giovedì 23 febbraio 2023 - Anna Maria Iozzi

Intervista a Rosario Lisma: “La cultura è nutrimento vitale. Mi ha aiutato a diventare una persona migliore”.

Teatro, cinema, televisione. È in questi ambiti che è avvenuta la consacrazione di un grande talento, uno di quelli che, con determinazione e impegno, è riuscito ad affermarsi con grande spessore artistico. Rosario Lisma ha la cultura del teatro nel sangue. 

La sua innata predisposizione allo studio di autori importanti come Pirandello, Cechov, O’Neill, Dostoevskji, lo hanno portato a calcare, con grande maturità e consapevolezza, i palchi più importanti d’Italia e a formarsi come persona, oltre che come attore, senza dimenticare le sue apparizioni a fiction e film di successo come “Il Commissario Montalbano”, “1994”, “Romanzo Siciliano”, “La Mafia Uccide Solo D’Estate” e la recente “Il Nostro Generale”, dedicata alla figura del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, interpretato da Sergio Castellitto. Il suo è un lavoro fatto di capacità di trasformazione, che dà spazio alle tipologie umane più disparate, cercando di renderle credibili ed efficaci, al servizio della storia che si racconta col regista e gli autori. In questo, da grande attore che è, ci riesce. Attualmente, è impegnato, a teatro, con un suo personale adattamento de “Il Giardino Dei Ciliegi” di Anton Cechov, di cui, oltre a firmare la regia, è tra i protagonisti. Siciliano doc, Lisma si è fatto strada sulle tavole del palcoscenico, portando di sé stesso l’anima del teatro che lo rende uno degli attori più apprezzati e stimati del nostro panorama nazionale.

Attualmente, è impegnato a teatro, con un suo personale adattamento de "Il Giardino Dei Ciliegi" di Anton Cechov. Oltre a firmare la regia, interpreta anche il ricco mercante Lopachin. Quanto è importante la scelta di promuovere e diffondere la cultura russa in questo periodo? Ce ne vuole parlare?

“La cultura russa, certamente, non appartiene solo al popolo russo, tantomeno ai suoi governi, ma all’umanità intera. Da Tolstoj a Gogol, da Majakovskji a Bulgakov, la letteratura russa è stata un regalo del cielo al mondo, per la sua universalità e la sua forza così efficace oltre le lingue, i confini e il tempo. È, semplicemente, risibile pensare di boicottare l’arte russa, per protesta nei confronti di Putin, come qualcuno ha provato a fare. Lui e le sue nefandezze, seppur gravi, passeranno, la bellezza resterà e salverà il mondo, per dirla con Dostoevskji. Perciò, il mio amore antico e ben radicato, per Anton Cechov, non risente, minimamente, delle tristi vicende in Ucraina come limitazione, anzi può essere, addirittura, potenziato dallo strazio che la terra ucraina sta subendo, perché il Giardino dei Ciliegi è ambientato proprio in quella zona di confine tra Ucraina e Russia e lo stesso Cechov viene da Taganrog, vicino a Mariupol. Sarebbe bello che gli interessati sentissero tutta la bellezza che quei luoghi hanno saputo far fiorire, tanto da zittire, per sempre, i cannoni. Anche se, personalmente, penso che non ci può essere pace senza giustizia”.
 

 

Oltre a questa rappresentazione teatrale, la vedremo protagonista, a maggio, in scena, con lo spettacolo "Edificio 3", che portano la firma alla regia e al testo dell'argentino Claudio Tolcachir. Che cosa affronta?

“È un bellissimo spettacolo (prodotto dal Piccolo Teatro di Milano e da Carnezzeria) che narra di cinque personaggi infelici e buffi, alla ricerca del loro posto nel mondo. Si alternano le vicende di una giovane coppia alle prese con un amore tormentato e di tre strambi colleghi d’ufficio in un edificio quasi dismesso, dimenticato dalla direzione. È molto divertente, ma anche dolente. Un realismo che diventa a, tratti, esistenziale e, appunto, assurdo, come suggerisce il sottotitolo. Io interpreto Ettore, un cinquantenne solo al mondo, che ha perduto, da poco, l’amata madre con cui viveva e che si apre al mondo degli affetti come un adolescente impaurito, ma desideroso di un amore che non ha mai conosciuto. Amo molto questo personaggio che raccoglie, sempre, l’affetto del pubblico, per la sua mitezza, fragilità e umanità”.
 

 

Il pubblico la conosce bene anche per i suoi ruoli al cinema: "La Stranezza", dove interpreta Mimmo Casà, il corrotto direttore del cimitero di Girgenti a cui si rivolge Pirandello, ma anche "La Mafia Uccide Solo D'Estate", "Smetto Quando Voglio", "Il Commissario Montalbano”, “1994”, "Il Nostro Generale". Com'è stato, per lei, addentrarsi in dei ruoli così differenti fra di loro e quali sensazioni ha provato dover affiancare attori come Toni Servillo, Ficarra, Picone, Sergio Castellitto, Luca Zingaretti ed Edoardo Leo? 

"In effetti, ho avuto la fortuna di far parte di progetti particolarmente fortunati e speciali. Sono titoli che hanno avuto grande impatto sul pubblico e, ancora, vengono replicati in tv e sulle piattaforme. Il mio lavoro è fatto di capacità di trasformazione, almeno se intendiamo la recitazione come mimesi e interpretazione. Diderot direbbe come comédien e non come acteur, che è colui che si trova, più o meno, fare sempre sé stesso. Io amo, pazzamente, fare personaggi diversissimi tra loro. Sono arrivato, persino, a fare il ministro Maroni della Lega in "1994", parlando con un accento varesino, essendo io siciliano. Trovo esaltante dare voce alle tipologie umane più disparate, buoni, cattivi, prepotenti, teneri, furbi o fessi, l’importante è sempre cercare di renderli credibili ed efficaci, al servizio della storia che si racconta col regista e gli autori. Poi, va da sé che se un ruolo è scritto bene l’impresa è meno difficile. Così come recitare al fianco di attori di grande qualità. Giocare con quelli bravi migliora anche te, il gioco è molto più bello e ti stimola a giocare meglio. Oltre a imparare sempre di più, naturalmente”.

 

Nel suo percorso artistico, vanta la partecipazione a diverse rappresentazioni teatrali di grande spessore qualitativo che portano la firma di grandi autori come Pirandello, Pinter, O’Neill, Dostoevskji. Quanto è stato fondamentale, per lei, instradarsi nell'interpretazione di questi ruoli e che cosa le hanno trasmesso per la sua formazione artistica oltre che personale?

“Attraverso questo mestiere si ha la possibilità di studiare i grandi autori, parola per parola, attraverso i testi che si interpretano. Ed è un grande privilegio, anche perché la parola da scritta si deve fare carne e suono ogni sera, per cui non puoi non addentrarti, in profondità, nel valore dell’opera. In fondo, l’attore è lo strumento per far risuonare il mondo immaginario altrui e ha il dovere di restituirlo, al meglio, secondo la più giusta interpretazione, per rendere giustizia al senso di urgenza alto e forte dell’autore, che ci parla ancora, oggi, tanto più se l’autore è grande. Ciò, per forza di cosa, ti accompagna nei lunghi e fitti giorni delle prove e durante le recite al pubblico, in cui, spesso, cogli, misteriosamente, cose che, in prova, non avevi colto. Tutto questo, che diventa una pratica costante, non può non formare la persona. Se mi guardo indietro, mi rendo conto che la mia crescita umana deve quasi tutto ai grandi testi che ho incontrato, ma anche da spettatore o lettore. Dire che la cultura è nutrimento vitale e necessario, per la formazione di una persona, non è una frase fatta. È la pura verità. Se non avessi letto o recitato certi autori, sarei, certamente, un uomo peggiore”.

 

Per un attore, quanto è importante diversificare nella scelta dei ruoli che vengono proposti e, in base a quale criterio, vengono presi in considerazione per l’interpretazione?

“Quando accetto o desidero un ruolo la prima cosa a cui penso non è se è simile a un altro che ho già fatto. Anche, se come dicevo, amo trasformarmi. Penso, piuttosto, alla responsabilità che può darmi all’interno dell’economia del racconto, se sono giusto io per il ruolo, cioè se posso rendergli giustizia e al valore che quel racconto, teatrale o cinematografico, può avere. Dipende anche dall’autore, dal regista e dai compagni di palco o di set. I fattori che concorrono al lavoro di qualità sono tanti e il tipo di ruolo che ti viene affidato è solo uno di questi fattori, seppure importante. Inoltre, non valuto mai un ruolo dalla lunghezza della sua presenza, sarebbe sciocco. Personaggi molto presenti possono essere scialbi e insignificanti. Mi è capitato anche di accettare, ben volentieri, un ruolo, in tv, che prevedeva una sola giornata di lavoro, ma era una scena scritta così bene e un personaggio così pieno di sfumature che non vedevo l’ora di girarla. Era il mio primo Montalbano, un dialogo molto intenso con Luca Zingaretti. Non ci eravamo mai incontrati prima e la resa della scena ci piacque molto. La sera fu così gentile da invitarmi a cena. 

 

 

Di tutto quello che ha interpretato in questi anni, tra teatro e cinema, c'è un progetto a cui è rimasto, particolarmente, legato e che intende riproporre nei giorni nostri?

“Peperoni difficili”. Un mio spettacolo, di cui sono anche autore, che debuttò nel 2014, con degli attori straordinari insieme a me. Ha girato per quattro anni in tutta Italia, ma mai abbastanza per il travolgente successo che il pubblico gli ha sempre tributato. Il mio sogno è riprenderlo. Magari nel 2024, per i suoi dieci anni. Vedremo”.




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