giovedì 13 maggio 2021 - Anna Maria Iozzi

Intervista alla cantante H.E.R., in uscita il 17 maggio con il nuovo singolo “Voglio essere felice”

Ha collaborato con i più grandi artisti della musica, Lucio Dalla, Franco Battiato, Teresa De Sio. Quest’ultima è stata la sua “driver”. Un percorso artistico maturato grazie all’irrefrenabile voglia di non arrendersi nonostante l’appartenenza al cambio di genere l’abbia messa in condizioni di difendersi come avviene, d’altronde, con chi non accetta di confrontarsi con la libertà di essere come vorrebbe nella sua natura e nella sua idea di cambiamento.

Stiamo parlando di H.E.R., pseudonimo di Erma Pia Castriota. Nata a Foggia, è stata vincitrice del Premio Voci per la Libertà – Una canzone per Amnesty e Musicultura 2020 (tra gli 8 vincitori). Diplomatasi in violino al Conservatorio di Musica e in scenografia all’Accademia di Belle Arti, il 17 maggio è in uscita con il nuovo singolo “Voglio essere felice”. Non è un caso che l’uscita coincida con la giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia. Un messaggio forte e incisivo intriso di tematiche sociali. Un singolo che nasce dalla profonda esigenza di rapportarsi a quella società che, come ben sappiamo, è poco incline alla condivisione e all’accettazione dei valori di persone che meritano tutta l’attenzione possibile.

In questa intervista, H.E.R. sviscera, con profondità, il percorso che l’ha condotta dove ha voluto con la forza e il coraggio di chi non cede il posto all’arrendevolezza, mettendo, in primo piano, i diritti di cui ognuno dovrebbe godere per sentirsi libero di vivere come vorrebbe, con un unico desiderio per il futuro: essere felice. Noi glielo auguriamo con tutto il nostro cuore.

Il 17 maggio uscirà il suo nuovo singolo "Voglio essere felice", un inno alla vita. Com'è maturata l'idea di rendersi autrice di questo brano? Che tipo di messaggio si sente di comunicare?

“Il brano l'ho scritto molti anni fa ed ha attraversato varie fasi di pre-produzione. Mi sono ispirata ad alcune frasi tratte da una lettera che scrissi da adolescente, prima del mio (unico) tentato suicidio, si, perché, all'epoca, la mia vita era un vero inferno. Il dilemma con un corpo che stava crescendo nella direzione opposta rispetto a ciò che sentivo (disforia di genere), la mancanza totale di una vita affettiva. Così, dopo molti anni, ho deciso di "rivalutarla", togliendone l'aspetto drammatico per trasformarla in un vero e proprio inno alla vita, un volersi completamente staccare dall'identificazione con il dolore. Trovo che sia una conquista che ciascuno di noi dovrebbe raggiungere quando si fanno un po’ di bilanci. Tra l'altro, ho avuto modo di girare il video con la regista Isabella Noseda, cercando anche di celebrare il bacio come atto rivoluzionario, considerando ciò che stiamo vivendo”.

 

Il fatto che l'uscita del brano coincida in occasione della giornata mondiale contro l'omofobia, la transfobia e la bifobia è segno evidente di come la sua battaglia sia insita nella maturità di non darsi per vinta per i diritti di chi viene emarginato. 

“Esattamente! L’anno scorso, ero in piena campagna antirazzista con il singolo “Il mondo non cambia mai” e, sinceramente, non credevo che, a tutt'oggi, saremmo stati ancora a discutere sul DDLZAN. Sicuramente, il mio brano parla del disagio degli adolescenti in generale, ma non dimentichiamoci delle tante altre persone giovani che si sono uccise anche perché bullizzate, in quanto gay, trans o lesbiche. Il brano esce in occasione della Giornata Mondiale contro l’omotransfobia perché è importante parlarne sempre di più, affinché un po’ tutti aderiscano alla causa in modo trasversale e apartitico. È un’urgenza civile”.

 

Nel suo percorso artistico, ha avuto la possibilità di confrontarsi con personaggi autorevoli e di spicco della musica leggera italiana come Franco Battiato, Fiordaliso, Donatella Rettore e Lucio Dalla, Amalia Gré e Teresa De Sio. Quanto hanno inciso queste collaborazioni nella sua identità di artista?

“Ho avuto la fortuna di collaborare con tantissimi artisti, tutti immensi, e ciascuno di loro mi ha lasciato qualcosa ma, ovviamente, tra tutti questi con Teresa De Sio. Ho condiviso davvero tantissimi anni di fantastici concerti. Lei è stata un po’ la mia driver. Mi ha insegnato le regole del mestiere e, all'occasione, abbiamo anche condiviso quella rara umanità che, spesso, il nostro lavoro non concede”.

 

È evidente che, al giorno d'oggi, sia radicato uno stereotipo errato riguardo il cambio di genere. Come è maturata la possibilità di identificarsi in un altro genere e quanto ha lottato per farsi accettare dalla società che, come ben sappiamo, non è ben incline all'accettazione della vostra libertà di genere. 

“Identificarsi nel genere opposto a quello biologico, con il quale sei nato, non penso sia una vera e propria scelta, ma un’urgenza. Io, personalmente, dopo i vari dubbi iniziali, ho solo preso consapevolezza di non dover morire, perché il mio corpo era una vera e propria prigione. A quel punto, tu vai avanti come un treno e te ne freghi delle conseguenze. All'epoca, nel lontano 2002, parlai con i miei discografici di allora e decisi di dare priorità alla mia vita. Sicuramente, ho avuto molte più difficoltà di "mercato" rispetto a prima, perché viviamo ancora in una società maschilista e un uomo che decide di essere donna è, per il sistema, una persona depotenziata. Io, comunque, sono stata una privilegiata. Ho avuto il sostegno dei miei (sebbene, non sia stato facile) e, facendo l'artista, ho sempre avuto qualcosa di magnificamente "pratico ed astratto" da svolgere. Perciò, malgrado le varie vicende non sempre gradevoli, mi sono sempre concentrata sulla mia mission.

Riguardo gli stereotipi devo dire che la responsabilità è una questione trasversale: come in tutte le minoranze c'è tanto su cui lavorare. Ci vorranno anni affinché il mondo trans (in particolare, quello m to f), si liberi dal cliché dell'iper- femminilità "riparativa e compiacente" o, peggio ancora, da quel binomio tanto doloroso trans-prostituzione. Tutto questo può succedere solo se la questione trans diventerà sempre più "normale" (consentimi il termine) e se si entrerà nel mondo femminile con la consapevolezza di un passato importante che le donne hanno fatto, lottando tantissimo per l'autodeterminazione e l'emancipazione. Non si può pensare che la femminilità sia solo un paio di tacchi, glamour e rossetto”.

 

Da giorni, sta tenendo banco un argomento molto delicato e scottante come quello del Ddl Zan. In qualità di rappresentante della rivendicazione dei diritti, che cosa si sente di dire in merito?

“Riguardo la legge DDLZAN (intendo tutti i suoi vari aspetti) bisogna solo, finalmente attuarla. È ora che tutta la politica non ci giri troppo intorno. Abbiamo bisogno di qualcosa di forte per scoraggiare e punire gli atti di discriminazione con l'aggravante sulla questione lgbt e di razza. Non possiamo essere così indietro rispetto all'Europa”.

 

Ad accrescere questo malumore generale c'è stato il monologo di Fedez sul palco del primo maggio che, non poche critiche, ha subito. Nel contempo, a fare da contraltare al suo, ci hanno pensato Pio e Amedeo. Con quale stato d'animo, ha percepito questo tam tam di notizie?

“Premettendo che Fedez è stato fautore di un grande atto di coraggio. Non posso non constatare il fatto che molti personaggi lgbt della musica, (me compresa), non abbiano ancora lo spazio adeguato per poter denunciare questo stato di cose per parlare concretamente dell'esperienza vissuta in prima persona. Stendo un velo pietoso sul silenzio di molti altri cantanti gay e lesbiche che hanno fatto scena muta. Riguardo, invece, la questione Pio e Amedeo dubito fortemente che, dietro uno spettacolo così ben costruito, da loro e dagli autori stessi, non ci fosse un retro-pensiero politico. Non è concepibile. Del resto, loro lo avevano già annunciato il giorno prima, scatenando una bomba mediatica. Non a caso, lo stesso leader della Lega si è mostrato un loro sostenitore prima ancora della loro esibizione. Ho apprezzato, invece, sui miei social, l'appoggio incondizionato da parte di alcune persone di destra di mia conoscenza. Per questo, credo che tutti noi insieme dobbiamo punire l’omotransfobia. Non si può dire “fatevi una risata”, perché la questione è drammatica e, di questi tempi, dire in televisione che, all'insulto, bisogna reagire con leggerezza vuol dire sottovalutare il problema. All'insulto bisogna reagire con una legge. Trovo, inoltre, che il loro politicamente scorretto abbia escluso uno dei nostri grandi tabù sociali: la chiesa. Questo la dice lunga sul fatto che, malgrado il polverone mediatico, non si rischia ancora molto se si sdogana (anche se in modo indiretto) il razzismo sulla razza e sulle "identità' di genere". Si parla di lobby gay, ma, a quanto pare, si può ancora sottovalutare il problema pubblicamente in modo facile”.

 

La storia di Malika Chalhy ci ha reso tutti partecipi. Quanto pensa che possa incidere, a livello di affermazione, la sua idea di vita? Si è identificata nella sua vicenda?

“Il non riconoscimento da parte di un genitore sulla scelta omosessuale o transessuale di un figlio è la cosa più crudele e innaturale che possa esistere. Purtroppo, ciascuno di noi ha dovuto scolpire sé stesso nella consapevolezza dell'abbandono e dello stigma (chi più, chi meno). Spesso, ci hanno additati come mostri contronatura, ma la vera cosa innaturale è l'abbandono di un genitore”. 

 

Fabrizio De André è stato autore di un brano dedicato al vostro genere, "Prinçesa", la storia di una transessuale di nome Fernanda Farias De Albuquerque. È stato uno dei pochi cantautori che hanno restituito voce e dignità alle persone emarginate. Si identifica nella sua idea di concepire la voglia di farsi sentire con la voce di non farsi sottomettere dalla discriminazione della maggioranza? 

“Ho avuto modo, con Teresa De Sio, di far parte del docu-film su Fabrizio De André grazie ad un live in Sardegna, girato a l’Agnata, nel suo tempio. Ho avuto modo di conoscere bene così la sua poetica, il suo mondo così rivolto verso “Gli ultimi”, il suo modo laico di essere missionario di coraggiosa poesia e, poi, lo stesso Don Gallo, il suo impegno nei confronti della gente trans era perfettamente in linea con questo concetto. Riguardo me, io non mi sono mai identificata nella sofferenza e tutto ciò che, in qualche modo, ha ostacolato il cammino, mi ha resa più forte”.

Per il futuro, ha in mente altri progetti? 

Il futuro, un po’, mi spaventa, perché non vorrei che, dopo tutta questa tragedia chiamata pandemia, la cultura e la poesia diventino un orpello inutile, favorendo, al contrario, il puro intrattenimento fine a sé stesso. Se così sarà, la mia missione non avrà più senso. Se, invece, si avrà ancora la pazienza di ascoltare la mia carriera, avrà un suo perché. Comunque, ora voglio essere felice”.

 




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