giovedì 10 settembre 2020 - UAAR - A ragion veduta

Integrazione e diritti umani a Palermo: «Credo in quello che vedo e voglio agire per cambiare quello che vedo e che non mi piace»

Manuela Casamento ci racconta l’impegno in una città come Palermo. Intervistando Manuela Casamento, mi colpisce il suo sorriso contagioso e gli occhi attenti – ma non inquisitori – di chi lavora da sempre con gli altri e per gli altri.

 

Manuela, sei una protagonista nella battaglia per l’integrazione e i diritti umani a Palermo. Qual è stato il tuo percorso formativo e professionale?

Sono nata a Palermo, laureata in scienze politiche con una tesi sul Sudan, ho un master in immigrazione conseguito all’Università Ca’ Foscari di Venezia con una tesi sulla comunità rom di Palermo, con la quale ho lavorato per anni, e sono stata educatrice nelle comunità di minori stranieri non accompagnati. Faccio parte dalla nascita dello sportello “La Migration” di Arcigay Palermo fondato da donne di varie nazionalità e orientamenti sessuali nel 2011 a tutela dei diritti dei migranti Lgbt+ e sono tutrice di quattro minori stranieri non accompagnati.

Lavorare a Palermo è stata una scelta?

Sì, ho studiato fuori e avrei potuto rimanerci, probabilmente con migliori prospettive professionali. Ma ho scelto di tornare a Palermo perché voglio combattere per la mia terra. C’è tanto lavoro da fare qui nel sociale, troppe discriminazioni; le difficoltà sono enormi, mancano i fondi per i progetti più ambiziosi, la povertà inevitabilmente altera le priorità e i diritti umani passano in secondo piano.

Quest’anno l’Hryo (Human Rights Youth Organization) ti ha assegnato il premio per l’impegno civile e i diritti umani Rosa Parks 2020, «rivolto a donne che si sono contraddistinte per la loro caparbietà e lotta nonviolenta a tutela della dignità umana»: cosa significa per te?

È uno straordinario riconoscimento che non mi aspettavo e mi ha riempito di gioia. Quando me l’hanno detto non ci credevo… proprio io? È stato un onore ed una grande soddisfazione per me.

Sei socia ed attivista Uaar: una militanza coerente col tuo percorso?

Mi sono iscritta all’Uaar per dare un senso concreto al mio ateismo. i miei genitori sono cattolici praticanti, ma fin da piccola ho sentito l’assurdità della credenza in un essere soprannaturale, poi nel tempo ho approfondito e preso coscienza non solo della mia convinzione della mera inesistenza di Dio ma anche, parallelamente, del peso che il Vaticano ha avuto sull’Italia nel rallentare i processi di rivisitazione dei diritti umani e nel soffocare le lotte laiche e le istanze per il loro riconoscimento. Nell’Uaar ho apprezzato la trasversalità dell’impegno, ho scoperto che battersi per la laicità dello stato significa lottare per i diritti di tutti: dal diritto all’aborto alla lotta, culturale e giuridica, contro i femminicidi, al riconoscimento reale dei diritti Lgbt+, sia di cittadini italiani che migranti provenienti da paesi con legislazione omofoba. Trovo congeniale al mio vissuto l’intersezionalità dell’Uaar.

Sei sbattezzata?

Sì. Ho deciso di sbattezzarmi anche se non davo alcun peso a quell’episodio risalente a quando ero neonata, a cui ero stata sottoposta e che non avevo scelto, né avrei potuto. Sbattezzarmi è stato un gesto politico: non sopportavo che con quel pretesto i cattolici si arrogassero il diritto di contarmi come una di loro!

«Il privato è politico» è lo storico slogan femminista significante per tutte le lotte per i diritti umani, ti ci ritrovi?

Io sono, mi sento e mi dichiaro, sia nella vita privata che in quella pubblica, donna, atea, laica, libera, femminista, comunista e indipendente, ma non dimentico mai che l’essere bianca e nata in occidente fa di me, per certi evidenti aspetti, una privilegiata, seppur coi limiti che noi donne incontriamo quotidianamente in vari campi. Tutto quello che sono lo porto con me nel mio quotidiano, nella mia lotta contro la discriminazione e per i diritti, ecco la mia risposta concreta a chi sostiene che non ho valori perché non credo in Dio. Credo in quello che vedo e voglio agire per cambiare quello che vedo e che non mi piace. Mi sento dire spesso che siccome sono atea non ho principi! Mi chiedono: «Se non credi in Dio in cosa credi?» Per questo per me l’ateismo non è una cosa intima e personale e non voglio farne mistero. Vivere politicamente il proprio ateismo significa dimostrare tutti i giorni nel mio lavoro, sul campo, che l’etica è completamente indipendente dalla religione.

Nelle comunità in cui hai lavorato e lavori, spesso connotate da identità religiose, ti senti accettata per quello che sei?

All’inizio tutti danno per scontato che io sia cattolica. Ma io non lascio correre, appena se ne dà l’occasione manifesto il mio ateismo, al pari del mio femminismo, e del mio impegno nella lotta per i diritti del mondo Lgbt+. Nascono spesso discussioni, a volte costruttive a volte del tutto sterili su questi temi, ma io ci metto la faccia, no, non scelgo il quieto vivere ed il silenzio, anche se, lo ammetto, in alcuni casi la tentazione c’è. Si incontrano a volte tali chiusure ed omologazioni alla morale più retriva e bigotta da trovare le ragioni per lo scoraggiamento: non bisogna arrendersi. Testimoniare con i fatti e con le parole le proprie convinzioni è l’unico modo che abbiamo per avanzare nella lunga strada verso la conquista dei diritti e dell’uguaglianza.

Manuela, quest’anno sei la vicecoordinatrice del coordinamento Palermo Pride 2020, una bella soddisfazione. Come vivi questa esperienza?

Per me è un grande onore. A Palermo il primo gay pride fu organizzato e vissuto principalmente dalla comunità Lgbt+ Ma negli anni la realtà è molto cambiata. Ora il Palermo Pride è la casa delle creatività di un gruppo eterogeneo di associazioni palermitane e presenta una serie di eventi trasversali che costituiscono una realtà culturale importante per la città: una dimostrazione del cambiamento storico della lotta per i diritti umani. Io poi sono particolarmente orgogliosa di rappresentare l’Uaar nel coordinamento Palermo Pride 2020. L’approccio intersezionale è vincente.

Alla chiusura istituzionale del Palermo Pride 2020 in piazza Verdi hai fatto un intervento col quale hai voluto regalare a tutti noi una testimonianza del privato come politico. Lo racconti a chi non c’era?

Volentieri. Circa un mese fa ho scoperto di essere incinta; il padre non è il mio compagno e vuole starne fuori. Ho valutato attentamente l’aborto perché non era una gravidanza che avevo programmato e anche perché ho un lavoro precario. Poi ho scelto di portare avanti questo impegno e ho voluto condividerlo con i manifestanti del Pride riuniti in piazza. Avrò una bambina o un bambino al di fuori della famiglia tradizionale che questa società vuole imporci; il padre è un ragazzo nero e sono consapevole che lei o lui dovrà fare i conti anche col razzismo del nostro mondo. Ma ho ben chiaro il mio obiettivo educativo: voglio che diventi una persona libera. La solitudine istituzionale contrasta incredibilmente con la solidarietà che sto registrando fra chi mi è vicino nelle lotte quotidiane: lo stato infatti non prevede sussidi o tutele per le donne in gravidanza con lavoro precario.

Manuela, abbiamo parlato tanto di Palermo e non abbiamo mai nominato la mafia, perché?

Perché la mafia è lontana dal mio quotidiano. Ma esiste, ne sono ben consapevole, e danneggia pesantemente il nostro lavoro di integrazione e di accoglienza. Sottrae risorse economiche alle istituzioni e perpetua disvalori patriarcali, pseudo familiari, maschilisti e bigotti.

Intervista a cura di Anna Bucci

Articolo pubblicato sul n.5 di Nessun Dogma – Agire laico per un mondo più umano.
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