mercoledì 12 luglio 2023 - Phastidio

Inflazione, l’ignoranza regna endogenamente sovrana

Giorgia Meloni contro il "semplicismo" della Bce ci offre le sue solide e strutturate ricette contro l'inflazione, in attesa di negoziare l'interesse nazionale con un dizionario della lingua italiana.

 

Come da previsioni e attese, il tema del rialzo dei tassi d’interesse sta diventando vieppiù politicamente critico. Non che servisse un genio per arrivarci, ma tant’è. Quest’oggi, in occasione delle comunicazioni in vista del Consiglio europeo, la premier Giorgia Meloni ha disciplinatamente recitato il ruolo di chi guida un paese con un micidiale fardello di debito pubblico. Pertanto, non mi sento di dare la croce addosso al premier pro tempore d’Italia.

Almeno, non completamente. Soprattutto considerando la condotta dei banchieri centrali, oracoli ormai scoppiati, andata e ritorno. Prima inflazione transitoria, poi whatever it takes per stroncarla. A molti osservatori pare che le banche centrali abbiano deciso di ignorare o lasciare sullo sfondo i rischi per la stabilità finanziaria, e incrociare le dita proseguendo nella stretta.

TRE SCOMODE VERITÀ

Sul tema, opportuno citare la posizione dalla vice direttrice generale vicaria del Fondo Monetario Internazionale, Gita Gopinath, già capo economista del Fondo, in occasione del simposio annuale Bce nella località portoghese di Sintra. Ci sono tre scomode verità, dice Gopinath. La prima, è che l’inflazione sta richiedendo troppo tempo per rientrare nei limiti. La seconda, che gli stress finanziari (da aumento protratto e robusto dei tassi) possono creare tensioni tra gli obiettivi di controllo dei prezzi e di stabilità finanziaria perseguiti dalle banche centrali.

Terzo punto, è probabile che le banche centrali sperimenteranno più rischi di rialzo dell’inflazione rispetto a prima della pandemia. Di conseguenza, le strategie di politica monetaria e strumenti come la cosiddetta forward guidance dovranno essere ridefiniti.

Ora, io non sono un economista ma confesso che le giravolte narrative dei banchieri centrali mi stanno dando vertigini frammiste a perplessità e irritazione. Ad esempio, non capisco perché Christine Lagarde (che fa sintesi politica in seno alla Bce, ricordatevelo sempre) possa dire che le azioni della banca centrale saranno guidate dai dati e al contempo preannunciare un nuovo rialzo per il meeting di luglio e verosimilmente per i successivi. Ma transeat.

Le banche centrali proseguono a stringere la politica monetaria perché i modelli econometrici segnalano che l’inflazione di fondo non scende come si credeva e sperava. Poi, vi ho detto che i modelli econometrici non esprimono leggi fisiche ma direzione e velocità dell’economia in base ai parametri utilizzati e ai dati che a tali modelli vengono dati in pasto.

Il timore è che, al persistere di prezzi elevati, si generi una “mentalità inflazionistica” che porta gli agenti economici a ragionare come facevano negli anni Settanta, e quindi una spirale di prezzi-salari. Qualcuno dice che la spirale vera è quella tra prezzi e profitti ma qui ci soccorre un modicum di logica: se la domanda si esaurisce perché, brutalmente, finiscono i soldi, anche l’offerta segue e si spegne. Troppo cinico? Lo so, ma che ci possiamo fare?

Ovviamente, sulla presunta spirale prezzi-profitti, ci sono già gli schieramenti ideologici in assetto da combattimento. La sinistra, ad esempio, vede extraprofitti ovunque e vorrebbe prelevarli di conseguenza. Ma, al momento, in Italia e in Europa, si fatica a trovare evidenze incontrovertibili di questo fenomeno. E soprattutto si osserva che l’aumento della quota di valore aggiunto che va ai profitti non implica che ci sia stato un aumento dei markup, cioè dei ricarichi rispetto agli aumenti di costo. E non lo dico io che sono solo un povero parolaio ma economisti veri.

ENDOGENA SARÀ LEI

Ma veniamo al discorso di Meloni in aula. In particolare, a questi passaggi:

E, certo, i cittadini degli Stati dell’eurozona avevano quasi dimenticato cosa fosse l’inflazione. Ora è tornata a colpire le nostre economie, e ci ricordiamo di come sia una odiosa tassa occulta che colpisce soprattutto i meno abbienti e chi ha un reddito fisso, dai lavoratori ai pensionati. Per questo è certamente giusto combatterla con decisione. Ma la semplicistica ricetta dell’aumento dei tassi intrapresa dalla Banca Centrale Europea non appare agli occhi di molti la strada più corretta da perseguire, considerato che nei nostri Paesi l’aumento generalizzato dei prezzi non è figlio di una economia che cresce troppo velocemente ma di fattori endogeni, primo fra tutti la crisi energetica causata dal conflitto in Ucraina. Non si può non considerare il rischio che l’aumento costante dei tassi finisca per colpire più le nostre economie che l’inflazione, e cioè che la cura si riveli più dannosa della malattia.

È probabilmente più utile concentrarsi, riteniamo, sulle cause specifiche che scatenano questa inflazione, proseguendo nelle misure di contenimento dei prezzi dell’energia e delle materie prime che l’Europa ha messo in atto, ricordo il tema del Price Cap, grazie soprattutto all’attivismo dell’Italia. 

Notevole il fatto che la premier scambi il concetto di esogeno per quello di endogeno. Letta così, pare che l’inflazione sia nata come prodotto del Made in Italy. Chissà se questo sfondone deriva da svagatezza del ghost writer di Meloni (c’è grosso traffico in quella funzione, di questi tempi), oppure se si tratta di genuino sfoggio di crassa ignoranza.

Il problema è che l’ignoranza si sprigiona nella reiterazione della tesi dello shock energetico, quando si vede molto chiaramente (si fa per dire) che l’inflazione di fondo, cioè al netto di alimentari ed energia, è quella che si fatica a comprimere. La ricetta della Bce è “semplicistica”? Ma la Bce fa quello di mestiere. Se poi i governi restano con posizioni fiscali espansive e non selettive e mirate a chi ha effettivamente bisogno, la Bce non può farci nulla, se non aumentare i tassi.

Sostiene Meloni che, per disinflazionare, serve concentrarsi sui prezzi di energia e materie prime. I quali però stanno scendendo, almeno per ora, come si vede dai dati di inflazione complessiva. E quindi, vai col non sequitur del “contenimento dei prezzi dell’energia e delle materie prime” che l’Europa ha messo in atto. E a cosa va il merito se non al magico Price Cap, che col calo delle quotazioni nulla c’entra, visto che a un certo punto, tra fattore climatico favorevole e acquisti epocali di LNG, l’Europa si è trovata rifornita pressoché in eccesso?

Ma no, è stato il price cap che il governo Meloni ha imposto ai recalcitranti europei. Okay. Molto italiano è anche il concetto secondo cui la cura (dei tassi) potrebbe rivelarsi più dannosa della malattia (l’inflazione). Ricordiamo i bei tempi andati, quando avevamo un’economia gagliarda col 20% di inflazione, la scala mobile e le svalutazioni della lira per adeguarsi alla perdita di potere d’acquisto. Ogni tanto, qualche crisi di bilancia dei pagamenti ci costringeva a chiedere una mano al FMI e a dare l’oro in pegno alla Bundesbank, ma il mondo ci temeva e rispettava. Dicono. Poi, il mondo è cambiato ma in Italia sono rimasti allo splendore del boom economico e del “pizzichino di inflazione che fa bene”. Credo lo dicessero anche in Argentina, molto tempo addietro.

PACCHETTI E PACCHI

Dopo di che, ripeto, comprendo la posizione di un paese che sta tornando a svenarsi per pagare gli interessi passivi sul debito. Mentre assai meno comprendo il teatrino sovranista sulla ratifica del MES, reiterato oggi da Meloni:

L’interesse dell’Italia oggi è affrontare il negoziato sulla nuova governance europea con un approccio a pacchetto, nel quale le regole del patto di stabilità, il completamento dell’Unione bancaria e i meccanismi di salvaguardia finanziaria si discutano nel loro complesso, nel rispetto del nostro interesse nazionale. Prima ancora di una questione di merito c’è una questione di metodo su come si faccia a difendere l’interesse nazionale italiano. 

Eccolo, anzi eccallà, il famigerato “approccio a pacchetto”, dove l’Italia e il suo governo si illudono di poter tenere in ostaggio la ratifica della riforma del MES per avere in cambio unione bancaria, patto di stabilità secondo i nostri desiderata, e anche un trenino. Dice Meloni che bisogna avere metodo per “difendere l’interesse nazionale italiano”. E lei ritiene di conoscere quel metodo, evidentemente. Ad esempio, pare convinta che il MES debba fare il doppione della Bei. Pare che anche il presidente pro tempore di Confindustria sia d’accordo.

Ma chi siamo noi, per privare il presidente del consiglio delle sue certezze endogene, nel senso di antropologicamente fallaci?

Photo by governo.it – Immagini messe a disposizione con licenza CC-BY-NC-SA 3.0 IT

 




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