lunedì 16 novembre 2020 - Marina Serafini

In un cucchiaino da tè

Viviamo mutamenti continui, così delicati nel tempo da avvedercene appena. Arriva poi il momento in cui i fili si ammassano tanto da creare il brutto groviglio che impedisce l'azione.

 Come in un fiume, che corre pacioso nel fluire del giorno, e porta con sé residui un pò misti, fatti di rami e di fango. Ci camminiamo all'interno, con passi pesanti e a volte leggeri, tra i gorghi e le sottili correnti; un poco nuotando, a tratti costretti ad uscire sull'argine e a proseguire sull'erba, tra i rovi e le ortiche.

E quando riusciamo a rientrare può accadere che l'acqua sia ferma, bloccata da tronchi e da rami, accumulati nel tempo, un poco per volta, sospinti e obbligati da quelle misteriose correnti. 
Allora chi è in grado si aggrappa a questi strati di mura contorte, e passa di là. Se riesci prosegui, ma non sempre è così, e devi impegnarti a trovare una strada diversa. 
Strozzature inattese che impediscono il passo: così nel fiume della nostra esistenza, con le sue flessioni e le curve, tra piccole oasi e torrentelli agitati. 
La corrente che scorre da sè, recando residui del giorno sotto il sole silente, ed il vento, e le foglie di autunno. Il balsamico aroma della menta selvatica, e l'odore stagnante del fango e del marciume in fermento.
 Situazioni che ci impongono di trovare una via, chiedono azione diversa, provocano il corpo che va, nel suo sforzo costante di procedere oltre. 
 
A volte, purtroppo, questa forza vien meno, e il corpo si stanca. I viaggi conseguiti nel tempo stancano il cuore e l'aria diventa pesante: servono pause continue e più lunghe.  
E lì percepiamo la potenza del mondo che ci piace guardare, e solcare col passo - e che pure non ci appartiene. Possiamo, per concessione gentile o indifferenza totale, abusarne o dimostrare rispetto fintanto che ne abbiamo le forze, oppure fermarci e guardare la vita che va.
 
 Fragilità riscoperta: solo quando arriva a limitare la nostra persona, che è stanca e fatica ad unirsi con gli altri. L'esperienza acquisita è stata da sempre il faro gentile a chi solcava i marosi; a uomini esperti era affidata la prole, interrogati sui sogni e rispettati nei loro talenti. 
Esploratori di vita che trasmettono i segreti svelati...
 Nessuno è mai stato solo all'interno di un clan: insieme i talenti, congiunti verso il fine comune; generazioni che sviluppano storia nel passaggio graduale, persone che lasciano ad altri il segno del loro cammino.
 Ma oggi viviamo in una corsa perpetua verso fatui obbiettivi che cadono giù con la sera.
Correre fino a sfibrarsi, dietro al programma di turno che va rispettato, e ripetuto di nuovo.
 
Chi corre, ora, con il naso all'in su, a godere dei pollini erbacei che saturato l'aria con la loro magia? Chi osserva l'acqua vibrare sotto la spinta silente di un pesce sottile? Gli alberi donano frutti e si spogliano delle foglie vivaci per recuperare le forze; e piccoli e grandi animali si spostano liberi nello stesso terreno che a volte ci è ostile. 
 
Bisogna guardare lassù, perdersi nell'azzurro del cielo, dove nuvole lievi si rincorrono giocando col vento, oscurando a volte la luce del sole. 
 
Siamo convinti di non avere più tempo per nulla, ma quando arriviamo allo stagno, quando la strozzata di rami ci ferma, allora qualcosa si apre perché siamo costretti a sollevare quel capo e a cercare soluzioni diverse. 
Adesso capiamo che altri, al pari di noi, poggiano il braccio sul fianco guardandosi attorno confusi.
 
Ricevere e dare: la vita è fatta di questo, nelle sue forme graziose ed ostili. Ricevere e dare, e creare qualcosa di nuovo: magari un seme o un frutto, o anche una sola speranza...
 
 Avanti nel fiume, tra le correnti ed il limo, tra i pesci e le rane, facendo attenzione a non cadere sui sassi che rallentano il passo, o di farsi portare dal liscio tessuto del muschio.
 
Tutto questo io vedo in un piccolo quadro, rimandato a me dal riflesso di un oggetto ordinario: la vita infinita, e la sua potenza, nell'incavo di un cucchiaino da tė.
 



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