mercoledì 17 aprile 2013 - ///

In Venezuela "vince" ancora Chávez

Come era nelle previsioni, Nicolás Maduro, candidato alle presidenziali del Venezuela per il Partito Socialista Unito (PSUV), ha vinto la sfida contro Henrique Capriles Radonski, governatore dello stato di Miranda e leader della Mesa de la Unidad Democrática (MUD).

Il delfino di Chávez ha ottenuto il 50,66% dei voti contro il 49,1% di Capriles, registrando un lieve calo (680.000 voti in meno) rispetto a quelli ottenuti dal defunto leader nelle elezioni precedenti. Alle elezioni ha partecipato circa l’80% degli aventi diritto al voto.

Cosa cambierà per il Venezuela? Ufficialmente nulla. Durante tutta la campagna elettoraleMaduro ha spiegato di volere portare avanti “l’eredità e il testamento” di Chávez, impegnandosi a consolidare lo Stato sociale inaugurato dal suo predecessore e a ridurre le disuguaglianze tuttora perduranti nel Paese.

Capriles ha usato lo slogan “Maduro no es Chávez per ricordare agli elettori le differenze tra i due personaggi, ma tanto non è bastato a compensare il gap nei confronti dell'avversario diretto. Tuttavia, il seguito da lui ottenuto testimonia quanto il Paese sia sostanzialmente diviso tra chi sostiene le politiche chaviste e chi preferisce il cambiamento promesso da Capriles. Se a dicembre 2012 vinceva su tre delle ventidue regioni adesso, il governatore di Miranda si è imposto in otto province chiave.

Maurizio Stefanini su Limes spiega come la debole vittoria di Maduro apra una serie di interrogativi sul futuro del Paese:

il motivo dell’improvviso crollo di Maduro resta ancora da spiegare. Una possibile ipotesi è che sia semplicemente un problema di scarso carisma, drammaticamente venuto alla ribalta nelle derive mistiche della sua campagna elettorale.
Un’altra è che inizi a manifestarsi la possibile divisione del chavismo.

Secondo Niccolò Locatelli, che sempre su Limes illustra le sfide che attendono il neopresidente:

La risicata vittoria elettorale non è insomma una vittoria politica per Maduro: è invece la dimostrazione che il chavismo senza Chávez - soprattutto se rappresentato da un candidato anonimo e privo di carisma - non è tanto più appetibile dell’alternativa rappresentata da un’opposizione credibile. Il voto di domenica segnala (e non è la prima volta) la stanchezza dei venezuelani verso la rivoluzione bolivariana.
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Oggi in Venezuela non sono rari i black out, c’è scarsità di generi alimentari, l’inflazione è oltre il 20% e il deficit pubblico ha assunto dimensioni preoccupanti.
A corollario di una situazione economica non entusiasmante (anche se Caracas è cresciuta di oltre il 5% nel 2012) ci sono due fenomeni, la corruzione e la violenza, che ultimamente hanno assunto dimensioni preoccupanti, portando il Venezuela nelle posizioni di testa delle rispettive classifiche.
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Ma la corruzione è figlia di un sistema di potere di cui Maduro è il vertice, peraltro non pienamente legittimato dal risultato elettorale: difficile che il neopresidente possa essere davvero incisivo al riguardo. Più praticabile, anche se per nulla facile, risanare il bilancio pubblico e cercare di ridurre la violenza.

Maduro sarà inoltre chiamato a scelte decisive in politica estera: continuare a sostenere la rivoluzione bolivariana nel continente, malgrado i fondi per sussidiare gli alleati scarseggino, o proseguire nella ricerca del disgelo con gli Stati Uniti, autorizzato dallo stesso Hugo Chávez negli ultimi mesi della sua vita?

Secondo Linkiesta:

adesso c’è un fenomeno provato: Capriles è capace di ottenere più di sette milioni di voti e spaventare un chavismo, che fino a ieri sembrava impossibile battere. 
Insomma, il socialismo del XXI secolo è stato duramente bastonato e ha smesso di essere l’unico prodotto disponibile negli scaffali della politica nazionale venezuelana: lì accanto c’è adesso un’alternativa che ha già messo radici. E credibilità.

La rivoluzione non è più un offerta superiore e il modello ideologico chavista ne è uscito deprezzato. Quello che comincia allora non è un nuovo governo, ma la continuità di un’amministrazione stantia e vecchia, che fatica dopo quattordici anni al potere. E lo spettro dell’ingovernabilità bussa alla porta di Miraflores. Lo si vedeva già nei visi tristi e preoccupati di chi, pur festeggiando, ammetteva intimamente la sconfitta.

Per ogni altra valutazione sul futuro del Venezuela, rimando al mio post sulle elezioni di dicembre.

Sul piano internazionale, le prime elezioni sudamericane dopo l'era Chávez si terranno il 21 aprile in Paraguay. Ad Asunción è attualmente in carica il presidente Federico Franco, che aveva definito la morte del caudillo un "miracolo", in quanto il presidente venezuelano aveva dato protezione a Caracas ai terroristi dell’Esercito paraguayano del popolo (Epp). Successivamente Franco, a causa delle infuriate reazioni dal Venezuela e dagli altri paesi filo-chavisti, ha dovuto correggere il tiro.

Allo stesso tempo, è ancora da definire il destino dell'Alba (Alleanza Bolivariana per i popoli di nostra America), fondata da Fidel Castro e dal defuno presidente venezuelano per offrire all'America Latina un modello alternativo al capitalismo statunitense. Per molti analisti si tratta di un progetto contro-egemonico, basato in primo luogo su alcuni concetti innovativi di immediata rilevanza economica. 

Al centro ci sono il recupero del ruolo dello Stato nella gestione degli scambi internazionali e nella distribuzione, e il pagamento delle merci attraverso beni e servizi. Il libero commercio cessa così di essere un obiettivo fine a se stesso: nella visione dell'Alleanza può essere utile, non deve essere un dogma. Un progetto ambizioso, insomma, ma solo i prossimi anni ci diranno se sarà in grado di sopravvivere ai suoi fondatori.

Il tutto a testimonianza di come il leader bolivariano domini la scena anche ora che non c'è più, non solo nel suo Paese.




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