martedì 23 luglio 2019 - SerFiss

Interviste con la storia: Pietro Micca

Arrivare al luogo dell'appuntamento, nei sotterranei di Torino, era stato alquanto difficile. Io avevo proposto un bar in centro o magari in un supermercato, con l'aria condizionata e l'invisibilità data dalla folla ma no, niente: l'incontro sarebbe avvenuto dove indicato da lui o l'intervista sarebbe saltata. Giunto al punto d'incontro, capii subito il motivo della sua scelta: mi trovavo su una scala in pietra con di fronte la targa commemorativa posta dalla città di Torino a chi, con il suo sacrificio, aveva permesso nel 1706 la resistenza della capitale sabauda dai francesi assedianti: Pietro Micca.

"In ritardo" disse una voce alle mie spalle, ed ovviamente trasalii. Sia per la paura di una voce improvvisa in un luogo solitario e sia per il timore iniziato quando scoprii dove sarei andato, ulteriormente alimentato dal viaggio nei sotteranei. Guardai l'orologio: "Solo un minuto", dissi. La voce rispose "Ragazzo, avessi ritardato io un solo minuto ora forse parleresti in francese". Eccolo, di fronte a me, con la divisa d'ordinanza. Non molto alto, ma a quei tempi era normale. La fisionomia molto simile ai dipinti che avevo visto, o forse era la mia fantasia ad immaginarlo. I baffi, anch'essi tipici del periodo storico, capigliatura folta, aria sveglia, occhio brillante. 
La sua frase" Su monsù veloce con le domande, non ho molto tempo a disposizione" mi riportò subito al motivo dell'incontro.

"Ci racconti qualcosa di lei, della sua infanzia, della sua vita prima dell'accaduto".

"Nulla di particolare, la vita normale di un bambino di cortile che gioca con i compagni nella speranza di mangiare qualcosa nella giornata. La mia famiglia era modestissima, ed è un eufemismo, e la 'e' di congiunzione fra il pranzo e la cena si trasformava spesso in 'o'. Anche 'senza pranzo e cena' era di gran moda, e non per punizione."

"E la gioventù?", chiesi. 

"I lavori a quel tempo non erano moltissimi. Cominciai a fare il muratore, anche con discreto successo, mi sposai con Maria Caterina, gran lavoratrice, nacque Giacomo Antonio, di buona salute... insomma, tutto andava per il meglio. Certo, fra stenti e sacrifici, ma molto meglio di tanti altri."
"E poi cosa accadde?" 

"Accadde la guerra come spesso, o quasi sempre, succedeva allora. I soldi, chi li aveva, restavano in tasca, in saccoccia! Finiti i lavori in corso mi ritrovai disoccupato, con una moglie ed un figlio piccolo da mantenere." 

"Ed allora?"

"Monsù non faccia il furbo. C'era solo un lavoro per cui eri immediatamente assunto in quegli anni: il soldato."

"Come mai nei minatori?"

"Mi chiesero che lavoro facessi: dicendo muratore segnai il mio destino. Il minatore oggi si chiama geniere ed il fatto che mi intendessi di costruzioni avrà fatto pensare a muri di sostegno o altro, almeno così credo."

"Andiamo al fatto che l'ha reso famoso."

"Ne avrei fatto anche a meno neh, mica volevo morire! Eravamo a guardia di una porta proprio qua, dove siamo ora..."

"Quindi conferma che eravate in due?"

"Sì eravamo in due, con me c'era un graduato, Ma nel momento dell'esplosione non era con me, vicino alla porta."

"Conferma allora la famosa frase che le viene attribuita 'Alzati, che sei più lungo di una giornata senza...'"

"pane, sì, l'ho detta, ma non era così. Gli gridai 'Scappa che sei più lungo di una giornata senza pane!' Si era allontanato di una ventina di metri qualche minuto prima per accendersi la pipa: in quel caso il fumo gli salvò la vita."

"Perché gli urlò di scappare?"

"Dall'altra parte della porta sentii, come in lontananza, un vociare confuso, poi delle urla e dei colpi di moschetto: i francesi erano entrati nel nostro corridoio ed erano all'attacco dei miei compagni, a difesa della porta dal lato opposto alla mia"
"Come arrivò alla decisione?"

"Ha presente quando si dice 'in un attimo tutta la vita ti scorre davanti agli occhi...' Ecco. I colpi di moschetto erano terminati e si sentiva solo più parlare in francese. Probabilmente erano già al lavoro per mettere una piccola carica alla porta e farla saltare. Avevo solo pochi secondi prima dell'esplosione e pensai in un attimo a cosa sarebbe successo se fossero entrati: la caduta della città, la morte di tutti i miei compagni, la rovina di Torino, il sacco di tutto il Piemonte, l'apertura ai francesi dell'accesso alla valle padana. Avevo ai miei piedi un barilotto di polvere a miccia corta: pensare di usarlo fu tutt'uno."

"Il sacrificio lo ha trasformato in un eroe..."

"Macchè eroe d'Egitto! Nei primi anni non si conosceva neppure il nome di chi aveva salvato la città. Si figuri che mia moglie, alla quale non giungeva più il mio stipendio da soldato, ha dovuto scrivere una supplica al duca per un aiuto economico. Sa che cosa gli mandò il duca? Un vitalizio. Di due pani al giorno! Solo ben dopo venne dato alla mia memoria il giusto riconoscimento."

"Quello di un eroe, appunto."

"Ma quale eroe. Si era in guerra, ed in guerra si sa che si può morire. Il mio eroismo non è stato tanto differente da un fante freddato nel suo incedere da un colpo di moschetto o di cannone. Il massimo che un uomo può fare è scegliere come. Io ha scelto quello."

"Di salvare una città e diventare un eroe!"

"Eccolo di nuovo lì, a schiacciare quel tasto. Sa quale è stato fra la moltitudine di pensieri quello avuto per primo? Quella notte sarei morto. Subito, se avessi fatto saltare il barilotto o dopo qualche istante per l'attacco francese. Io difficilmente sarei riuscito ad arrivare in tempo all'uscita, uscendo incolume dall'esplosione francese. Ed avrei dovuto portare con me il barilotto, 20 chili, altrimenti sarei certamente morto nella deflagrazione. Mi consente una precisazione? Tutti o quasi credono che sia morto nel boato ed invece no. Fui scagliato violentemente sulle scale che avevo comunque raggiunto ma svenni. Furono i gas ad uccidermi. Tornando al momento: e se io ed il mio compagno ci fossimo messi a difesa cosa avremmo ottenuto? Avevamo sì e no due colpi di moschetto a testa, e poi all'arma bianca, noi due soli contro una marea umana... Insomma, alla fin fine è stata una scelta quasi obbligata la mia e sa una cosa? Se mi trovassi di nuovo nella stessa situazione farei la stessa scelta che feci allora."

"E questo fa di lei un eroe."

"Ma lo sa che la sua è un'ossessione? va bene, se preferisce mi chiami così. Io non mi ci sento molto in quei panni, ma già tutti mi chiamano in questo modo. Ora vado che avevo iniziato una briscola con il generale Amoretti, arrivato da poco. Chi mi ha sostituito al tavolo non gioca tanto bene e non vorrei che il generale si arrabbiasse: è una persona che stimo moltissimo. Che cosa significa davvero il saluto piemontese “cerea”?
„Arvëddse giùu“
 

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Foto: Pmk58/Wikipedia

 




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