martedì 10 dicembre 2019 - Giacomo Fidelibus

Innovazione tecnologica e tessuto urbano: un’opportunità italiana ed europea

La trasformazione digitale si adatta sempre più al tessuto storico delle città, ma il progresso tecnologico nel campo delle smart city richiede una maggiore consapevolezza nel quadro degli investimenti pubblici

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LA SMART CITY: UNE CITÉ IDÉALE?
L’Atelier BNP Paribas



Centri storici, innovazione e tecnologia. Una cerniera tra i saperi. O per citare Seneca, un momento in cui il talento incontra l’opportunità. Le città europee sono da qualche anno, al tempo stesso, sia laboratori per l’innovazione tecnologica che luoghi di creazione di associazioni e movimenti che promuovono la difesa del patrimonio architettonico; si tratta di una dicotomia, dinnanzi alla quale parrebbe di avere a che fare con due ambiti non conciliabili tra di loro. Eppure, proprio nel termine smart city, ancor più che nelle numerosi applicazioni che contraddistinguono i contesti operativi delle città intelligenti, emerge il concetto di consapevolezza. Si tratta di un tipo di consapevolezza che sa coniugare ed integrare il processo di evoluzione digitale con la valorizzazione del tessuto urbano dei centri storici

Diversi spunti, ad esempio, sono giunti proprio da due saloni internazionali, che si sono svolti in novembre, dedicati alle tecnologie per la sicurezza. Da Sicurezza a Milipol, da Milano a Parigi, numerosi fornitori hanno messo in mostra la capacità e il risultato dei propri investimenti in ricerca e sviluppo. Dalle telecamere da esterno camuffate nel rispetto dell’arredo urbano, ai blocchi separatori per le aree pedonali con pannelli a messaggio variabile integrati; uno dei principali filoni cognitivi posto in essere sembra richiamare la fusione armonica della tecnologia con il paesaggio. In questa arena di competizione vigorosa e proattiva, oltre all’estetica, anche l’impatto ambientale gioca la sua parte. Difatti, la matrice dell’ecosostenibilità è il primo aspetto innovativo che certi costruttori pongono in risalto: lo si evince nel leggere le schede tecniche, dove è spesso riportato il basso contenuto di carbonio utilizzato nella produzione degli apparati, cosi’ come nell’osservare le cellule fotovoltaiche installate direttamente sul rilevatore di velocità o sui sensori di movimento a infrarossi, laddove il consumo energetico richieda indici di potenza assorbibili dalla luce solare, ovviamente. 

Ma forse il contributo più grande è dato da tutto quello che non si vede né si percepisce, visto che la tendenza del mercato delle nuove tecnologie destinate alle città intelligenti incorpora, come parola chiave, l’impegno nel ridimensionamento. In tale ottica, gli sviluppatori di applicativi per la gestione dei dati e dei flussi video hanno, senza dubbio, preso la scena della fiera sulla sicurezza che si è tenuta a Milano dal 13 al 15 Novembre. La possibilità di dare vita ad algoritmi e statistiche in tempo reale sulla circolazione o sui consumi energetici nelle città, rappresenta la frontiera della cosiddetta analisi predittiva, attraverso la quale è possibile interpretare, da una parte, il valore del degrado di un bene storico, mentre, dall’altra, è possibile monitorare il livello di un fiume, con specifici sistemi di allerta che sono calcolati sulla base dell’intensità delle precipitazioni previste in un determinato periodo. E sono solamente due esempi. Si tratta di un’evoluzione che colpisce in pieno il settore della sicurezza, che da un momento produttivo legato alle valutazioni postume, si sta orientando sempre di più verso una fase innovativa all’insegna della prevenzione

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LA SMART CITY: UNE CITÉ IDÉALE?
L’Atelier BNP Paribas



In tutto cio’, non sorprende che tantissimi sviluppatori di softwares e di soluzioni dedicate alle sfere dell'urbano abbiano origine europea. Solo in Italia, si contano almeno una cinquantina gli incubatori tecnologici che raggruppano start-up operanti nel campo dell’internet delle cose, o meglio, dell’internet di « tutte le cose » ; società all'origine di sistemi che sono capaci di integrare, includere e ridare vita a tutte le zone delle città, anche quelle periferiche e declassate dall’opinione pubblica. Un processo che, per rifarsi al testo "Smart City – Digital Nations" pubblicato da Caspar Herzberg (ex dipendente di Cisco e attuale responsabile di Schneider Electric in Medio Oriente), vede l’internet of everything impegnato nella fase di trasformazione digitale e strutturale dei brownfields urbani. Questo cambiamento si palesa nei progressivi finanziamenti pubblici, con maggiori iniziative volte sia all'assorbimento delle parti più emarginate delle metropoli che alla sorveglianza dei centri abitati nei piccoli comuni; basti pensare ai tanti bandi per i progetti di video-protezione che sono stati istituiti nell’ultimo periodo

Quello che sorprende è come, in Unione Europea – e soprattutto in Italia - non ci siano politiche chiare e definite in chiave di apporto tecnologico dedicato alle città. Si tratta di uno dei temi sollevati, indirettamente, da Alfonso Fuggetta, in occasione di una sessione pomeridiana del Festival del Futuro, evento che si è tenuto a Verona il 16 e 17 Novembre, dove il ceo di Cefriel ha ribadito come il «basso valore della tecnologia impiegata nei progetti pubblici generi stipendi sempre più bassi». Probabilmente il problema non risiede nella mancanza di investimenti istituzionali nel quadro dei progetti di trasformazione digitale, quanto nella scarsa attenzione al riguardo della formazione tecnico-conoscitiva dei decisori (o decision makers), cioé i principali attori che avrebbero facoltà di scegliere le soluzioni più appropriate da inserire negli spazi pubblici. La logica del prezzo ha, in tal senso, la tendenza a sfavorire e a svilire le filiere tecnologico-produttive italiane, privilegiando in molti casi prodotti extra-europei, a volte non conformi né con le regole di fabbricazione né con i modi d’impiego stabiliti dall’Unione Europea e che, in aggiunta, presentano pure un’estetica discutibile o non coerente con il tessuto urbano delle città. 

In parole spicce, il punto non è che non si investe abbastanza, ma che si investe male. O in maniera sbagliata. E cio’ comporta un’inevitabile ricaduta negativa sull’economia del Paese. Finché questa carenza sul piano politico e decisionale non verrà colmata, sarà difficile che un programmatore italiano possa ambire ad avere stipendi dignitosi, per lo meno non astronomicamente lontati da quelli percepiti da un omologo della Silicon Valley. La tutela del decoro urbano nell’era della transizione digitale e tecnologica delle città è una sfida tutta europea, che deve riguardare, in primo luogo, l’approccio delle governance con il profilo politico e tecnologico dei decisori nazionali e locali. Ultimo, ma non meno importante, è il tema legato alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica in materia di qualità tecnologica: ovvero, il saper riconoscere le funzionalità, l'origine e il tipo di produzione degli apparati devoluti ai progetti di smart city per il proprio territorio.

Per citare un altro passaggio argomentativo affrontato durante il Festival del Futuro, quando si parlava dell’avvenire della nutrizione nell’era dell’esplosione demografica, se l’Italia si è saputa affermare tra le prime nazioni al mondo in ambito di qualità e controllo alimentare, esiste, forse, una concreta possibilità di esportare tale modello verso il settore dell’innovazione digitale urbana. Su tale impronta, nel 2017 è stato creato il programma ROCK (Regeneration and Optimization of Cultural heritage in creative and Knowledge cities), a cui aderisce e partecipa anche l’Università di Bologna ed alcune amministrazioni (come il Comune di Torino, il Comune di Lione e il Comune di Liverpool). Finanziato dall’Unione Europea, il progetto ha lo scopo di dimostrare come l’eredità storico-culturale dei centri storici possa innescare un’opportunità di rigenerazione, sviluppo sostenibile e progresso digitale per l’intera piattaforma urbana, partendo dalla valorizzazione dei modelli tecnologici locali e comunitari.

Giacomo Fidelibus




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