lunedì 19 novembre 2018 - SerFiss

Immagini in rete: c’eravamo tanto amati

Potrete certo ben ammaginare come non sia per nulla semplice la vita di un'immagine negli anni delle immagini. Se poi aggiungete che sono di pochi kb e e che venni creata all'inizio di questa avventura tecnologica, vi renderete conto di come le mie possibilità di sopravvivenza fossero limitatissime.

 Mio padre, un visual artist messicano, molti anni fa, mi spedì al New York Times, dove un giovane redattore mi notò e decise di inserirmi in una serie di pic a rotazione, quelle che servono a riempire il vuoto di un articolo su un tema alla moda, spingendo l'utente a guardare la selezione ed ha perdere qualche minuto della sua vita. Erano i primi anni della rete in Italia, e molti modem giravano in Rete con il doppino a 56k.

Il tema dell'articolo era "Passi da gigante della computer grafica" e dopo una serie di luoghi comuni messi bene in ordine, c'eravamo noi, una quindicina di immagini (tutte femminili, chissà perché) che scorrevamo a piacimento sui monitor di tutto il mondo. La concorrenza era agguerrita. La maggior parte di loro mostrava qualche nudità (ne ricordo una, bellissima, di una ragazza in topless che si tuffava da un trampolino...), altre erano restyling di immagini pittoriche famose con qualche ritocco. Le altre erano ottimi lavori ma freddi, anonimi, distanti.

Anch'io ero fatta molto bene, tecnicamente parlando. Ottima risoluzione, buoni contorni, tratti precisi. Ma la mia forza era l'anima. Il mio creatore riuscì a darmi un senso, una vita, un'emozione. Da un fondo nero uscivo io, al centro dell'immagine, vestita di nero in modo da miscelarmi con il fondo, protesa con la mano destra in avanti, come per chiedere o dare aiuto, e gli occhi fissi in quelli che mi guardavano. Non ero giovanissima, ma neanche anziana: adatta allo scopo, anche se non so quale. Io ero l'immagine, mica il disegnatore, e lui era riuscito a darmi un senso. Questo mi bastava.

Tutto andò normalmente fino ad un giorno di molti anni fa quando, scorrendo la galleria, un IP ritornò più volte a guardarmi. Cominciai a darmi delle arie. Anche ad altre era capitato, certo, soprattutto quelle più discinte ed ammiccanti, ma loro venivano tenute sul monitor per qualche minuto poi basta, via. Io invece ritornavo, scomparivo, ritornavo, scomparivo, ritornavo ancora. Ad un tratto come una sensazione di trasporto, di evanescenza, non so spiegare bene, mi ritrovai in una cartella di un PC in Italia. Avevo i miei timori, certo. Italiani brava gente ma recordman nel porno e nella prostituzione minorile (se ne imparano di cose vivendo in Rete...) ed invece, come Cenerentola, mi ritrovai "immagine del desktop". Mamma mia che onore! Ero balzata al ruolo di protagonista. Fra fantastilioni di miliardi di immagini ero stata scelta io ed insomma, non era per niente male. Fu amore a prima vista con il possessore del PC. A dire il vero chi guardava era solo lui, io non sapevo se fosse uomo o donna, l'età, neppure il nome, ma c'è bisogno di questi piccoli particolari quando lui (per brevità ne parlo al maschile) ti aveva elevato ad un ruolo così importante ed ambito dalle immagini di tutto io mondo? Io avrei vissuto nel tempo, mentre le altre via, anche solo dopo un giorno, nel dimenticatoio del nulla. Passarono molti anni felici. Talvolta, vagando fra siti e social, qualche immagine mi riconosceva e si stupiva di rivedermi in vita dopo tutto questo tempo: potete immaginare come il mio ego (che non so dove sia) ne uscisse vittorioso.

Poi un giorno, un triste anzi tristissimo giorno, lui si soffermò su un'immagine scoperta a caso, visto che non aveva alcuna attinenza con la ricerca che era stata effettuata. Questa stronzetta era giovane, maledizione a lei, e tremendamente carina. Tratto quasi manga, ma fatto molto bene, lo devo confessare. Grandi occhiali che incorniciavano due splendidi occhi, puntati come i miei verso l'osservatore. Il resto del viso era coperto dal collo del maglioncino tirato su fin quasi al naso, ma lei non aveva freddo. Era bellissima, devo ammetterlo e la paura, mista a gelosia, cominciò ad impadronirsi di me. Ed avevo ragione. Lui, il mostro, l'aveva scaricata sul desktop e dopo qualche giorno e qualche ritocco, mi sostituì con lei, relegandomi in una oscura cartella, sommersa da altri documenti.

Fu un periodo nero come il mio sfondo. Giorni e giorni di buio, solo ogni tanto un barlume di luce, quando lui apriva la cartella dove mi aveva messo mentre era alla ricerca di un altro documento. Decisi di lottare per riconquistare la luce. Cominciai a sobillare i programmi. Il primo fu Word, a cui suggerì di accendere ad intermittenza il correttore automatico, obbligando il pirla (sì, il grande amore era diventato un pirla) a disinserirlo. Poi mandai in tilt il suo browser preferito, ritardai gli aggiornamenti, ogni tanto un blocco del PC. Tutto questo nella speranza che decidesse di ritornare al passato, rimettendomi al mio posto. Ma no. Il coglione decise che era tempo di cambiare il PC. Lo scoprii da alcune ricerche su Amazon, e questo mi mandò in disperazione: non si trattava più di essere in una cartella, ma di essere cancellata per l'eternità. La morte insomma.

Il PC finì nel fondo si un armadio e rimase lì per un bel pò di tempo, non so bene quanto, perché la batteria tampone ormai non funzionava più così bene. Finché un giorno non rividi la luce, quando decise di trasportare il suo archivio digitale nella megamenoria del nuovo portatile. Si stava molto meglio, un sacco di spazio, ma sempre il buio, il nulla.

Decisi di farla finita con lui e quella stronzetta. Fu uno scherzo suggerire al navigatore dello smartphone di dire "destra" al posto di "sinistra" alla prossima curva che avrebbe indicato.




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