejudice against, Muslims or Islam». Dov’è il limite “ragionevole” per antipatia, paura e pregiudizio? È diretto alla religione e/o ai suoi fedeli per dirsi “fobia”? Quando far intervenire le leggi?

Il concetto si palesa già ambiguo. La tendenza dei religiosi e di frange progressiste che ne sostengono le istanze è allargarne i confini. Non solo gli integralisti si presentano come vittime dello stato, del laicismo o dell’imperialismo, o credono più genuina la loro lettura derubricando altre a “eresie”. Pure attivisti e intellettuali contribuiscono radicalizzando certi discorsi. Può giocare una tendenza ipertrofica dell’intersezionalità, per cui discriminazioni, intolleranza e pregiudizi si concatenano e rafforzano.

Si rischia di confondere l’identità religiosa con quella etnica, di ritenere “vero” l’islam (paradossalmente) nella versione rigida, di ridurre la persona al suo culto, quindi di intendere la fede come “razza”. Si cade nel tranello della razzializzazione, l’attribuzione di stereotipi a una etnia che se fatta da una posizione ritenuta dominante è avversata. Processi culturali divergenti infine convergono. L’islamofobia diventa una forma di razzismo che copre ogni condizione di minorità, discriminazione o disagio del musulmano, sebbene si parli di religione e sia utile circoscrivere l’ambito. Per tutelare dalle discriminazioni (reali) gli stessi musulmani e insieme difendere le libertà moderne.

Il termine appare in francese a inizi novecento. La prima attestazione è nella tesi di dottorato di Alain Quellien, funzionario del ministero per le colonie della Francia, intitolata La politique musulmane dans l’Afrique occidentale française (1910). Qui l’islamofobia è «pregiudizio contro l’islam, diffuso tra i popoli della civiltà occidentale e cristiana»: «per alcuni il musulmano è il nemico naturale e inconciliabile del cristiano e dell’europeo, l’islam è la negazione della civiltà, e la barbarie, la cattiva fede e la crudeltà sono tutto ciò che ci si può aspettare dai maomettani». Quell’anno l’etnografo e africanista Maurice Delafosse lo riporta nell’articolo L’état actuel de l’islam dans l’Afrique occidentale française. Entrambi biasimano la durezza delle autorità coloniali e ritengono l’islam un balzo “darwiniano” di civiltà rispetto a credenze indigene. Il secondo contesta pure la speculare «islamofilia», neologismo per una politica preferenziale che «creerebbe un sentimento di sfiducia tra le popolazioni non musulmane».

L’islamofobia arriva stabilmente all’inglese con uno scritto del domenicano egiziano Georges Chehata Anawati del 1976. In polemica, afferma che è arduo per un non musulmano approcciarsi ai testi sacri, «costretto, pena l’accusa di islamofobia, ad ammirare il Corano nella sua totalità e a guardarsi dall’implicare anche la minima critica al valore letterario del testo». Il termine si popolarizza con un rapporto del think tank britannico antirazzista Runnymede Trust del 1997.

Se è vero che il concetto di islamofobia non è stato inventato dal regime degli ayatollah iraniani, come vuole una vulgata fraintesa anche tra i laici, esce dalle accademie ed entra nel dibattito dagli anni settanta. Quando intellettuali francesi impegnati, come Michel Foucault, si mostrano ambigui con la rivoluzione islamista in Iran. Proprio la teocrazia nata nel 1979 con Ruhollah Khomeini, già esule in Francia, si legittima reprimendo i dissidenti in quanto “odiatori” della religione.

Alcuni episodi mostrano quanto è problematico, per la difesa dei diritti e delle libertà, sposare la definizione allargata e vaga di islamofobia.

Con il presidente Joe Biden gli Usa scendono in campo contro l’islamofobia nel mondo. Su proposta di Ilhan Omar, deputata del Partito democratico di origine somala che ben rispecchia certe antinomie della sinistra Usa. Fieramente velata, fa parte della cosiddetta “The Squad”, gruppo di democratici combattivi sul fronte progressista. Nota per posizioni avanzate su temi sociali e diritti civili, ma anche per controversie come il boicottaggio a Israele. E per frasi evasive sull’11 settembre: rievocando i fatti, si limitò a dire che «certe persone hanno fatto qualcosa». Basi ideali per diatribe con i repubblicani più estremisti.

Il casus belli è offerto dalla repubblicana Lauren Boebert. Cristiana “rinata” e nazionalista, fanatica del porto d’armi liberalizzato, Boebert offende più volte Omar accusandola di essere una jihadista. Diffonde pure la storiella (falsa) di quando in ascensore l’avrebbe incontrata, preoccupata che avesse uno zaino esplosivo. L’episodio fa traboccare il vaso. La Camera dei rappresentanti approva nel dicembre del 2021 per pochi voti l’istituzione di un ufficio del dipartimento di stato (pari al nostro ministero degli esteri) per il contrasto all’islamofobia, con inviato speciale e spazio nel report annuale sui diritti umani.

Critica l’impianto l’associazione Ex-Muslims of North America (Exmna). Per il presidente Muhammad Syed «apre a un’allarmante vulnerabilità all’abuso e rischia di spingersi troppo oltre» già nel non definire il termine ‘islamofobia’ nel testo. Infatti, spiega Syed, il concetto è usato «come arma per mettere sullo stesso piano la critica all’islam in quanto sistema di credenze e la discriminazione verso i musulmani in quanto persone». Lo slancio statunitense potrebbe ostacolare la difesa dei diritti in paesi dove vige la sharia. Le norme anti-blasfemia nel mondo islamico sono vestite da «strumento per combattere “odio religioso” o “incitamento”, pretesto spesso invocato contro ex musulmani o altre persone che esercitano il proprio diritto alla libertà di espressione criticando le dottrine e i costumi islamici». Non solo apostati, blasfemi, atei o agnostici, ma pure cristiani, buddisti o induisti e persino nicchie islamiche malviste come sufi o ahmadi.

Intanto in Canada, dove il multiculturalismo ideologico è sdoganato, il Toronto District School Board congela un evento per sospetta islamofobia. È l’incontro di un club del libro per adolescenti con Nadia Murad, attivista di fede yazida, premio Nobel per la pace 2018. Murad racconta la sua atroce esperienza sotto il “califfato” in terra irachena nella biografia The Last Girl: My Story of Captivity, and My Fight Against the Islamic State. A quattordici anni viene rapita, ridotta a schiava sessuale e stuprata dai miliziani dell’Isis. Ma il libro è potenzialmente offensivo verso i musulmani, secondo la sovrintendente Helen Fisher. Solo dopo le polemiche c’è una parziale marcia indietro.

Spesso chi vuole il riconoscimento dell’islamofobia come reato si appoggia a dispositivi giuridici e garanzie dello stato di diritto ma si guarda bene dal recepirli nella umma. E trova terreno fertile nel “laico” occidente dove resistono incrostazioni confessionaliste cristiane e ora si diffonde una condotta iperprotettiva verso pretese comunitariste. In Italia il Concordato privilegia la chiesa cattolica ed eleva il Vaticano a stato. Con il suo sistema di confessionalismo multilevel prima o poi si arriverà all’intesa tra stato e associazioni islamiche. In più i liberal, nello slancio contro il razzismo, fanno da sponda in opposizione agli identitaristi autoctoni ostili ai musulmani.

Caso emblematico, quello dell’intellettuale algerino Saïd Djabelkhir. Docente universitario, islamologo esperto di sufismo, figura eclettica animatrice di un circolo di “liberi pensatori”, si dice per un «islam dei Lumi». Condannato nell’aprile 2021 a tre anni per blasfemia. La sua colpa? Ha posizioni liberali, sostiene altri intellettuali vessati, difende minoranze come i berberi e mette in discussione fondamenti religiosi. Con un’analisi storico-critica che nelle accademie occidentali è prassi, sostiene che talune pratiche islamiche risalgono a epoche precedenti. Anche pilastri come l’hajj (il pellegrinaggio alla Mecca) o il digiuno del Ramadan, o riti quali l’Aïd al-Adha (la festa del sacrificio).

Tesi inaccettabili, tenuto conto che l’epoca prima dell’avvento dell’islam viene disprezzata come incivile e pagana: è “età dell’ignoranza” (jāhiliyya). Ma Djabelkhir osa pure criticare i matrimoni forzati delle bambine. I detrattori ci vedono un attacco a Maometto, che secondo fonti islamiche (come alcuni hadith) ormai cinquantenne avrebbe sposato Aisha che aveva sui dieci anni: la sua sposa “prediletta”, nonché “madre dei credenti”. L’intellettuale è oggetto di un’ampia campagna di delegittimazione da inizio 2020, anche con minacce di morte. Un collega e altri indignati lo denunciano per offese a islam e profeta. E trovano un giudice che gli dà ragione.

Da manuale la replica dell’Algeria all’Onu sul caso. La condanna di Djabelkhir desta scalpore nel mondo. Tanti ne chiedono la liberazione, anche Humanists International. I relatori speciali delle Nazioni Unite Ahmed Shaheed (per la libertà di religione e credo) e Irene Khan (per la promozione e la protezione della libertà di opinione ed espressione) in una lettera alle autorità algerine lamentano la violazione delle convenzioni siglate dal paese. Si vedono rispondere che pure in occidente ci sono legislazioni contro l’offesa alla religione. Vero, ancora oggi in molti paesi vigono norme vetuste. In Italia per una bestemmia (solo a dio) fino al 1999 c’era il penale, poi derubricato: ma costa ancora una multa. L’Algeria si è giustificata citando poi una controversa sentenza della Corte europea dei diritti umani del 2018, che ha sancito il reato di blasfemia “islamofoba”. Qui la corte non aveva rilevato violazioni alla Convenzione europea nella condanna a una cittadina austriaca che nel 2013 aveva paragonato la relazione tra Maometto e Aisha alla pedofilia.

Protagonista del caso Elisabeth Sabaditsch-Wolff, militante della destra identitaria che ha tenuto seminari riservati sull’islam. Per queste allusioni viene denunciata: in Austria l’offesa alla religione è reato. L’episodio vira sul politico, lei diventa paladina dei movimenti anti-islam e anti-immigrati. La polarizzazione fa perdere di vista la gravità della sentenza. I giudici Cedu, con un amalgama dottrinario e storiografico, confermano la condanna. Perché certe affermazioni possono suscitare una «indignazione giustificata» tra i musulmani, in quanto «tese a dimostrare che Maometto non è un soggetto degno di venerazione»: sono una «violazione malevola dello spirito di tolleranza alla base della società democratica», capace di «aizzare i pregiudizi» e «mettere in pericolo la pace religiosa».

Cioè, un tribunale decide qual è l’interpretazione accettabile di un fatto storico, si occupa della venerazione di figure sacre e condanna chi la mette in dubbio perché i fedeli potrebbero arrabbiarsi. Come nei paesi musulmani. Anche questo è una sorta di pregiudizio islamofobico declinato in “positivo”? Perché, si sa, i poveri musulmani sono focosi, potrebbero arrabbiarsi, perdere la testa se qualche infedele parla male della loro religione…

Valentino Salvatore

 

Approfondimenti

  • Jean-Louis Triaud, À la recherche d’Alain Quellien. Une enquête en islamophobie in «Sociétés politiques comparées» (aprile 2020): https://bit.ly/3FA0Z1M
  • Ex-Muslims of North America, Ex-Muslims of North America Voices Concern over Recent Islamophobia Act, Says Bill as Written Threatens Freedom of Expression: https://bit.ly/3fs8Dkb
  • Pew Research Center, Muslims and Islam: Key findings in the U.S. and around the world (agosto 2017): https://pewrsr.ch/3qx4ZM7
  • European Court of Human Rights, Case of E.S. v. Austria: https://bit.ly/33Hv6ak

 

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