martedì 15 marzo 2022 - Phastidio

Industria in trincea prima della guerra

Il pessimo dato di produzione industriale italiana a gennaio indica che shock energetico e problemi di forniture stavano già minando la crescita

 

Pubblicato oggi da Istat il dato di produzione industriale italiana a gennaio. Sono numeri inequivocabilmente negativi, non solo se presi sul singolo mese, che come noto quasi a tutti non dovrebbe essere enfatizzato, ma sul trimestre mobile novembre-gennaio. Numeri che sembrano indicare che le forti turbative nelle catene di fornitura e lo shock energetico in atto da mesi, prima di diventare parossistico dopo l’invasione russa dell’Ucraina e le sanzioni occidentali, stessero già causando una forte azione di freno sulla crescita.

Nel mese, siamo a -3,4%, contro il -1,1% di dicembre, rivisto al ribasso rispetto all’originario -1%. Le stime di consenso ipotizzavano una contrazione dello 0,5%. Su base annuale, corretta per i giorni lavorati, la flessione è del 2,6%. Il calo maggiore è per i beni strumentali e intermedi, mentre è più contenuto per quelli di consumo.

produzione industriale ita gennaio 2022

Manifattura duramente colpita

A essere colpita duramente, ed era scontato, è la manifattura. La mancanza di componenti e gli aumenti dei costi dell’energia avevano già causato blocchi di attività, soprattutto nei settori più energivori, in cui l’aumento di costi non appare recuperabile sui prezzi di vendita.

Possiamo solo intuire l’impatto che l’invasione russa causerà sulle attività economiche, nelle prossime settimane e mesi. Uno shock inflazionistico sommato a un blocco di attività. Nulla di imprevedibile, ovviamente. Sarà la prima fase di distruzione della domanda, a cui gli stati dovranno rispondere con strumenti di mitigazione sociale come ad esempio cassa integrazione speciale o equivalente. Dopo la causale “Covid” avremo la causale “guerra”.

A questa fase potrebbe seguire quella del razionamento delle materie prime, nella misura in cui il fermo di attività non fosse sufficiente. Questo perché credere che sia possibile liberarsi nel breve termine delle fonti energetiche russe appare un’illusione. Nel medio-lungo termine il discorso cambia, ovviamente. Il problema maggiore è farlo capire alla politica, e alla sua propensione naturale a schiacciare la prospettiva.

I settori energivori si stanno fermando progressivamente, come testimonia questa notizia relativa al gruppo cartario italiano, emittente di obbligazioni High Yield, che ha interrotto l’attività in sei impianti. Altri ne seguiranno.

Cassa integrazione con causale “guerra”

Torniamo sulla cassa integrazione con causale “guerra”. Col crollo di attività economica che la distruzione della domanda provocherà, è scontato vedere un nuovo picco di deficit, pressoché ovunque. A questo riguardo, attendiamo lumi sull’ipotizzata emissione di debito comune europeo, per affrontare lo shock energetico e gli investimenti nella difesa.

Un rumour lanciato a inizio settimana e per ora avvolto nella nebbia, in attesa del vertice in Francia del 10 e 11 marzo. Di che si tratterà? Debito comune per farci cosa? Si è letto che potrebbe essere come il SURE, cioè finanziare misure di cassa integrazione straordinaria a tassi vantaggiosi, almeno per alcuni paesi.

Questo vantaggio deriverebbe dal fatto che i paesi a maggior capacità fiscale puntellerebbero, in termini di minor costo di debito, quelli più vulnerabili. Se le cose stanno così, non mi è chiaro perché dovrebbe avvenire: i paesi più indebitati, come l’Italia, non hanno perso l’accesso ai mercati né al momento subiscono condizioni fortemente deteriorate per raccogliere debito. Vedremo i dettagli ma attenzione alla sindrome del proiettile d’argento.

Una mutualizzazione problematica

Anche perché è altamente probabile che vedremo la proroga della sospensione del divieto di aiuti di Stato, ma questi ultimi costano. Difficile pensare che i paesi con meno vulnerabilità e maggior capacità fiscale si mettano a mutualizzare il deficit di quelli che hanno deciso di salvare la propria industria, incluse le parti di essa in declino.

Più probabile che avremo ondate di “shopping” transfrontaliero di aziende essenzialmente sane da parte di quelle di paesi con spalle fiscali più larghe. Tutto questo per dire che non basta dire “eurobond” o “mutualizzazione di debito”. Noto troppo entusiasmo negli ambienti italiani.

Bisognerà vedere quanto è percorribile la mutualizzazione dei costi energetici in ipotesi di mettere un “tetto” ai medesimi. Potrebbe saltare il meccanismo di prezzo europeo dell’energia, il cosiddetto marginal pricing (spiegato qui). Ma, in quella circostanza, il rischio di avere frantumazioni del mercato unico energetico (leggasi “egoismi nazionali”) sarebbe non lieve.

Comunque vada, a oggi lo scenario più verosimile pare essere quello stagflazionistico, con nuovo picco di deficit nazionali. Solo una considerazione, non cinica ma descrittiva: i sussidi, di qualsiasi tipo, in assenza di produzione, rallentano il riequilibrio tra domanda e offerta e creano nuove pressioni inflazionistiche. Anche per questo serviranno interventi mirati e selettivi, nel solco della già citata protezione sociale.




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