giovedì 12 agosto 2021 - Phastidio

Io sono Giorgia, e i fatti mi cosano

Di come la Sorella d'Italia abbia decisivamente spinto il Fondo Monetario Internazionale a creare liquidità dal nulla, malgrado noi scettici

Ieri, mentre consumavo lo stanco rito mattutino di lettura della rassegna stampa italiana, mi è saltata agli occhi la letterina al Corriere della leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni. Il titolo era suggestivo: “I diritti speciali di prelievo e l’occasione persa dall’Italia“. Avendo già la netta percezione di dove l’autrice volesse andare a parare, ho letto. Lo so, c’è di meglio nella vita che le manifestazioni di insipienza di politici di successo in attesa di fallimento. E tuttavia.

L’antefatto: poco più di un anno addietro, Meloni aveva suggerito un piano di emissione di diritti speciali di prelievo da parte del Fondo Monetario Internazionale. I diritti speciali di prelievo (DSP, in italiano), sono un’attività internazionale di riserva, come le valute, creati nel 1969 proprio per integrare gli stock valutari dei paesi.

I Diritti Speciali di Prelievo

In origine, i DSP erano legati all’oro, nel quadro del sistema di Bretton Woods. Ogni DSP valeva 0,888671 grammi di oro fino, che a sua volta era il valore del dollaro in oro. Dopo la fine del sistema di Bretton Woods e il passaggio delle maggiori valute a un regime di cambi fluttuanti, si decise di rapportare il valore del DSP a quello di un paniere di valute, dimensionato in base al loro peso nel commercio internazionale.

I DSP sono assegnati durante processi di allocazione, in proporzione alla quota di partecipazione di ogni paese al capitale del FMI. L’Italia, ad esempio, partecipa per il 3%, gli Usa, primo paese contributore, per il 17%.

Ma cosa è il DSP, esattamente? Non è una moneta né un diritto sul FMI; è invece un potenziale diritto (claim) sulle valute liberamente utilizzabili dei paesi del FMI. Detto in altri termini, è possibile convertire i DSP in dollari, euro, yuan, yen e sterline, alla bisogna.

Per farci cosa, esattamente? Semplice: pagare le importazioni. Quello è il loro ruolo fondamentale. Ovviamente, in caso il paese interessato abbia finito la valuta. Questo accade nelle crisi di bilancia dei pagamenti, quelle in cui il paese si rivolge di solito al FMI per avere assistenza e prestiti (in valute “vere”), condizionati a riforme e riequilibrio macroeconomico. Ma accade anche per i paesi estremamente poveri, a cui quelli sviluppati spesso donano i loro DSP, con appositi programmi a bassa condizionalità.

Ingegneria finanziaria per italiani disperati

Ma di che parla Meloni, quindi? Di una “proposta” dello scorso anno, in piena pandemia, pubblicata su Project Syndicate a firma di Jim O’Neill e Domenico Lombardi. Un modo di utilizzare i DSP che si inscriveva a pieno titolo nel ricco filone dell’ingegneria finanziaria per disperati.

In sintesi: maxi emissione di DSP, per 1.370 miliardi di dollari (strana cifra). All’Italia ne spetterebbero il 3%, cioè 43 miliardi. Con i quali creare l’immancabile veicolo finanziario, a cui conferire tali DSP come capitale proprio. In seguito, tale veicolo si indebita, con una leva che i due autori stimano (non si sa come né perché) pari a 5. Quindi 200 miliardi di debito pubblico italiano, garantito da 40 miliardi di equity in DSP.

Questo accadeva prima dei massicci interventi pandemici delle banche centrali e prima della nascita del Recovery Fund, e comunque implicando 200 miliardi di debito pubblico italiano, quindi non “a gratis”. Gli autori impiattavano la proposta concedendo che il debito italiano avrebbe comunque potuto incontrare difficoltà di collocamento, pur se collocato in tale veicolo con capitale in DSP, e di conseguenza invocavano “l’aiuto da casa”, cioè dalla Bce.

In subordine, proponevano la creazione di un veicolo collettivo europeo. Tu pensa, quello che è accaduto solo pochi mesi dopo col Recovery, senza scomodare il FMI. E ancora tutto sotto il tallone dell'”asse franco-tedesco”, per dirla con la profonda analisi di Meloni.

Un peccato che questo sogno a occhi aperti avesse meno probabilità di realizzarsi di quante ne abbia il sottoscritto di soggiornare sulla Statione Spaziale Internazionale. Anche per le assolute resistenze del faro dei sovranisti italiani, Donny Trump, alla Casa Bianca.

Cosa è accaduto, nella realtà

Avanti veloce, a marzo di quest’anno. Alla Casa Bianca c’è Joe Biden, in Europa il Recovery Fund è una realtà. Al FMI si preoccupano, giustamente, della condizione tragica in cui la pandemia ha precipitato i paesi più poveri: una catastrofe economica, umanitaria, sanitaria. Si decide una nuova maxi allocazione di DSP, per 650 miliardi di dollari, che ha tuttavia il difetto di avvenire a regole invariate, cioè in proporzione della quota di partecipazione di ogni paese al capitale del FMI.

Motivo per cui i paesi ricchi dovranno organizzarsi per donare le loro allocazioni a quelli poveri. Come già segnalato dai principali leader europei, tra cui Mario Draghi. L’Italia cederà quindi i suoi circa 20 miliardi di dollari di claim sulle riserve valutarie dei partecipanti.

Notate una cosa: l’annuncio del FMI è del 2 agosto, decorrenza della allocazione a tre settimane, il 23 agosto. Dopo ben otto giorni, forse perché dove si trova Meloni il segnale è debole e “non ci sono tacche” (cit.), arriva la letterina al Corriere, ormai elettiva buca delle lettere del teatrino italiano, dopo la vasta collezione di editoriali e interviste all’imprescindibile Goffredo Bettini (quello di “eravamo io, Veltroni e Gianni Borgna”).

Meloni scrive, gonfia di orgoglio, mettendosi nel ruolo che fu dell’indimenticabile leader socialdemocratico della Prima Repubblica, Pietro Longo, quello di “la storia ci dà ragione”, ma al contempo anche in quello più recente dei petulanti pentasfasciati, quelli che rispondono “e ora chiedeteci scusa” anche a chi gli chiede l’ora. Ma anche nel ruolo del leggendario Palmiro Cangini:

Quindi, riepilogo: una “proposta” di ingegneria finanziaria per disperati di oltre un anno addietro, che comunque verteva sul ruolo fondamentale di Ue e Bce, superata dai fatti; una realtà odierna fatta di una allocazione straordinaria di DSP a sostegno ultimo dei paesi poveri tra i poveri.

Il gentile emissario

E Meloni che scrive la letterina parlando di “occasione perduta dall’Italia”. Certo, quella di farci aggregare al gruppo di Burkina Faso e Sierra Leone. Ma non disperi, Meloni, ci saranno occasioni. Magari la prossima legislatura, durante il suo governo.

A questo punto, e per fatto personale, giunge sul mio Twitter un signore sconosciuto, che nella vita fa il senatore e che inizia un frenetico giro di campo con reiterate citofonate e lessico prettamente oxfordiano, nel tentativo di sbertucciarmi per aver clamorosamente mancato la “previsione” (non è chiaro di cosa), e rivendicando il merito storico della sua prestigiosa leader nell’indurre il FMI ad agire:

Che dire, posso solo ringraziarlo per avermi fornito lo spunto per questo post, dove cerco di spiegare (a voi più che a lui) cosa è accaduto coi DSP e soprattutto perché il vero dramma di questo paese resta un rapporto assai problematico con la realtà. Ma lo ringrazio per avermi segnalato la sua esistenza in vita politica. Seguirò le sue gesta perché sono sempre a caccia di nuovi character da analizzare.




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