giovedì 11 gennaio 2018 - Pressenza - International Press Agency

Isis: l’isola del petrolio

Lo stato islamico di Iraq e Syria denominato (ISIS) o califfato, dal 2011, e dal ritiro delle truppe americane dall’Iraq fino a tutto il 2015, in piena guerra civile siriana, creava un integrato e prospero mercato nero del petrolio proveniente da più della metà degli impianti estrattivi e degli indotti di raffinazione in Siria, e da almeno sette impianti in Iraq.

di Luca De Renzo

Emancipandosi così dai finanziamenti internazionali, ha contemporaneamente ridato vita e sicuramente ampliato la rete di mediatori internazionali che inizialmente erano la carta segreta del regime di Saddam Hussein per aggirare le sanzioni imposte dagli USA all’Iraq circa 30 anni fa.

Accreditati studi di settore, alcuni autorevoli, ma soprattutto le dichiarazioni pubbliche di Putin non hanno sostanzialmente avuto riscontri evidenti relativamente alle presunte collusioni del governo turco con il mercato nero del greggio iracheno attraverso il porto di Ceyhan; punto di raccordo nella Turchia meridionale e sbocco sul Mediterraneo dell’oleodotto proveniente dal mar Caspio via Baku-Tbilisi-Erzurum, e dell’oleodotto proveniente dal nord dell’ Iraq via Kirkuk.

Il sito di Kirkuk inoltre, dopo la cacciata delle milizie del califfato, è stato anche oggetto di dispute tra il governo iracheno e quello in itinere curdo; entrambi alleati sulla carta nella lotta contro lo stato islamico – dopo un referendum sull’indipendenza del Kurdistan iracheno dall’Iraq tenutosi a settembre 2017, e che ha ottenuto il 93% dei consensi – ad ottobre un attacco da parte dell’esercito iracheno, contro i miliziani curdi “peshmerga”, ha inteso riprendere il controllo sui giacimenti petroliferi intorno a Kirkuk e ha di nuovo rimescolato le sorti del popolo curdo e probabilmente dell’intera area.

Lo stesso oleodotto, d’altro canto, era già stato seriamente danneggiato nel 2014, ripristinato parzialmente, è ora in attesa di essere soppiantato dal nuovo impianto commissionato nel mese di dicembre dal governo iracheno a compagnie internazionali; la scadenza per la presentazione degli eventuali progetti del nuovo oleodotto, si parla di circa 350 km sulla carta, è stata fissata per l’imminente 24 di gennaio.

In Siria d’ altro canto, il progressivo evolversi del conflitto, le incursioni aeree statunitensi e della Nato, ma soprattutto gli indiscriminati raid russi e del regime di Assad, ed in ultima analisi le FDS “forze democratiche siriane” stanno definitivamente risolvendo a favore di una completa eliminazione del califfato dalle roccaforti economiche che avrebbero garantito i proventi illeciti derivanti dal greggio.

Il greggio prodotto dagli impianti siriani sotto il controllo dello stato islamico non avrebbe preso però la via del Mediterraneo – come si pensa di quello iracheno per via turca, anche se non si può escludere che possa averlo fatto direttamente dalla Siria con l’ausilio di imbarcazioni compiacenti – sembra invece venisse venduto al dettaglio per alimentare e mantenere l’economia di guerra a prezzi molto bassi e per tutte le tribù combattenti che gravitavano intorno all’orbita dello stato islamico: c’è anche chi sostiene che ci fosse in essere un traffico gestito direttamente da parte di stretti collaboratori dello stesso Assad.

E’ dei primi di dicembre la completa liberazione della parte occidentale nella valle del fiume Eufrate, restano i fronti nella parte sud-occidentale delle alture del Golan e di Daara – ai confini con Israele, Libano e Giordania – la cittadina dove nel 2011 tutto pare ebbe inizio con l’arresto di alcuni minori che avevano imbrattato un muro della stazione di polizia locale.

Lo scenario politico è molto complesso, più di quello iracheno, anche se la iniziale matrice destabilizzante parrebbe ricondurre sempre agli stessi interessi economici; autorevoli pareri sostengono infatti che la decisione americana – all’epoca del governo Bush, linea politica che è comunque proseguita con i successivi governi Obama – di schierarsi apertamente contro il regime di Assad e ad organizzare, insieme ai paesi del golfo una sua destabilizzazione, non avvenne a seguito degli scontri di piazza del 2011, ma già dal 2009, a causa del rifiuto di concedere il passaggio per un gasdotto che dal Qatar avrebbe attraversato gli Emirati, la Giordania e la Turchia verso il Mediterraneo: Assad giustificò il rifiuto dicendo di non voler interferire con gli interessi economici del suo partner ed amico russo.

Nel 2010 pare anche che avesse cominciato apertamente a trattare con il suo alleato storico, l’Iran, per un gasdotto che doveva portare il gas iraniano in Libano, e dunque ad eventuali partner europei, passando per l’Iraq e la Siria; un progetto che ovviamente sarebbe stato accantonato a causa della guerra, che stranamente, notizie di questi giorni, echeggia in Iran con modalità molto simili a quelle dei moti di piazza della primavera araba siriana.

Tra gli scenari implicati nel flusso del mercato nero del greggio c’è anche non ultima la Libia – in questo caso però con circostanziate prove al vaglio della magistratura italiana; ad Ottobre infatti la Guardia di Finanza di Catania ha scoperto un traffico di gasolio proveniente dalla raffineria libica di Zawyia (50 km. da Tripoli) e destinato in Italia – tra le altre mete anche la Tunisia e l’Egitto: tra gli arrestati, maltesi, italiani e libici. 

Ovviamente le indagini della procura etnea dovranno fare il loro corso, ma già dalle prime indiscrezioni sembrerebbero coinvolti anche personaggi influenti del ministero degli Esteri maltese e libico, come responsabili dei certificati di legalizzazione relativi alla provenienza del gasolio.

I carichi di gasolio su bettoline cisterne libiche salpavano di nascosto e giunte in acque internazionali, a largo di Malta, spegnevano i transponder per far perdere le loro tracce per poi trasferire il loro carico su compiacenti petroliere – provenienza non determinante – dirette in Sicilia o a Marsiglia.

Insomma un quadro torbido di relazioni, sicuramente ancora tutto da chiarire e capire nella sua complessità, che lascia però intravvedere un sistema pervasivo non legato solamente a personaggi di spicco legati direttamente allo stato islamico e già noti alle sezioni investigative internazionali; e non solamente un business, quello del petrolio, dietro i flussi di capitali che vanno ad alimentare un sistema parallelo di riciclaggio del denaro, ma un approccio flessibile, multisettoriale, olistico – utilizzando inappropriatamente un termine positivista – basato sulla moderna capacità corruttiva alla quale tutti sono più o meno permeabili in questa nostra società del “benessere”, politici, imprenditori, organizzazioni umanitarie, intermediari economici, società finanziarie fino alle istituzioni intergovernative che proteggono interessi particolari di gruppi che operano a livello internazionale.

In tutto ciò ci sono i diritti calpestati di chi vive con il minimo della dignità, la maggioranza che non cerca la sopraffazione e la ricchezza illecita e che spera in un futuro migliore.

Tutti noi, anche quelli che gozzovigliano con il sangue innocente, consapevoli o no del prezzo del calice a cui sorseggiano, dovremmo guardarci e riconoscerci nei visi di chi incontriamo, giudichiamo, condanniamo, corrompiamo, usiamo, di chi ci incute timore, riverenza, affetto, ed infine amore.

Luca De Renzo




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