martedì 11 luglio 2023 - Phastidio

Inflazione: tutto il mondo (sviluppato) è paese (emergente)

Una stretta fiscale per aiutare la politica monetaria a raggiungere con meno rischi il target di inflazione. Più facile a dirsi che a farsi. Il mondo sviluppato sta diventando un gigantesco paese emergente?

La Banca per i regolamenti internazionali (BIS, Bank for International Settlements), ha come missione il supporto al perseguimento della stabilità monetaria e finanziaria da parte delle banche centrali, a cui fornisce un forum di dialogo e cooperazione, condivisione di conoscenza sulle innovazioni, analisi dei problemi di policy e servizi finanziari. Anche per questo, la BIS è nota come la banca delle banche centrali.

È appena stato pubblicato il rapporto annuale della BIS, la cui prescrizione centrale è l’invito ai governi a stringere la politica fiscale, per consentire alla politica monetaria di raggiungere prima e con minori rischi l’obiettivo di normalizzazione dell’inflazione. Serve quindi che i governi aumentino le entrate e/o riducano le spese.

AI CONFINI DELLA STABILITÀ

Nella situazione attuale, invece, caratterizzata da politiche fiscali mediamente ancora espansive e politiche monetarie restrittive, secondo la BIS i governi starebbero “testando i confini di quella che potrebbe essere definita la regione della stabilità”. Una stretta fiscale ridurrebbe la necessità di mantenere una politica monetaria così persistentemente aggressiva, e di conseguenza ridurrebbe i rischi di instabilità finanziaria.

Rischi che si sono sin qui palesati in modo eclatante in due circostanze: la crisi scatenata dai mercati contro i Gilt britannici, in relazione al demenziale taglio di tasse a deficit ideato da Liz Truss, e i fallimenti delle banche regionali statunitensi e del Credit Suisse questa primavera.

C’è una indicazione di lungo termine, da parte della BIS, che coincide con quanto richiesto anche dall’Ocse: governi e banche centrali devono evitare di risolvere tutti i problemi della società con misure di stimolo. Vaste programme, mi vien fatto di dire. Anziché spingere la crescita e affrontare le crisi con scoppi di spesa pubblica o comunque di deficit, i governi devono essere consapevoli della necessità di non accumulare debito, che a sua volta limita fortemente le manovre anti-cicliche.

Il riferimento è alle politiche monetarie che per lustri hanno inseguito il target di inflazione del 2% senza riuscire a centrarlo (ovviamente partendo dal basso), mentre stimolavano l’accumulazione di debito, pubblico e privato.

Credo che questo sia un tema centrale, che segnalo da molto tempo. Nella storia economico-finanziaria degli ultimi tre lustri o giù di lì, non si è vista alcuna azione realmente anticiclica ma solo una accumulazione di debito stimolata da tassi bassi. Quando tale debito minaccia di finire in testa a mercati e governi, scatenando le condizioni per la cosiddetta deflazione da debito, ecco le banche centrali correre in soccorso abbassando ulteriormente i tassi, e il ciclo ricomincia.

STIMOLI ESPANSIVI PER OGNI OCCASIONE

I governi pensano che l’indebitamento, pubblico e privato, sia la strada per la felicità e per evitare decisioni dolorose, oltre che per comprare consenso, e si procede verso il baratro. Ma torniamo alla situazione odierna. Premesso che la prescrizione di una stretta fiscale che aiuti e depotenzi quella monetaria ha senso comune, come perseguirla senza causare tensioni sociali?

Non scordiamo le istanze di questo periodo: sostegni alla transizione ambientale, ad esempio, per renderla socialmente accettabile. Ma anche supporti ai costi di energia esacerbati dalla guerra. Di solito la ricetta è sempre quella: rendere i sostegni selettivi e rivolti agli strati di popolazione realmente bisognosi. Ma questa è pura teoria, la prassi sta altrove e parla di crescente disaffezione verso la politica, che si sostanzia in crollo della partecipazione elettorale e crescenti spinte demagogico-populiste, per andare a inseguire quel bacino ormai enorme di non voto.

Tradizionalmente, i paesi emergenti che entrano in crisi fiscale (che porta con sé quella di bilancia dei pagamenti, di solito), si sentono ripetere la stessa richiesta da parte delle istituzioni multilaterali: tagliate il deficit fiscale erogando sussidi solo agli strati “realmente bisognosi” della popolazione. Molto più facile a dirsi che a farsi, l’identificazione chirurgica di questo confine di necessità. Ecco, ora pare che questa richiesta sia alla fine arrivata anche sul tavolo dei governi dei paesi sviluppati, e che sia non meno difficile da mandar giù. 

“L’ultimo miglio è quello più difficile”, dice la BIS dell’inflazione, con riferimento alla difficoltà di ridurre la crescita dei prezzi. Mesi addietro Isabel Schnabel, del governing council della Bce, ha parlato di rischi di elevato “sacrifice ratio“, cioè di quanto occorre sopprimere la crescita per ridurre di un punto l’inflazione. Il concetto porta direttamente alla richiesta di una politica fiscale restrittiva, per ridurre quel quoziente di “sacrificio” ed evitare che banche ed altre istituzioni finanziarie, oltre che l’economia reale, ci scoppino in faccia e di conseguenza finiscano a imporre nuovi allentamenti monetari che a loro volta stimolano nuovo debito e nuovi squilibri.

Improvvisamente, ci rendiamo conto di quanto sia stretto e rischioso il sentiero verso la disinflazione, e quante implicazioni sociali e politiche abbia. Forse il mondo sviluppato sta trasformandosi in un gigantesco paese emergente, fatto di squilibri finanziari e populismo, dove prosperano le oligarchie. E non è un bel vedere.

Foto di Сергей Ремизов da Pixabay

 




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